lunedì 30 novembre 2009

Antiche tradizioni - pratiche - usi - specificità locali, rilevabili ai giorni nostri (2)


6 dicembre: San Nicola di Mira – i panuzza
Il sei dicembre la Chiesa di rito greco, a Contessa Entellina, ricorda S. Nicola di Mira, patrono di tre paesi arbrëshë, Mezzojuso, Palazzo Adriano e, appunto, Contessa Entellina (Piana degli Albanesi ha invece in San Giorgio il suo patrono). A questa ricorrenza religiosa è connessa, nella memoria dei contessioti presenti in paese e/o emigrati, la memoria dei “panuzzi”.

Quando a Contessa c’era in attività l'istituto delle suore basiliane, erano loro che li preparavano, ricavandoli “dall’unione di tre piccole forme rotonde di farina impastata e poi trasformati, in forno, in pane e che stanno a simboleggiare la Trinità”; oggi i “panuzzi” in onore del Santo, la cui consistenza deve essere piuttosto dura, vengono preparati nei locali che furono delle “basiliane” da volontari vicini alla parrocchia e poi, nel corso della liturgia del 6 dicembre, benedetti e distribuiti ai fedeli per essere portati a casa.

Essi possono essere mangiati ovvero conservati “per divuzioni” e alla ricorrenza spezzati in tre e buttati in direzioni differenti per calmare i forti temporali. Si credono, infatti, miracolosissimi nello spegnere incendi, nel salvare da gravi pericoli imminenti, nel ridare guarigione agli ammalati e nei gravi pericoli di fulmini. Il tutto grazie alla considerazione che San Nicola gode quale taumaturgo (liberatore immediato da pericoli estremi e imprevedibili, protettore di coloro che subiscono ingiustizie, difensore dei poveri, guaritore degli ammalati, protettore di navi e naviganti).

La forma triangolare, costituita dall’unione delle tre piccole unioni profonde, veniva spiegata dalle suore “basiliane” per identificare la Trinità, ma anche per ricordare alcuni episodi della vita del Santo.
1. San Nicola, veniva narrato, nel corso della vita fornì (in modo nascosto, perché i cristiani non devono mai vantarsi dell’eventuale bene che fanno al prossimo) il denaro necessario alla dote matrimoniale di tre fanciulle che il padre impoverito e disperato aveva pensato di destinare, vittima della miseria materiale e spirituale, alla prostituzione.
2. In altra occasione, San Nicola, avrebbe liberato, con grande coraggio (perchè il cristiano deve disporre di coraggio in un mondo che si lascia affascinare dal male), tre miseri innocenti condannati a morte da un giudice iniquo.

Il piccolo “panuzzo”, composto dalle tre forme rotonde, è carico, pertanto, di significati e di memorie. Quei significati e quelle memorie, letti con gli occhi e la mente dell’odierna società dei consumi, efficientista, nei cui ingranaggi –consapevolmente o inconsapevolmente- siamo tutti incastrati appaiono residui di un antico mondo in cui “gesti” e “riflessioni” avevano grande importanza nella vita sociale. Oggi in pochi trovano il tempo, e la volontà, di scendere dalla corsa sfrenata -e senza una meta prefissata- del mondo, per fermarsi a riflettere sul senso di ciò che accade attorno. La società del passato, e fra essa la società contadina, cercava ed attribuiva a tutto, invece, un significato che fosse, o meno, appropriato. La società del passato si interrogava.
Il Contessioto

A Contessa sei mesi, un anno, un anno e mezzo sono la stessa cosa. Non per nulla il tempo, da noi, non passa mai

La crisi ? non esiste.
A Contessa tutto va bene ! Lo dice il Sindaco nella relazione semestrale, o meglio nella relazione a 17 mesi dall'insediamento.

   Il Sindaco ha per l'ennesima volta intrattenuto il Consiglio Comunale leggendo, stamattina per evitare che ci fosse qualcuno -oltre ai consiglieri abituati- ad ascoltarlo, un elenco di buone intenzioni e di buoni propositi. Lo aveva fatto all'inizio del suo mandato leggendo ai fin troppo pazienti consiglieri, (pensate un pò!) il programma elettorale che lo aveva accompagnato nel corso della campagna elettorale. Ad insediamento avvenuto, avrà pensato il nostro sindaco, esperto in tutto, una ripetizione non avrebbe fatto male a nessuno.

   Dopo sei mesi avrebbe dovuto dare il primo resoconto di quel documento di propaganda elettorale. Però avrà pensato: "dare cunfidenza a li genti, nun è lu casu; già li ho fregati alle elezione".
   Dopo altri sei mesi avrebbe dovuto nuovamente dare le cifre dello stato di avanzamento delle tante cose promesse; però anche in questa occasione avrà pensato "Li ho già presi per i ..... a maggio 2008. Voglio essere buono e pertanto non voglio sciorinare parole, parole, parole ai consiglieri".
   Dopo quasi altri tre mesi al sindaco è venuta, finalmente, la voglia di continuare con le buone intenzioni e le promesse. Pertanto al terzo semestre ha ricominciato con le solite cose, ossia con i migliori propositi:

