di Lorenza Carlassare
Gli articoli della Costituzione che disciplinano diritti e doveri nel giudizio: dal processo fino al trattamento del detenuto nel regime carcerario, passando per la norma cardine del giudice naturale precostituito
L'art. 24 della Costituzione "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi", garantisce il diritto alla tutela giurisdizionale, uno dei "diritti inviolabili" (art. 2), incluso dalla Corte tra i "principi supremi" immodificabili, e garantisce il diritto alla difesa in giudizio, anche "ai non abbienti", come "diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento". Le norme che escludevano la presenza del difensore nella fase iniziale sono state perciò dichiarate illegittime: le garanzie difensive devono essere assicurate fin da quando emerge un indizio di reato nei confronti di una determinata persona. Nel nostro sistema l'assistenza di un difensore tecnico è irrinunciabile, non si ritiene sufficiente l'autodifesa dell'imputato. La questione della difesa tecnica si pose in modo drammatico (l'avvocato Croce che aveva accettato la difesa d'ufficio venne ucciso) nel processo svoltosi a Torino contro i brigatisti, i quali, rifiutando il "sistema", rifiutavano il difensore. A livello sovranazionale invece all'imputato è consentito, se vuole, di difendersi da solo. L'art. 24, al quarto comma, stabilisce un'ultima garanzia: "La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari", riparazione che non si esaurisce sul piano pecuniario.
Ma il diritto alla tutela giurisdizionale non può essere soltanto enunciato dev'essere 'effettivamente' assicurato. Si può dire che lo sia nel nostro ordinamento ? La carenza di servizi, d'informazione, di magistrati e cancellieri in numero adeguato alle richieste di giustizia, rende "lunghissimi" i tempi processuali. Non è tagliandoli artificialmente che si ottengono "processi brevi", ma intervenendo (oltre che su norme processuali inadeguate) su "l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia" che, ricordiamolo, per Costituzione (art. 110) "spettano al ministro della Giustizia" . Il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto "a tutti", cittadini e stranieri, è la prima delle garanzie processuali stabilite in una serie di disposizioni legate fra loro. Fondamentale è l'art. 25, comma 1, "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" che assicura (corte Cost. n. 88/1962) "il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriore in relazione a un fatto già verificatosi" della cui imparzialità si potrebbe dubitare, ma un giudice stabilito in precedenza dalla legge alla quale soltanto spetta determinare le competenze degli organi giudiziari. La norma è garanzia per il cittadino, ma al contempo è garanzia d'indipendenza interna del giudice, tutelandolo da eventuali tentativi di sottrargli una causa che per legge è 'sua'. La 'precostituzione' si riferisce sia all'ufficio giudiziario sia alla persona fisica chiamata a giudicare: non si possono spostare le competenze per favorire o danneggiare chi ha da essere giudicato. Non meno importante è il comma 2: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" che contiene due principi fondamentali: la 'riserva di legge' in materia penale che esclude norme emanate dal governo o da autorità diversa dal Parlamento, il divieto di leggi retroattive. La legge può prevedere come reato soltanto soltanto un fatto compiuto "dopo" la sua entrata in vigore, non un fatto compiuto prima, quando non era ancora sanzionato. La persona, la sua vita, libertà e dignità trovano massima tutela nell'art. 27 che contiene principi fondamentalissimi: innanzitutto il rifiuto della responsabilità penale per fatto altrui: "La responsabilità penale è personale". Faceva eccezione la norma sulla responsabilità del direttore per i reati commessi (da altri) a mezzo stampa, modificata (non benissimo) in armonia con una sentenza della Corte che le intese come responsabilità per violazione degli obblighi di vigilanza e controllo, richiede almeno la "colpa omiossiva". Un altro caso di responsabilità senza colpa fu oggetto di una sentenza del 1988 che mitigò la rigidità del principio per cui l'ignoranza della legge penale non scusa, escludendo la responsabilità quando non vi sia alcuna colpa nella non conoscenza della legge, ossia in caso di "ignoranza inevitabile". Il secondo comma - "L'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva" - pone un altro principio fondamentale, la presunzione di non colpevolezza, intesa innanzitutto copme divieto di anticipare nei confronti dell'imputato un trattamento sanzionatorio. Di qui l'effetto sospensivo delle impugnazioni penali contro le sentenze di condanna. La presunzione di non colpevolezza, se non esclude del tutto misure restrittive della libertà personale , esclude almeno che la detenzione preventiva possa avere la funzione di anticipare la pena. Il regime detentivo dell'imputato dovrebbe dunque differenziarsi da quello del condannato: la carcerazione preventiva dovrebbe differenziarsi dall'esecuzione della pena (inflitta con sentenza definitiva). Non pare, purtroppo che sia davvero così. La corrispondenza ai principi costituzionali del trattamento nelle nostre carceri apre un discorso drammatico: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" stabilisce il terzo comma dell'art. 27, eppure, per la situazione degli edifici , il terribile affollamento , la carenza del personale, l'insufficente assistenza medica, il regime carcerario troppo spesso è già di per sè un trattamento contrario al senso di umanità. Non so se le nostre coscienze -e soprattutto le coscienze di chi governa si risveglieranno; per ora restano indfifferenti persino ai numerosi suicidi di detenuti. "Non è ammessa la pena di morte" dice l'ultimo comma, ma forse alcuni la preferirebbero ad una vita disumana.
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