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martedì 8 marzo 2011

150° dell'Unità d'Italia nella Sicilia dove ai Gattopardi seguono gli Sciacalli - Uno scritto dedicato ad un grande storico

da La Repubblica
La  'Sicilia' di Renda

Quando si pensa alla storia della Sicilia non si può fare a meno di pensare a Francesco Renda. Il più prolifico ed eclettico dei nostri storici nei suoi circa cinquanta titoli ha scritto dei Fasci siciliani e del movimento contadino, dei Beati Paoli e di Salvatore Giuliano, di un ministro settecentesco di cui s'è persa la memoria come Bernardo Tanucci e del futuro prossimo del Mediterraneo. Renda è uno storico che non s'è sottratto nemmeno al compito di raccontare la storia generale della Sicilia: in volumi di grande respiro, che offrono una visione coerente e originale delle vicende isolane. Sino a capovolgere la tradizionale immagine di una terra vittima delle varie dominazioni in quella di un'isola che, a partire dal suo essere al centro del Mediterraneo, è stata parte integrante delle civiltà che in quel mare si sono succedute. Quella di Renda è una Sicilia che ha vissuto la storia del Mediterraneo e adesso ha bisogno di ritrovarsi, di conoscere le sue potenzialità per affrontare il futuro globalizzato. L'operazione preliminare è il rifiuto del più insidioso degli stereotipi interpretativi, vale a dire il fatalismo venato di vittimismo che continua ad affiorare non solo nelle analisi, ma anche nei quotidiani ragionamenti e nelle scelte individuali. E lo storico, che in gioventù è stato uomo politico e dirigente sindacale, ha un moto di impazienza nel vedere come ancora non ci si prepara alle nuove sfide. Lui offre i risultati messi a punto in molti anni di ricerche: la sua "Storia della Sicilia" scritta con l' ambizione di diventare quella «storia civile» che non abbiamo mai avuto, uno strumento di consapevolezza che accompagni l'agire. Ed è come se il militante Renda, che nella vita ha fatto lo storico, tornasse a reclamare i suoi diritti. Di fronte all'ignavia amorfa di quanti lo circondano torna a galla il «sentire politico», di pari passo con la tentazione di provare a utilizzare la storia per riempire di contenuti un' identità labile, falsamente presente. Uno dei motivi ricorrenti nei pensieri dello storico/militante riguarda i modi in cui le analisi riescono ad arrivare nella società, le difficoltà con cui le idee circolano, la possibilità di coniugare il rigore con la divulgazione. Sono preoccupazioni che non nascondono la loro natura politica, sul solco di un'illuministica «educazione del cittadino» che è del tutto fuori moda in un' epoca di consumismo coatto. Sullo sfondo resta il grande interrogativo sul ruolo dello storico nella società moderna, mentre i periodici revisionismi danno la misura di come il passato possa essere manipolato e addomesticato a uso del presente. Però se, come denuncia Renda, non sono gli storici ad avere creato quel sostrato di idee diventate senso comune al punto da sembrare «naturali», allora è il caso di riflettere sui loro meccanismi di formazione e trasmissione. Per magari scoprire come siano stati i narratori a elaborare uno stereotipo semplificante della storia siciliana, che col tempo si è sedimentato nella coscienza collettiva. Niente di nuovo, gli scrittori scrivono la loro verità sulla storia ed è Stendhal a darci la migliore descrizione di Waterloo: ma in Sicilia si è creato un vuoto interpretativo. Così, a raccontare cos'è avvenuto negli anni successivi all' Unità d' Italia non sono stati gli storici ma grandi narratori come Verga, De Roberto, Pirandello. Sono stati gli scrittori a dare forma alla delusione postunitaria, a raccontare della rivoluzione che non cambiava nulla mentre legittimava gli equilibri preesistenti. E hanno messo in scena la Sicilia dei vinti: una terra povera, ingannata e oppressa la cui sconfitta è senza speranza, micromondo dove ai Gattopardi seguono gli Sciacalli. La forza espressiva dei narratori ha colmato il vuoto della storiografia, a scapito della complessità: con libri che «nonostante siano grandi opere, non riescono a formare uno spirito civico, così com' è in qualsiasi altra regione». Alla formazione di questo «spirito civico» Renda ha dedicato le sue sintesi sulla storia della Sicilia, ma la circolazione elitaria dei testi di storia e l'esigenza di divulgare il più possibile la sua impostazione lo hanno spinto a rispondere alle domande del giornalista Angelo Vecchio. In un agile libro intitolato semplicemente "Sicilia" (Sigma edizioni, 135 pagine, 10 euro) il vecchio professore e il giornalista parlano - oltre che di storici e narratori - di separatismo, di Portella della Ginestra, di mafia, del governo Milazzo. Renda mantiene il suo rigore anche nell' impaziente informalità del colloquio amichevole, spiega con parole semplici i nodi della storia siciliana, la tensione intellettuale si trasforma in energia e diventa evidente il grande amore per la Sicilia che è sotteso a tutta la sua opera. Angelo Vecchio è un interlocutore curioso, che senza soggezioni racconta un protagonista della nostra cultura. Lo storico perde l'aura della distanza, a partire dalla malattia che lo costringe a muoversi con grande fatica diventa un personaggio. Rinuncia all' intangibile lontananza del teorico e anche lui è in gioco, sacrifica la distanza creata da tutti i libri che ha scritto, mette da canto lo scetticismo e fa un giovanile gesto di fiducia nel potere delle parole: se cambia il racconto del passato allora, ci suggerisce, cambierà anche il futuro.
- AMELIA CRISANTINO

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