1) al primo punto ovviamente c'è l'acqua Batellaro. Quella dei 100 giorni. Sarà cavallo di battaglia anche nella prossima campagna elettorale. In fondo ha portato fortuna.
2) al secondo posto la bitumazione delle strade del nuovo centro (quelle effettuate prima delle elezioni, quando sindaco era ancora Nino Lala).
3) poi una serie di promesse trite e ritrite (asilo nido, centro civico, alloggi popolari di via Merendino, piano regolatore). Cose su cui, a furia di ripeterle in ogni occasione, nemmeno lui, il Sindaco, ormai crede.
4) poi, essendosi perso in quest'anno e mezzo il finanziamento che già c'era sul II° lotto di recupero di Calatamauro, ha promesso ai consiglieri comunali che sta adoperandosi per un nuovo, aggiornato, uscito di zecca dalla fabbrica, ancora luccicante, finanziamento. Quello perso era vecchio. Erano Euro di primo conio.
5) Ovviamente, come da clichè, il sindaco darà lavoro ai disoccupati: preparerà i cantieri scuola. In questi 17 mesi si è occupato di altro. Ma adesso ha parlato con gli Uffici Tecnici e ci inonderà di cantieri scuola.
6) Ci garantisce inoltre che si occuperò della viabilità. Non di quella dove, se vuole può agire, ossia quella comunale. No, si occuperà della viabilità provinciale ed ex-consortile: in tal modo se dopo 40 anni di dissesto del fondo stradale verrà rifatto qualche tratto, sarà suo merito, se non verrà riadattato nulla, la colpa resta -giustamente- della Provincia.
Delle strade comunali, disastrate, ad occuparsene saranno i suoi bravi assessori. Deve pur fargli fare qualcosa per evitare che essi, nei bar, vadano a raccontare che il Sindaco li tiene disoccupati perchè è un accentratore.
7) Ci ha promesso che in materia di servizi sociali, adesso che sono oggetto di attenzione del personale che da sempre se ne occupa e -pure- di interesse massimo consiliare, tutto migliorerà. Ci crediamo ! Ci crediamo !
8) In materia di cultura ci ha fatto capire, il sindaco, che Contessa Entellina diventerà un campus universitario, all'americana.
In questo settore, per la verità oltre alle buone intenzioni per il futuro, sono spuntate finalmente delle realizzazioni. Si in 17 mesi si è fatto, e chi non crede consideri che abbiamo avuto più di un assessore all'istruzione, alla cultura etc. etc.
--film e documentari, gruppi folkloriostici e intrattenimenti per cerlebrare le istituzioni religiose (parrocchia a Piano Cavaliere e Comunità della pace a Pizzillo). Vi sembra poco ! però, questi contessioti, siete davvero incontentabili |.
 E va bene !
Il Sindaco ha partecipato alla rappresentazione teatrale alla Madonna della Favara, assieme agli zampognari; non solo questo, ma anche il concerto di capodanno è merito, di quelli da raccontare agli sbaloditi consiglieri comunali. Alcuni di loro a sentire tante fatiche, stamane, nell'aula consiliare con i fazzoletti in mano hanno cercato di asciugare il sudore che veniva giù dalla fronte di cotanto sindaco.
--per Carnevale c'è stata la sfilata di carri.
--per Pasqua ha fatto distribuire uova di cioccollatto.

STIA ZITTO chi osserva che molte cose non le ha curate il Comune, ma l'Unione Besa!
Non ha alcuna importanza questa distinzione. Il sindaco, per tenersi impegnato, si è disfatto della delega alla Musacchia (tempo fà assessore alla cultura; adesso nessuno ne sa più niente) e pertanto a dare i cioccolattini è stato lui e non altri. Certo a darli con sue disposizione; in questo caso la distribuzione manuale non è stata effettuata. Egli si occupa di "vastedda" ed altre cose casalinghe per la distribuzione da avvenire personalmente con le proprie mani.
--La Rassegna Culturale folkloristica dei comuni arbreshe ha visto impegnata in ogni dettaglio la scuola, ed in prima persona Papas Nicola e Anna Fucarino, assieme all'intero corpo insegnante. Però il sindaco, con la mente, ha organizzato il tutto. D'altronde questa volta i soldi erano in parte dell'Unione Besa ed in parte del Comune.
Certo la chiacchierata di quest'estate a Santa Maria del Bosco è costata €. 13.000,oo; ma che volete le cose buone si pagano !

--ADESSO viene il turno del capolavoro.
La regione doveva spendere i soldi della legge 482 per le minoranze (circa €. 80.000,oo). Gli amministratori, Nino LAla, tolgono l'incarico ad uno studioso dell'Università di Palermo (Matteo Mandalà) di scrivere la storia a grandi linee della comunità contessiota e l'affidano ad un concittadino, che invece della storia del paese, ripubblica, per l'ennesima volta, la secolare diatriba greci/latini. Nessuno legge le bozze e noi contessioti accumuliamo così, negli scaffali, comunque con una bella copertina, l'ennesima cronologia dei papas e dei canonici.

Effettivamente dopo la politica culturale messa in atto da questa Amministrazione, a Contessa, nei bar, non si gioca più a carte, ma si parla delle novità librarie di Oxford. Eppure i soldi della 482 sono stati spesi; e come !.

Dopo la cultura, l'agricoltura è stato il campo in cui l'Amministrazione si è spesa ed adoperata. Effettivamente si coglie a vista d'occhio che l'impegno profuso ha cambiato il volto al territorio.
Le "mangiate" di vastedda, distribuita dalle mani personali del Sindaco, sono state numerose. Dopo ogni "mangiata" la promozione dell'economia locale ha dato i suoi effetti.
Di fatto all'Assessorato Agricoltura è stata rendicontata "vastedda" ed altro per €. 6.000,oo (spiazzo Greco). Il Sindaco ai consiglieri, oggi, ha assicurato che c'è stato grande flusso di visitatori e da quel giorno la nostra martoriata agricoltura ha ricominciato a decollare.
Visto il successo ottenuto dalla giornata dedicata al grano, si è pensato bene, di organizzare una nuova mangiata di "vastedda", scusate -volevo dire una bevuta di vino-, ossia una "giornata del vino". Questa volta l'ordinata rendicontazione è stata per l'Amministrazione Provinciale.

Se finora si è scherzato; adesso viene la parte seria: il Sindaco ha finalmente assicurato che lavorerà, sul serio, per sollevare le acque di Garcia. Nessuno rida; è la milionesima volta che il sindaco lo scrive. E' una cosa seria, su questo impegno ha sciupato inchiostro a non finire.

La relazione è piena di tante belle parole ... parole ... parole.
Per chiudere: il bilancio è stato redatto regolarmente. Chi aveva sollevato dubbi ? D'altronde risultano scritti aumenti TARSU nell'ordine del + 160%.
Per chi dubitasse !
Il Sindaco è perchè l'acqua potabile resti pubblica. Se qualcuno dubita lo farà scrivere, dagli amici, su facebook.

Se permettete, o lettori, al sindaco dal dinamismo inarrestabile possiamo dare un buon voto: 110, lode e bacio (in altra occasione!). Continui così, magari chiamando al posto di un assessore distratto un cugino (stretto, però) per evitare che la base elettorale del 37% si disperda.
Non scherziamo, infatti.
Questo sindaco riesce a tenere uniti Pd, Pdl, Udc. Tutto ciò che altrove è impossibile egli, nell'inerzia assoluta, riesce. Se non è miracolo questo !
Certo deve accondiscendere su certi arredi che mettano in luce i personaggi che lo sostengono. Ma tutto sommato ...

