Ancora nel 1770 la Sicilia era pressocchè sconosciuta all’Europa che si accingeva a cambiare le regole del vecchio mondo feudale (ancien regime). A Parigi i redattori dell’Enciclopedia descrivevano una Palermo data per distrutta dai terremoti, proprio quando la capitale dell’isola invece raggiungeva livelli di singolare bellezza adornandosi con i meravigliosi palazzi settecenteschi che ancora oggi ammiriamo. Questo era effetto della marginalità geografica dell’isola che soffriva dell’avvenuto spostamento del baricentro del traffico marittimo dal Mediterraneo all’Europa del Nord, dell’abbandono da parte del debole governo spagnolo sin dall’inizio del secolo dell'isola al suo destino e soprattutto dell’assoluta mancanza di strade che dalla costa conducessero verso l’interno; gli unici accessi nel cuore profondo dell’isola erano le millenarie scomode trazzere, alcune delle quali percorrevano l’attuale territorio di Contessa Entellina per congiungere Palermo al versante meridionale della Sicilia.
Dalla seconda metà del settecento tuttavia l’Europa comincia lentamente a scoprire la Sicilia, ricavandone comunque una convinzione poco aderente alla realtà. Da ogni parte del continente cominciano ad arrivare nell’isola visitatori (oggi diremmo turisti), in genere persone erudite e culturalmente rilevanti che nei loro diari descrivono una terra di meraviglie, più frutto di fantasie costruite sulla grande storia del passato, resa viva ai loro occhi dai templi greci, dalle belle città adagiate sulla costa, dagli splendidi monumenti arabo-normanni e dai profumi degli agrumeti, che dalla cruda realtà di miseria e di arretratezza rispetto ad una Europa che già aveva intrapreso da tempo il cammino di abbandono del feudalesimo. I visitatori nei loro viaggi attraverso l'isola d'altronde incontravano esponenti dell’alto clero e della nobiltà feudale, di cui non potevano che ammirare la innata ospitalità ed il lussuoso tenore di vita.
I territori interni dell’isola, quelli su cui Contessa era stata tre secoli prima fondata da esuli albanesi, erano invece frustrati dalla malaria, in gran parte non coltivati ed immersi nell’immenso latifondo su cui la popolazione era soggetta a frequenti carestie.
Al contrario di quanto era ormai assodato in tutta Europa qui da noi mancava un ceto medio con aspirazioni culturali (con rarissime eccezioni in piccole parti del clero) e soprattutto mancava un governo del territorio e sul territorio, su cui imperavano invece con poteri assoluti i baroni, refrattari a qualsiasi evoluzione della società e dei suoi secolari costumi pubblici e privati.
Quando Goethe visita la Sicilia si limita ad esaltare la bellezza della natura. D’Orville, Jean-Pierre Houël, che arriva fino a Palazzo Adriano e traccia aspetti del mondo arbreshe, Riedesel e Winckelmann restano ammirati dai monumenti greci. Zinzerdoff, Borch, De La Lande e Brydone sono colpiti dal fastoso tenore di vita della nobiltà siciliana.
I libri del pensiero illuministico che investono irrimediabilmente i pilastri del vecchio mondo feudale e che lasciano intravedere un mondo meglio organizzato arrivano da Parigi fino in Sicilia, superando le maglie della censura governativa, tuttavia vengono letti dai pochi che conoscono la scrittura e questi (ne riferisce Giovanni Meli), appartenendo ai ceti privilegiati di allora, non sono interessati a costruire un mondo migliore.
Dalla seconda metà del settecento tuttavia l’Europa comincia lentamente a scoprire la Sicilia, ricavandone comunque una convinzione poco aderente alla realtà. Da ogni parte del continente cominciano ad arrivare nell’isola visitatori (oggi diremmo turisti), in genere persone erudite e culturalmente rilevanti che nei loro diari descrivono una terra di meraviglie, più frutto di fantasie costruite sulla grande storia del passato, resa viva ai loro occhi dai templi greci, dalle belle città adagiate sulla costa, dagli splendidi monumenti arabo-normanni e dai profumi degli agrumeti, che dalla cruda realtà di miseria e di arretratezza rispetto ad una Europa che già aveva intrapreso da tempo il cammino di abbandono del feudalesimo. I visitatori nei loro viaggi attraverso l'isola d'altronde incontravano esponenti dell’alto clero e della nobiltà feudale, di cui non potevano che ammirare la innata ospitalità ed il lussuoso tenore di vita.
I territori interni dell’isola, quelli su cui Contessa era stata tre secoli prima fondata da esuli albanesi, erano invece frustrati dalla malaria, in gran parte non coltivati ed immersi nell’immenso latifondo su cui la popolazione era soggetta a frequenti carestie.
Al contrario di quanto era ormai assodato in tutta Europa qui da noi mancava un ceto medio con aspirazioni culturali (con rarissime eccezioni in piccole parti del clero) e soprattutto mancava un governo del territorio e sul territorio, su cui imperavano invece con poteri assoluti i baroni, refrattari a qualsiasi evoluzione della società e dei suoi secolari costumi pubblici e privati.
Quando Goethe visita la Sicilia si limita ad esaltare la bellezza della natura. D’Orville, Jean-Pierre Houël, che arriva fino a Palazzo Adriano e traccia aspetti del mondo arbreshe, Riedesel e Winckelmann restano ammirati dai monumenti greci. Zinzerdoff, Borch, De La Lande e Brydone sono colpiti dal fastoso tenore di vita della nobiltà siciliana.
I libri del pensiero illuministico che investono irrimediabilmente i pilastri del vecchio mondo feudale e che lasciano intravedere un mondo meglio organizzato arrivano da Parigi fino in Sicilia, superando le maglie della censura governativa, tuttavia vengono letti dai pochi che conoscono la scrittura e questi (ne riferisce Giovanni Meli), appartenendo ai ceti privilegiati di allora, non sono interessati a costruire un mondo migliore.
In questo contesto tutto isolano l’elite siciliana non fa altro che disancorarsi ulteriormente dall’Europa.
Sul finire del secolo sarà comunque un uomo vissuto per oltre dieci anni a Parigi, fra i circoli culturali dell'illuminismo, a prendere a cuore le arretrate condizioni dell'isola e a porre con decisione le premesse perché anche la Sicilia -alcuni decenni dopo (1812)- possa abbandonare pure essa la pesante eredità del governo dei baroni; grandi meriti acquisirà infatti su questo fronte il marchese Caracciolo, che verrà dai regnanti borboni chiamato all'importante ruolo di vicerè dell'isola.
Sul finire del secolo sarà comunque un uomo vissuto per oltre dieci anni a Parigi, fra i circoli culturali dell'illuminismo, a prendere a cuore le arretrate condizioni dell'isola e a porre con decisione le premesse perché anche la Sicilia -alcuni decenni dopo (1812)- possa abbandonare pure essa la pesante eredità del governo dei baroni; grandi meriti acquisirà infatti su questo fronte il marchese Caracciolo, che verrà dai regnanti borboni chiamato all'importante ruolo di vicerè dell'isola.
Il Contessioto
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