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domenica 24 novembre 2013

Aspettando il nuovo Eparca (n. 33)

da L'Osservatore Romano
Conclusa la plenaria della Congregazione
Difficoltà e speranze delle Chiese orientali
 Lo sviluppo delle idee conciliari sull’Oriente cattolico a 50 anni dal Vaticano II è stato al centro della plenaria della Congregazione per le Chiese Orientali, conclusasi venerdì mattina, 22 novembre, in Vaticano.

Ha caratterizzato i lavori un clima di armonia e disponibilità all’ascolto sincero della vita, del travaglio e delle speranze delle Chiese orientali cattoliche. Esse vivono difficoltà dovute al contesto in cui sono inserite, con le sofferenze causate da guerre e impedimenti alla libertà religiosa e di culto, dalle persecuzioni di molti dei suoi figli e dal fenomeno della massiccia diaspora, con esempi di accoglienza e sostegno da parte di vescovi latini.
Pur con le dovute differenze dal punto di vista canonico, l’esperienza della sinodalità, radicata nella tradizione orientale, ha mostrato la sua fecondità come metodo di lavoro, sempre in quella tensione positiva al dialogo con il Santo Padre, che ha dedicato alla plenaria l’intera mattinata dall’arcivescovo Zygmunt Zimowskii giovedì 21: prima incontrando i patriarchi e gli arcivescovi maggiori, poi ricevendo in udienza tutti i membri ed i collaboratori del dicastero.

Le varie relazioni hanno consentito di riaprire gli occhi sulla bellezza dell’ecclesiologia conciliare, innestando nelle acquisizioni della Lumen gentium il decreto Orientalium ecclesiarum e la parte relativa agli Orientali di Unitatis redintegratio (14- 17). Il valore della diversità nell’unità è un fecondo paradosso peculiare della Chiesa cattolica e l’esistenza delle Chiese orientali in comunione con il vescovo di Roma è una ricchezza.

Il riconoscimento dell’origine apostolica non è un semplice auspicio sentimentale, bensì un’affermazione teologica e giuridica. Il fenomeno migratorio ha fatto sì che molti orientali cattolici si trovino ora in Europa, Stati Uniti, Canada, Sud-America, Paesi del Golfo, Australia. Questo rappresenta una sfida: sia perché pone il problema, ben evidenziato dal Papa, della permanenza dei cristiani in Medio Oriente, penalizzati dagli effetti della guerra in Iraq, dall’attuale situazione in Siria, dall’irrisolta questione israelo-palestinese e dal travaglio per la rinascita di un Egitto plurale; sia perché pone la questione di come la piena dignità delle Chiese patriarcali e arcivescovili maggiori comporti che i Capi, chiamati anche Padri, possano esserlo realmente ovunque siano i loro figli, ben oltre i confini considerati “p ro p r i ”.

Accanto alla significativa rappresentanza degli arcivescovi latini che sono anche ordinari per i fedeli orientali sprovvisti di un proprio gerarca —come fu lo stesso cardinale arcivescovo Bergoglio a Buenos Aires prima dell’elezione al pontificato — andranno pensate e sviluppate strutture amministrative ecclesiali proprie che, nel contesto della nuova evangelizzazione, animino secondo la relativa tradizione spirituale e liturgica la vita delle numerose comunità nei Paesi di occidente.

Inoltre la dimensione ecumenica deve essere sempre mantenuta nella sua grande importanza, assumendo un atteggiamento di autentica fraternità, paziente riconciliazione in presenza di ferite storiche o più recenti, senza però che a essere penalizzati siano quanti con la loro esistenza testimoniano ogni giorno che si può essere in comunione con il Vescovo di Roma, riconoscendone il primato, senza rinunciare al proprio modo di governarsi, di vivere il mistero della liturgia, di comprendere il mistero di Cristo secondo proprie categorie teologiche, pur nell’identica professione di fede niceno-costantinopolitana.

L’Oriente cattolico è impegnato inoltre a far sì che il dialogo interreligioso sia vissuto nella quotidianità dei Paesi del Medio Oriente, testimoniando la carità nel campo dell’assistenza e della formazione, per il bene di tutte quelle nazioni nelle quali i cristiani sono cittadini ab origine, dagli inizi dell’evangelizzazione, prima di altri.

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