Il Contessioto

domenica 29 novembre 2009

Seduta deserta del Consiglio Comunale -


Le due chiamate dei consiglieri di oggi alle 9,30 e poi alle 10,30, per la trattazione in prima convocazione degli argomenti iscritti all'ordine del giorno, hanno sortito la seduta deserta del Consiglio Comunale. Si sono presentati infatti solamente i consiglieri della minoranza (in numero di 4) e due consiglieri della maggioranza. Non essendo stato raggiunto il quorum di 7 consiglieri su 12, la seduta è stata aggiornata a domani, lunedì 30 novembre, alle 9,30.
il Contessioto

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte sesta)

Giornale di Sicilia
16-01-1968

Gli aiuti per i terremotati


Partite da Palermo numerose autocolonne con viveri tende e medicinali. Generosa gara di iniziative e interventi di autorità e cittadini. In atto un “ponte della solidarietà” con tutte le città d’Italia. Oggi riunione dei ministri competenti. L’onorevole Restivo sui luoghi sinistrati
di Antonio Ravidà

Le popolazioni stravolte e dilaniate dalle violente scosse di terremoto vengono continuamente soccorse. A Palermo per tutta la giornata è stato un intrecciarsi di iniziative e di interventi per alleviare il più possibile le drammatiche condizioni dei sopravvissuti alla tempesta che la natura ha scatenato nei poveri paesi del retroterra della fetta Occidentale dell’isola.
Verso i centri maggiormente colpiti, Montevago, Gibellina, Santa Ninfa, Salaparuta, e, in provincia di Palermo, Contessa Entellina (visitata e benedetta ieri dal vescovo di Piana degli Albanesi, Perniciaro) convergono autocolonne, mezzi di fortuna sui quali sono stati caricati generi di sopravvivenza quale il pane, 2700 coperte di lana (cui si aggiungeranno altre 10.000 oggi) per mitigare il tagliente freddo delle notti di paura, i medicinali tanto necessari e soprattutto il plasma sanguigno.
Un’autocolonna della Croce Rossa Italiana, coordinata dal prof. Troia, direttore sanitario di Villa Sofia, è partita al mattino con un carico di 40 litri di plasma sanguigno, che la CRI teneva in deposito per conto del “Comiliter” il quale l’ha ceduto ai terremotati. L’unità mobile, inviata a Salaparuita, purtroppo, a causa del traffico interrotto, ha dovuto essere dirottata su Castelvetrano, dove s’è fermata, attrezzando un piccolo ospedale da campo. Essa è composta dai dottori, Longo, che la dirige, Franco, Garso, Sallitto, D’Ancona, Donato e Agnello.
Un’altra unità mobile della CRI è partita alla volta di Santa Margherita Belice. Il coordinatore del servizio è il colonnello Porcino, comandante il 12’ centro di mobilitazione, al quale a qualsiasi ora e per qualsiasi informazione i cittadini potranno rivolgersi.
Un gruppo di volontari ha già preso parte alla seconda autocolonna della CRI.
Un’altra autocolonna, composta dai vigili del fuoco è sbarcata in serata al porto dal “Canguro Rosso”. Ancora unità mobili miste, dell’Esercito, dei carabinieri, di agenti di P.S. e di vigili del fuoco, sono partite sempre ieri.
Da stamane alle 8,30 entrerà in funzione diretto dal Centro operativo del “Comiliter” comandato dal maggiore Grizzafi un nucleo di coordinamento con sede presso la Stazione ferroviaria di Salemi. Affiancato da un centro logistico il nucleo provvederà alla gestione ed alla distribuzione di materiali di soccorso, di cibo, di medicinali.
La Prefettura di Palermo ha acquistato notevoli quantitativi di pane che ha spedito in ragione di circa 80 quintali ai comuni terremotati dell’Agrigentino e del Trapanese. Altri 2 quintali ne ha recapitati, con mezzi requisiti o messi a disposizione, e guidati da autisti dell’Amat, per distribuirli nei comuni colpiti della provincia palermitana.
Un’importantissima iniziativa è stata perfezionata nel pomeriggio dal prefetto di Palermo Ravalli assieme al medico provinciale Realmuto, al presidente dell’Ospedale civico Martellucci e al Predide della Facoltà di Medicina D’Alessandro. Essa è riferita alla disponibilità di 500 posti letto per feriti gravi che potranno essere urgentemente operati in 12 sale operatorie allestite presso il Policlinico e il Civico.
Il sindaco Bevilacqua, da parte sua, ha messo a disposizione 7 autobus dell’Amat e 2 autobotti del Cantiere municipale.

Venti profughi di Gibellina sono giunti a Monreale da dove sono stati avviati all’asilo notturno dell’ECA.
Circa 100 bambini, ospitati in un istituto religioso di Montevago, sono stati affluire d’urgenza a Palermo, dove il dott. Pindaleo, della Prefettura, quale commissario dell’orfanotrofio …. Si è detto disposto a ospitarli.Anche il direttore dell’orfanotrofio “Don Orione” ha fatto sapere d’essere disposto ad ospitare 12 orfanelli che frequentino la prima, la seconda e la terza media.



giovedì 26 novembre 2009

COSTITUZIONE della Repubblica Italiana. Articolo 5: L'Italia può restare unita ?

   L'articolo 5 della Costituzione è quanto mai attuale nell'odierno dibattito sul cosiddetto "federalismo fiscale", cavallo di battaglia della Lega Nord e pasticciatamente contrastato dai "pasticcioni" Miccichè e Lombardo della nostra Sicilia. Ma l'articolo 5 è attuale perchè fra poche settimane inizieranno le ricorrenze sul 150' anniverversario dell'Unità d'Italia; quell'unità voluta in forma accentrata ed ignorando le diversità del paese. Nonostante la forma accentrata con cui l'unità è avvenuta c'è da dire una cosa che forse pochi sanno. Dal 1860 all'avvento del fascismo i comuni, le autonomie locali, avevano maggiori e più ampi spazi di intervento di oggi. Per fare un esempio la scuola dell'obbligo dipendeva dal Comune; era questo che fissava l'organico degli insegnanti e che li assumeva. Gli insegnanti erano impiegati comunali.
Oggi il Comune è socio costituente formalmente con pari dignità, insieme alla Provincia, alla Regione e allo Stato, della Repubblica Italiana, ma ha un peso irrisorio, per non dire nullo. Non ha nemmeno il potere di decidere da sè stesso come gestire i servizi locali (acqua, rifiuti etc.), cioè se gestirli direttamente in economia o affidarli in appalto; decidono infatti tutto lo Stato e la Regione. Servirebbe davvero una riflessione seria sugli spazi che competono, in un regime che vorrebbe essere democratico, alle comunità locali e quelli che competono ai livelli superiori di governo.
Il Contessioto


ARTICOLO 5: L’Italia può restare unita ?
di Lorenza Carlassare

E’ possibile parlare di federalismo ? Dipende da come lo si intende. La Costituzione disegna uno Stato delle autonomie tutte egualmente tutelate, non uno Stato federale.

