da L'Osservatore Romano
Conclusa
la plenaria della Congregazione
Difficoltà
e speranze delle Chiese orientali
Lo sviluppo delle idee conciliari sull’Oriente
cattolico a 50 anni dal Vaticano II è
stato al centro della plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali,
conclusasi venerdì mattina, 22 novembre, in Vaticano.
Ha
caratterizzato i lavori un clima di armonia e disponibilità all’ascolto sincero
della vita, del travaglio e delle speranze delle Chiese orientali cattoliche.
Esse vivono difficoltà dovute al contesto in cui sono inserite, con le
sofferenze causate da guerre e impedimenti alla libertà religiosa e di culto,
dalle persecuzioni di molti dei suoi figli e dal fenomeno della massiccia
diaspora, con esempi di accoglienza e sostegno da parte di vescovi latini.
Pur
con le dovute differenze dal punto di vista canonico, l’esperienza della
sinodalità, radicata nella tradizione orientale, ha mostrato la sua fecondità come
metodo di lavoro, sempre in quella tensione positiva al dialogo con il Santo
Padre, che ha dedicato alla plenaria l’intera mattinata dall’arcivescovo
Zygmunt Zimowskii giovedì 21: prima incontrando i patriarchi e gli arcivescovi maggiori,
poi ricevendo in udienza tutti i membri ed i collaboratori del dicastero.
Le
varie relazioni hanno consentito di riaprire gli occhi sulla bellezza dell’ecclesiologia
conciliare, innestando nelle acquisizioni della Lumen
gentium il decreto Orientalium ecclesiarum e la
parte relativa agli Orientali di Unitatis redintegratio (14- 17).
Il valore della diversità nell’unità è un fecondo paradosso peculiare della
Chiesa cattolica e l’esistenza delle Chiese orientali in comunione con il
vescovo di Roma è una ricchezza.
Il
riconoscimento dell’origine apostolica non è un semplice auspicio sentimentale,
bensì un’affermazione teologica e giuridica. Il fenomeno migratorio ha fatto sì
che molti orientali cattolici si trovino ora in Europa, Stati Uniti, Canada,
Sud-America, Paesi del Golfo, Australia. Questo rappresenta una sfida: sia
perché pone il problema, ben evidenziato dal Papa, della permanenza dei cristiani
in Medio Oriente, penalizzati dagli effetti della guerra in Iraq, dall’attuale
situazione in Siria, dall’irrisolta questione israelo-palestinese e dal
travaglio per la rinascita di un Egitto plurale; sia perché pone la questione
di come la piena dignità delle Chiese patriarcali e arcivescovili maggiori
comporti che i Capi, chiamati anche Padri, possano esserlo realmente ovunque
siano i loro figli, ben oltre i confini considerati “p ro p r i ”.
Accanto
alla significativa rappresentanza degli arcivescovi latini che sono anche
ordinari per i fedeli orientali sprovvisti di un proprio gerarca —come fu lo
stesso cardinale arcivescovo Bergoglio a Buenos Aires prima dell’elezione al
pontificato — andranno pensate e sviluppate strutture amministrative ecclesiali
proprie che, nel contesto della nuova evangelizzazione, animino secondo la
relativa tradizione spirituale e liturgica la vita delle numerose comunità nei
Paesi di occidente.
Inoltre
la dimensione ecumenica deve essere sempre mantenuta nella sua grande
importanza, assumendo un atteggiamento di autentica fraternità, paziente
riconciliazione in presenza di ferite storiche o più recenti, senza però che a
essere penalizzati siano quanti con la loro esistenza testimoniano ogni giorno
che si può essere in comunione con il Vescovo di Roma, riconoscendone il primato,
senza rinunciare al proprio modo di governarsi, di vivere il mistero della
liturgia, di comprendere il mistero di Cristo secondo proprie categorie
teologiche, pur nell’identica professione di fede niceno-costantinopolitana.
L’Oriente
cattolico è impegnato inoltre a far sì che il dialogo interreligioso sia
vissuto nella quotidianità dei Paesi del Medio Oriente, testimoniando la carità
nel campo dell’assistenza e della formazione, per il bene di tutte quelle
nazioni nelle quali i cristiani sono cittadini ab
origine, dagli inizi dell’evangelizzazione, prima di altri.
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