Il libro uscito postumo, suscita grande scalpore per l'atmosfera decadente di cui è permeato, raccontata attraverso la storia di una famiglia siciliana negli anni del Risorgimento.
Romanzo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, il Gattopardo, costituisce, fin dalla sua prima uscita, un vero e proprio caso letterario.
Sono, infatti, gli anni cinquanta quelli della crisi del neorealismo, e la complessa vicenda della nobile famiglia Salina, narrata dall'autore nel quadro di una Sicilia immobile nella bufera del Risorgimento, sembra riproporre le ideologie di fatalistica rassegnazione.
L'attenzione si concentra sulle presunte tesi reazionarie espresse nel romanzo: il Risorgimento non è più presentato come un momento di gloria patria ma viene piuttosto diseroicizzato. Questo fa parlare di "visione scettica e immobile della storia".
La vicenda racconta di una famiglia aristocratica che vive nella sua decadente immobilità e frivolezza e, in particolare, della disgregazione di una personalità, quella di Fabrizio, principe di Salina, corroso da un tragico senso di precarietà e di termine dell'esistenza.
L'impianto generale dell'opera ricorda da vicino la tradizione verista, mentre l'insistenza ossessiva sui simboli del disfacimento e dell'autodistruzione ne giustifica una lettura in chiave novecentesca e decadente.
La morte è il tema ricorrente di tutto il romanzo: dalla minuziosa ricostruzione dei palazzi aristocratici, ormai quasi disabitati, alla grande scena del ballo dei nobili, durante la quale Don Fabrizio Salina vede i volti dei giovani che lo circondano già decomposti, per effetto di una terribile allucinazione; dalla lucida analisi della rovina di una casta alla celebre pagina che descrive la malinconica fine del protagonista in una stanza d'albergo.
Questo romanzo colpisce in modo particolare la fantasia di uno dei più importanti registi italiani, Luchino Visconti. La splendida trasposizione cinematografica vince, nel 1963, la Palma d'Oro al Festival di Cannes.
Nessun commento:
Posta un commento