L’articolo 5 recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

La Repubblica delle autonomie: un regionalismo forte nell’unità. Tocca nodi sensibili questa disposizione, una vera rivoluzione rispetto alle esperienze del passato. Inizia con due affermazioni legate fra loro; l’unità e indivisibilità della Repubblica è proclamata ad evitare che il riconoscimento solenne delle autonomie locali e gli ampi poteri legislativi attribuiti alle Regioni (art. 117) mettano a rischio l’unità italiana. Abbandonato il modello di Stato unitario fortemente accentrato si vuole che nella ripartizione di poteri e competenze tra i diversi enti territoriali di cui kla Repubblica si compone (Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni e Stato: art. 114) non vada perduta l’unità politica. La norma, collocata tra i principi fondamentali della Costituzione, segna una soglia invalicabile e per gli stessi organi legislativi che intendano procedere a modifiche della Costituzione. L’unità è un limite al principio delle autonomie: sono due valori che devono comporsi non contrapporsi. La scelta della Costituzione è il pluralismo. Si cambia finalmente il volto dello Stato ponendo un principio nuovo contrario alla scelta accentratrice compiuta nell’800 e rafforzata poi dal fascismo. La trasformazione riguarda sia l’ordinamento della Repubblica –costituito da una pluralità di centri autonomi (regioni, province, comuni) e non più da un unico ente, lo stato, non più verticistica ma decentrata, con organi periferici dotati di reali poteri. La carica rivoluzionaria di questa disposizione ha stentato molto a tradursi in un reale mutamento del sistema e ancora stenta. Non è facile rompere lo schema del passato, l’abitudine ad un unico centro di comando, le resistenze dell’apparato burocratico, la mentalità consolidata.

Le disposizioni su regioni, province e comuni contenute nella seconda parte della Costituzione (titolo V) trovano nell’art. 5 un’anticipazione significativa: la collocazione del principio delle autonomie locali tra i principi fondamentali sottolinea il valore politico-costituzionale delle autonomie, strumenti di libertà e democrazia e non soltanto di buona legislazione e amministrazione: garantendo il diritto a partecipare attivamente alla vita degli enti territoriali (scriveva Esposito) costituiscono per i cittadini “esercizio, espressione, modo di essere, garanzia di democrazia e libertà”. Autonomie territoriali e decentramento insieme dovrebbero evitare, attraverso un sistema complesso, che tutto si concentri nello Stato e che, entro lo Stato, tutto si concentri in pochi organi. Anche il “decentramento”, infatti, come principio fondamentale, implica un radicale rinnovamento dell’apparato dello statale. Esso in sostanza vuole che alla pluralità degli uffici statali “corrisponda, nella più ampia misura, la indipendenza di decisione”; che gli organi periferici “siano vincolati alle regole di diritto, ma non agli ordini, alle direttive, all’influenza degli organi centrali”; che lo Stato da meccanismo mosso dal centro, si muti “in organismo vivente, composto da parti viventi”. Un progetto difficile da realizzare, tanto lontano da una prassi vecchia e consolidata dalle origini dello Stato italiano. La valorizzazione delle autonomie, nella profonda differenza delle molte parti di un’Italia lungamente divisa in Stati diversi con norme, tradizione giuridica e cultura diverse (basta pensare alla civiltà del Granducato di Toscana il primo ad abolire la pena di morte), dovette cedere di fronte alle istanze di una rigida unificazione. Eppure –oltre ai progetti federalistici o autonomistici precedenti all’unificazione e al dibattito sempre vivo fino agli anni del fascismo- vale la pena ricordare che lo stesso governo Cavour presentò un disegno, steso da Farini e Minghetti succedutisi nella carica di Ministro dell’Interno (1860-61), che mirava a conciliare l’esistente “varietà regolamentare delle parti d’Italia all’unità legislativa di tutta la nazione” creando un consorzio interprovinciale denominato Regione. Un disegno subito respinto benché molto cauto. L’unico ente con qualche autonomia a livello amministrativo fu il Comune, finchè il fascismo non la compresse. Caduto il regime la questione delle autonomie, in particolare delle Regioni, ripresa già con il governo Badoglio fu affrontata fin dall’inizio in Assemblea Costituente. Ma in questa parte la Costituzione rimase a lungo inattuata: troppi interessi, troppe resistenze hanno ostacolato il cammino delle regioni che solo dal 1970 prende faticosamente avvio. La composizione tra i due principi fondamentali dell’art. 5 –autonomie territoriali e unità dello Stato- non si è rivelata agevole. Ora si pensa a nuove modifiche del titolo V, s’intende, entro i limiti insuperabili dell’art. 5: l’unità politica della Repubblica esige coordinamento, armonia e integrazione fra i vari livelli di governo, non contrapposizione politica; l’indivisibilità rende illegittima la divisione della Repubblica in più stati o la separazione di una parte del territorio. E’ possibile parlare di federalismo ? Dipende da come lo si intende; la Costituzione disegna uno stato regionale, o meglio, uno Stato delle autonomie tutte egualmente tutelate, non uno Stato federale. Se è vero che la differenza fra i due è solo quantitativa, si tratterebbe di comprenderne la misura per non infrangere l’unità. Non bastano i nomi a modificare le cose.

Seduta Consiglio Comunale - lotta di potere interna alla maggioranza

Domenica 29 novembre alle 9,30 è fissata, in prima convocazione, una seduta del Consiglio Comunale per trattare:
1-Una mozione con prima firmataria Anna Fucarino e sottoscritta da Nicola Cuccia e Giuseppe Tamburello intesa ad impegnare l'Amministrazione Comunale a farsi sostenitrice presso la Regione Sicilia di una legge che deroghi i provvedimenti del ministro della pubblica istruzione, Gelmini, miranti a sopprimere l'autonomia di quegli istituti scolastici che hanno meno di 300 alunni. Il provvedimento derogatorio invocato dal legislatore regionale è in linea con la Costituzione Repubblicana che prevede la tutela effettiva delle minoranze linguistiche presenti in Italia;
2- una interrogazione, presentata da G. Cannizzaro e P. Stranci, con cui si chiede all'Amministrazione comunale spiegazione sul mancato avvio, all'inizio dell'anno scolastico, della refezione;
3- una proposta di variazione al bilancio finanziario 2009, intesa a conformare alle esigenze di fine anno dell'amministrazione le disponibilità finanziarie.
     L'ipotesi dell'Amministrazione è contestata da un emendamento presentato da due consiglieri di maggioranza (Spera, Guarino) e due di minoranza (Cannizzaro, Spera) che, a loro volta, ritengono di dover usare le residue risorse di fine anno per creare un ambiente arredato a disposizione dei consiglieri comunali e dei cittadini che dovessero seguire le sedute.
4- L'ordine del giorno prevede anche la discussione della Relazione sull'operato dell'Amministrazione Comunale nell'ultimo anno e mezzo.

   Il Contessioto si riserva di formulare in seguito, come qualsiasi cittadino, il proprio convincimento su ciò che accade (e su ciò che non accade) all'interno del palazzo di città.

   In questa sede evidenziamo solamente che convocare la seduta consiliare la domenica mattina corrisponde alle convocazioni delle assemblee di condominio dei palazzi cittadini per la mattinata di Natale. E' come se si dicesse ai condomini "non venite, faremo tutto in seconda convocazione fra tre amici".
Segno dei tempi; ossia termometro su un orizzonte che segna constrasti "esclusivamente interni" alla maggioranza.
  In questi casi sarebbe preferibile per il paese amministrato, e per la stessa maggioranza, che si regolassero, alla luce del sole, i conti che non tornato. Chiareza e trasparenza sono elementi essenziali della democrazia.
   Il Contessioto

martedì 24 novembre 2009

Pagheremo cara l’acqua del rubinetto

La riforma dei servizi locali
E’ stata approvata la riforma dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, distribuzione gas domestico).
Gli analisti (in genere economisti) ci chiariscono, in questi giorni, sui giornali che il pregiudizio non deve sussistere su chi gestisce il servizio (azienda pubblica o privato imprenditore); in pratica  non bisogna avere pregiudizi se gli impianti che verranno usati saranno di provenienza pubblica o privata, ma, ci fanno capire, per giudicare della bontà o meno della scelta politica voluta dal Governo, con la riforma legislativa, dobbiamo porre attenzione su come quegli impianti verranno usati, sull’uso che verrà fatto dei beni.
Comportamento dei privati in regime di concorrenza
Adam Smith, padre dell’economia (in quanto branca del sapere), aveva spiegato che un fornaio lavora la farina per produrre il pane sicuramente non per spirito altruistico ma per desiderio di guadagno (egoismo). Al contempo aveva chiarito che il fornaio non innalzerà mai il prezzo del pane a sua assoluta discrezione perché terrà conto del comportamento degli altri fornai suoi concorrenti. Egli nei suoi propositi egoistici, in pratica, verrà moderato dal regime di concorrenza.

Comportamento delle aziende pubbliche
E’ agli occhi di tutti che le odierne aziende pubbliche che si occupano di servizi locali (p.e. Amia etc.) non sono, specie nel Meridione, gestite dai loro amministratori in vista di curare l’interesse collettivo bensì per favorire, nelle migliori delle ipotesi, il clientelismo a beneficio dei loro clan-elettorali e, nelle peggiori, interessi inconfessabili.
E’ pertanto palese che spessissimo il pubblico, l'azienda pubblica, persegue interessi di parte (clientelismo elettorale) ed il privato, se associato alla concorrenza, persegue (magari inconsapevolmente) interessi collettivi.
Alla luce delle considerazioni finora svolte si può ben affermare: ben vengano le privatizzazioni se sono in grado di scompaginare le clientele !  Mah !
Il caso dei monopoli naturali
Nel caso specifico della privatizzazione dell’acqua, voluta dall’attuale governo, vediamo come stanno le cose.
I servizi pubblici locali (acqua, gas etc.) sono monopoli naturali, in pratica la concorrenza è tecnicamente impossibile. A Contessa Entellina sarebbe mai possibile avere due imprese che costruiscono due reti di approvvigionamento e due reti, distinte, di distribuzione ? No di certo. I costi sarebbero elevati a fronte di una utenza limitatissima.
Cosicchè la legge varata dalla Camera in questi giorni, dove la maggioranza parlamentare era perfettamente a conoscenza che i servizi di cui si discuteva ricadevano in un regime di monopolio naturale, ci assegnerà degli operatori privati, privi sul territorio loro assegnato di concorrenti.
Come scriveva tre secoli fa Adamo Smith essi faranno gli imprenditori con l'acqua potabile, non sulla spinta dell’altruismo bensì dell’egoismo.
Dovrebbero, almeno, esistere contrappesi nei poteri pubblici tali da garantirci:
-la qualità dell’acqua;
-gli investimenti necessari per mantenere l’efficienza delle reti;
-la possibilità di sostituire l’operatore privato “egoista” nel giro di pochi anni se si dimostra al di sotto delle attese;
-che sia evitato l’arricchimento, nel breve periodo, dell’operatore privato che pur di soddisfare l'“egoismo” abbandoni al suo destino la rete dell'acqua.
Qui da noi, nel Meridione, quando mai le Autorità pubbliche hanno saputo imbrigliare, al fine di tutelare l’interesse pubblico, le moderne imprese quotate in piazza Affari, che puntano ad essere multinazionali ?
La legge varata in questi giorni dalla Camera, peraltro, non prevede che le tariffe che saranno elaborate dai privati operatori siano, in precedenza, valutate da organi pubblici.
In presenza di monopoli naturali anche il liberista Adamo Smith ammetteva che fosse la mano pubblica a curare i servizi pubblici.

COSTITUZIONE della Repubblica Italiana. L’articolo 4: Il lavoro

COSTITUZIONE, articolo 4: il lavoro

di Lorenza Carlassare

L’occupazione oltre che un diritto sociale è una libertà individuale in cui rientra la scelta dell’attività e si concretizza nella libertà di accesso al mercato

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il diritto di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Del lavoro si parla fin dal primo articolo della Costituzione –L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro- il cui significato polemico è chiaro: il criterio prevalente per il riconoscimento della dignità morale e sociale dei cittadini dev’essere il lavoro, non la proprietà come nelle Costituzioni liberali dell’800 che la definivano un diritto sacro ed inviolabile. L’articolo 4 –collocato tra i principi costituzionali subito dopo i diritti della persona e l’eguaglianza (articoli 2 e 3) che ne sono il presupposto- ha il significato di dichiarare la rilevanza costituzionale del lavoro (come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale). Per questo, nel suo stretto legame con l’art. 1, illumina di senso l’intero sistema: il lavoro è posto come elemento informatore dell’ordinamento.
Benchè non si tratti “di un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria” come si legge nella Relazione al Progetto di Costituzione, il diritto al lavoro non è mera affermazione retorica ma ma ha conseguenze giuridiche precise, la prima già espressamente indicata nell’art. 4: la Repubblica deve promuovere le condizioni che rendono effettivo questo diritto. E’ l’indicazione di un fine da perseguire, che vincola lo Stato, le Regioni e tutti gli enti in cui la Repubblica si articola. L’art. 4 ha funzione di criterio generale direttivo e interpretativo, indicando quali devono essere i criteri di interventi pubblici, indirizzando l’attività dei pubblici poteri ad attuare una politica di piena occupazione.

Per la Corte costituzionale (sentenza n. 61 del 1965) dall’art. 4 si ricava che il diritto al lavoro è un “fondamentale diritto di libertà della persona umana che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell’attività lavorativa”. E ciò comporta, per quanto riguarda lo Stato, da una parte il divieto di creare o lasciare sussistere norme che pongano limiti discriminatori a tale libertà o la rinneghino; dall’altra l’obbligo “di indirizzare l’attività dei pubblici poteri … alla creazione di condizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano l’impiego di tutti i cittadini idonei al lavoro”. Un obbligo giuridico che dovrebbe concretizzarsi in una politica di sviluppo economico indirizzata alla creazione di posti di lavoro, in una politica in grado di determinare “una situazione di fatto tale da aprire concretamente alla generalità dei cittadini la possibilità di procurarsi un posto di lavoro”, ha detto ancora la Corte costituzionale (sent. N. 105 del 1963).

Il lavoro dunque oltre che un diritto sociale che comporta per lo Stato l’obbligo di intervenire nel mercato del lavoro, è una libertà individuale in cui rientra la scelta dell’attività lavorativa e si concretizza nella libertà di accesso al lavoro, nella pretesa a che le offerte di lavoro siano aperte a tutti in modo eguale, senza discriminazioni che non siano quelle derivanti dalla capacità e/o dalla preparazione specifica richiesta dal tipo di attività.
Tutti siamo interessati: “lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana”, fu subito chiarito. Il lavoro si esplica non soltanto nelle sue forme materiali “ma anche in quelle spirituali e morali che contribuiscono allo sviluppo della società”. L’ampiezza del concetto di lavoro risulta evidente dal comma 2 dello stesso articolo 4 dove si parla del “dovere” di lavorare, e si afferma che ogni cittadino ha il dovere di svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Concorrere a tale progresso significa adempiere un obbligo di solidarietà: è sempre il concetto espresso nei precedenti articoli che ritorna; la solidarietà, la pari dignità sociale, lo sviluppo della persona in condizioni di eguaglianza trovano nel lavoro un mezzo potente per rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3).

La parte finale dell’art. 4 fornisce un altro chiarimento importante: ciascuno ha il dovere di esercitare un’attività lavorativa “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”. In Assemblea Costituente si insistette molto su queste parole, ad evitare che si pensasse all’imposizione di un lavoro obbligatorio: “L’Assemblea vuole fare soltanto un’affermazione morale e politica che non comporta vincoli e coazioni per il cittadino”.

L’articolo 4 comprende il diritto alla conservazione del posto di lavoro ? Se il diritto al lavoro non è il diritto ad ottenere un’occupazione, “ciò non esclude che per i rapporti già costituiti si imponga una adeguata protezione del lavoro nei confronti del datore di lavoro” (sent. 45/1965). Dopo questa ed altre precedenti sentenze della Corte costituzionale, la disciplina dei licenziamenti è cambiata: la libertà di recedere dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato salvo preavviso, è divenuta del tutto residuale. Che dire oggi di fronte alla situazione del lavoro ? Tra le varie norme che lo tutelano, mi sembra necessario ricordarne una, come conseguenza diretta del lavoro, come diritto, l’art. 36: in caso di disoccupazione involontaria, i lavoratori “hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”. Adeguati, s’intende: e se ogni tanto i nostri governanti se ne ricordassero ?



lunedì 23 novembre 2009

Art. 3 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti la legge ...

   Lodo Alfano (meglio dire legge Alfano), processo breve, espressioni sulla bocca di tutti in queste ultime settimane..
Il lodo è stato ritenuto incostituzionale perchè cozzava contro l'art. 3 della Costituzione. Il processo breve (attualmente semplice disegno di legge) rischia pure esso di cozzare contro l'art. 3 della Carta Costituzionale.
 E' stato detto che il lodo cozzava anche contro l'art. 138. In verità così non è. L'art. 138 indica il modo per modificare la Costituzione e tanti presupposti indicano che la Costituzione seppure modificata a favore delle oligarchie non digerisce bene i privilegi.
Il Contessioto


LA COSTITUZIONE HA VINTO
di Lorenza Carlassare

La Costituzione ha vinto. L'art. 3, malvolentieri applicato dai governanti, è stato spesso in gioco anche quando si è trattato di valutare la conformità alla Carta di leggi recentissime: il lodo Alfano, sottoposto al giudizio della Corte per violazione del principio di eguaglianza davanti alla giurisdizione che non consente privilegi per le alte cariche dello Stato, ieri è stato dichiarato illegittimo. Per lo stesso motivo il lodo Schifani era stato dichiarato illegittimo nel 2004.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; così inizia l'articolo 3. L'eguaglianza, vessillo delle rivoluzioni settecentesche vola da un continente all'altro -dalle ex colonie inglesi d'America (1776) alla Francia (1789)- e sta ora alla base delle democrazie costituzionali di tutto il mondo. Non c'è più "per nessun individuo, privilegio, nè eccezione al diritto comune di tutti i francesi" stabiliva la Costituzione del 1791: l'eguaglianza di fronte alla legge vieta sia le discriminazioni sia i privilegi. Ma è sempre vero ?

Valore condiviso, l'eguaglianza ha percorso un difficile cammino insidiata da interessi potenti: nella stessa Francia della rivoluzione, la borghesia, arrivata al potere, non volendo dividerlo con altri, escluse subito che tutti avessero il diritto di votare. Nell'esperienza italiana l'eguaglianza perse ogni valore durante il fascismo. Le violazioni furono continue. Alle discriminazioni contro i non iscritti al partito, contro le donne e i celibi, seguirono le discriminazioni drammatiche nei confronti dei cittadini di razza ebraica, sottoposti a limiti o esclusioni in tutti i settori: dai diritti politici alla scuola, dalle professioni all'attività industriale e commerciale, fino alla sfera privatissima della libertà di sposarsi. Oggi, elimanata dalle norme (da quasi tutte almeno), la diseguaglianza resiste nei fatti non essendosi realizzato il programma sociale che la seconda parte dell'art. 3 prevede. Neanche il "privilegio" è morto: chi è al potere tende ancora a risuscitarlo per sè.
L'articolo 3 stabilisce il principio generale di eguaglianza dei cittadini di fronte all'ordinamento, e, insieme, vieta alla legge di dar rilievo a determinate caratteristiche o situazioni: sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni economiche e sociali. La legge che, nonostante il divieto, le ponga a base di una disciplina differenziata sarà sempre illegittima, salvo che la Costituzione stessa lo consenta (come ad esempio all'articolo 6: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche"). Quando invece non siano in gioco sesso, razza o altre situazioni elencate, il discorso è diverso. La legge non deve trattare tutti all'identico modo, ma deve tener conto delle situazioni differenti: una misura a favore dei soli invalidi, ad esempio, non sarà un privilegio, e chi non è invalido non potrà pretendere di usufruirne. Vietate sono soltanto le differenze "ingiustificate", in tutti i settori dell'ordinamento.
L'ampia sfera di applicazione del principio di eguaglianza spiega perchè la violazione dell'art. 3 sia il motivo più frequente di incostituzionalità delle leggi. Di fronte all'inerzia del legislatore, spesso lunghissima e ingiustificata, il contributo della Corte costituzionale è stato determinante per eliminare norme del passato (sulle libertà, sul processo penale, sul diritto di famiglia, sull'accesso ai pubblici uffici, ecc.).

Articolo 3, comma 2. Nella realtà i cittadini non sono eguali e la Costituzione ne prende atto: i profondi dislivelli economici, culturali, sociali che li dividono devono essere ridotti perchè si realizzi un minimo di omogeneità sociale indispensabile al funzionamento della democrazia. Nel primo comma si tutela la persona e la sua dignità -tutti i cittadini hanno "pari dignità sociale" e sono uguali davanti alla legge senza distinzione "di condizioni personali e sociali"-, nel secondo si impone allo Stato il compito di assicurare le condizioni necessarie per il pieno sviluppo della persona e per una partecipazione effettiva all'organizzazione politica, economica, sociale del Paese. Si riconferma così, in nome della persona, il necessario intervento dello Stato al fine di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana" e l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Il secondo comma dell'articolo 3 è la base dei diritti sociali, senza i quali i diritti di libertà sono formule vuote: che cosa se ne fà della libertà di stampa un analfabeta ? L'istruzione, la salute, oltre a condizioni economiche sufficienti a rendere dignitosa la vita, sono le precondizioni della democrazia. E' però un programma da realizzare. Un programma che, a sessant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, non è stato ancora realizzato. Oggi anzi l'ordinamento italiano sembra aver imboccato un cammino a ritroso, verso un ulteriore estensione delle diseguaglianze. Paiono in discussione le stesse basi ideali sulle quali poggia il nostro sistema democratico.

domenica 22 novembre 2009

Antiche tradizioni - pratiche - usi - specificità locali, rilevabili ai giorni nostri (1)

  Nell'approssimarsi dell'8 dicembre, giornata che la Chiesa dedica all'Immacolata, ci piace tirare fuori dagli scaffali un libro di grande importanza per la memoria, di ogni paese di Sicilia, di antichi gesti, e di vecchie pratiche che ancora oggi restano nei nostri costumi e nelle nostre abitudini.
 Il libro è di Ignazio E. Buttitta, ed il titolo è "Le fiamme dei Santi - Usi rituali del fuoco in Sicilia" - Meltami editore srl-Gli Argomenti(*).
   Nell'interessante e vasto libro poco spazio è, purtroppo, dedicato a Contessa Entellina e l'interesse è puntato sul fuoco che viene appiccato, nella serata del 7 dicembre, a U DIAVULAZZU.
   Riportiamo integralmente quanto scrive Ignazio Buttitta che sarebbe stato rilevato il 7 dicembre 1996, puntualizzando soltanto che la sera del 7 dicembre non viene celebrata alcuna messa; vengono solamente cantati i Vespri.
 Il Contessioto

Contessa Entellina (7-12-1996) è un piccolo centro collinare che conta circa 2000 abitanti, una parte dei quali di origine albanese. Il primo nucleo dell'attuale abitato fu infatti fondato nella seconda metà del '400 da un gruppo di albanesi con l'aiuto di Caterina Cardona, contessa di Chiusa. Si parla ancora da alcuni in arbreshe e, accanto a quello latino, si amministra il rito greco. A Contessa, la sera precedente la festa dell'Immacolata, presso la chiesetta dedicata a San Rocco, si effettua il rogo dei "diavuli", fantocci costituiti da vecchi abiti imbottiti di paglia. I fantocci tradizionalmente sono due ma, in realtà, il loro numero varia di anno in anno. In occasione del mio rilevamento erano quattro. La loro realizzazione è sempre stata affidata ad adulti, mi dice l'attuale costruttore di "diavuli".
 In realtà egli ne ha realizzati due, i principali, mentre i ragazzi ne hanno fatti due un pò più piccoli. Tutti e quattro, al termine della messa in rito greco, vengono fatti scivolare su di un filo metallico da un ampio foro circolare che si apre sul portale della chiesa. Il filo è teso fra questa e un palazzo di fronte. Prima del restauro della chiesa i fantocci venivano lanciati, secondo le stesse modalità dal campanile. Terminata la messa, al suono festivo delle campane, i fedeli cominciano a disporsi nella piazza dove già ha preso posto la banda. Un rullo di tamburo, la banda inizia a suonare. Si spengono le luci della chiesa ed ecco scivolare sul filo, a mò d'impiccato, il primo "diavulu". Una volta sospesi a mezz'aria un ragazzo dà fuoco ai fantocci per mezzo di uno straccio posto in cima a una lunga canna (in passato si usavano dei torcioni di ddisa). Uno a uno i diavuli scivolano sul filo e vengono bruciati mentre la banda continua a suonare allegre marce. Il fuoco smembra e distrugge i fantocci che cadono al suolo in brandelli fumanti sotto gli sguardi compiaciuti degli adulti e le urla di gioia dei più piccoli. In breve sono ridotti in cenere e la gente può pornare in casa soddisfatta di aver visto anche quest'anno la Madonna trionfare sul simbolo del male le cui ultime misere vestigie finiscono di consumarsi sulle pietre del sagrato: 'Diavuli si chiamano' è quanto dice anche il parroco nel corso della sua predica, durante la celebrazione della messa.

" e quella cosa che faremo ora vuole significare attraverso un pò di folklore che il demonio è sconfitto (...) ecco il demonio viene bruciato e stasera ne abbiamo in abbondanza di demoni (...). Che sia lo stimolo per noi a prendere coscienza di una realtà esistente che è il demonio e che vogliamo, come degni figli di Maria, vogliamo distruggere anche attraverso questo gesto che sa di folkloristico, ma sicuramente ha espresso e deve continuare ad esprimere la semplicità della nostra terra. Sia lodato Gesù Cristo."

Si voglia discutere o meno lo spessore antropologico (e qualcos'altro) della predica, almeno a Contessa Entellina non si osserva l'ottusa battaglia condotta in altri luoghi dalla Chiesa contro i riti "pagani".

(*)Ignazio E. Buttitta insegna Etnostoria presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari e Etnoantropologia presso la Facoltà di Economia dell’Università “Kore” di Enna. Tra le sue pubblicazioni: Feste dell’alloro in Sicilia (1992); Le fiamme dei santi. Usi rituali del fuoco in Sicilia (1999). Per Meltemi ha scritto il saggio "I corpi dei santi. Breve discorso intorno alle immagini della santità" pubblicato ne Il corpo e la festa (1999) e i libri Le fiamme dei santi (1999), La memoria lunga (2002), I morti e il grano (2006) e Verità e menzogna dei simboli (2008).

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte quinta)

Giornale di Sicilia
17-01-1968


Il dramma dei sopravissuti
Vagano per i campi inseguiti dalle scosse sismiche
di Pietro Petrucci

Maledetto terremoto che dopo tre giorni ancora non finisce. Non gli basta mezza Sicilia straziata, migliaia di fantasmi di uomini che scappano in un paesaggio infernale. La terra si muove ancora e quando la terra si muove ormai non grida più nessuno, fra i gruppi allucinati dei superstiti si levano solo mormorii, giaculatorie, singhiozzi. Queste montagne impazzite che sussultano non uccidono più; siamo tutti all’aperto direttamente sotto il cielo, in salvo da una morte orribile e in preda a una rassegnazione di nervi ormai saltati.

Il volto di quelli –e sono migliaia- cui il terremoto ha portato via tutto è uno solo: il volto contadino. Una tragedia di campagnoli, una circonferenza di desolazione che affiora. Trapani, Palermo e Agrigento.

Se Montevago è rasa al suolo, Roccamena lontana sessanta chilometri non ha una casa dove si possa ritornare tranquilli. Se Montevago è piena di morti, Camporeale è piena di morti vivi. Da un’estremità all’altra li unisce il frumento, i muli, le pecore e qualche vigna sul versante trapanese.

Gennaio è un mese morto; nient’altro da fare che stare in paese e lottare contro il freddo col fuoco. Il pastrano e lo scopone dietro i vetri appannati. Il frumento è lì sotto la terra appena dissodata; è appena un’erbetta verde. La piccola scorta di denaro dei sacchi venduti al consorzio sta per finire.

Il terremoto batte pazzo con i contadini tappati in paese durante l’inverno più freddo che si sia mai visto. Adesso li ha ributtati nella campagna che non li aspettava, fino a marzo. E vagano fra i campi nudi inseguiti dai sussulti della terra, dai fruscii che precedono le scosse, dai rimbombi sinistri.

Dopo tre giorni la paura è diventata malessere e stanchezza.

In questa campagna, da una collina all’altra, i disperati si vedono fra di loro; imbacuccati attorno al fuoco senz’altro pensiero che le cose perdute. Adesso anche la fame. Il terrore li ha portati fuori dalle rotte dei soccorsi, lontani da quelle macerie che fanno venire un’ossessione. Non hanno pane, latte per i bambini, acqua, una tenda.

Chiedono a me notizie su “quello che sta succedendo”. Il loro dramma è cominciato in paese e si completa nelle campagne improvvisamente ripopolate. I contadini di Camporeale non sanno ancora bene di Montevago, quelli di Santa Ninfa non sanno di Santa Margherita.

La radio a transistor è una spesa inutile. Chi ce l’aveva aveva la radio grande, quella col mobile bar e il grammofono; si possono vedere fra le macerie o in quelle stanze squarciate con le Madonne ancora attaccate.

La macchina dei soccorsi che forse soffre di elefantiasi, anche quando sarà avviata difficilmente si accorgerà di questi contadini che non sono rimasti a guardare calcinacci e rovine. Erano diseredati quando la terra non si muoveva e sono rimasti diseredati anche nella sciagura.

La macchia della disperazione ha fatto un alone di terrore che si stende fino a tre quarti della Sicilia. La terra non si ferma più. Mentre ci si chiede che direzione abbia preso questa dannata forza d’urto che si chiama epicentro; a Palermo sussultano palazzi e a Gibellina le scosse ruminano le macerie.

La tragedia grande è fatta di tante tragedie singole che da sole spezzano il cuore.

A Gibellina un gruppo di vigili del fuoco che lavorava fra i massi ha sentito un lamento: si sono buttati scavando con le mani, con le unghia. Il lamento si interrompeva poi si udiva ancora, sempre più vicino, sempre più straziante. Sotto una trave una creaturina rannicchiata col viso bianco di gesso sbriciolato.

Dieci mani verso la bambina con gli occhi chiusi e i pugni stretti. Un vigile del fuoco se l’è stretta al petto sorridendo e piangendo come piange un omaccione in divisa. Le ha soffiato sul faccino smunto per spolverarlo, l’ha baciata. Gli altri attorno a lui tutti con un groppo qui: uno le toglieva calcinacci di tra i capelli.

Poi la bambina ha aperto gli occhi grandi e spaventati e li ha fissati sull’omaccione con i lucciconi. Ha chiesto di sua madre con la semplicità dei bambini, come si fosse sperduta. La madre è rimasta lì sotto il mucchio, forse con le braccia tese verso di lei.

Con le braccia tese in avanti e la testa rannicchiata sono quasi tutti i cadaveri che le case distrutte restituiscono. A Gibellina così come a Montevago. Bloccati e schiacciati nell’estremo tentativo di sfuggire alla morsa dei muri che si chiudevano sulle loro teste. Non si sa letteralmente dove metterli i morti; non si sa come rispettare questi cadaveri che spesso non hanno nemmeno i segni della morsa che li hanno uccisi.

Non c’è un tetto rimasto su che possa coprirli, un muro che possa sottrarli agli occhi dei sopravissuti che a vederli sentono crescere l’angoscia.

A Gibellina li hanno adagiati sulle lastre del cimitero, sulle tombe anch’esse spaccate dal terremoto.


Appena fuori Montevago una parte degli scampati non ha voluto andare con i camion che li avrebbero portati fuori dall’incubo fra mura che non tremano. In un “accampamento” sono rimasti tutti quelli che hanno uno dei propri cari fra i disperati: sanno che dispersi significa una cosa sola, restati sotto la casa. Un solo filo di speranza: sotto le macerie ma ancora vivi. Aspettano senza più “lacrime”

A Salaparuta tre maialini vagano terrorizzati sulle rovine; nessuno ha il coraggio di prenderli, di fare un torto anche piccolo a chi è sulla stessa barca di disperazione: così nessuno tocca pulcini e galletti di un pollaio rimasto intatto a Gibellina. Un vigile del fuoco ha trovato una gabbia e cardellino, l’ha riposata dentro, solo il proprietario, se è vivo, avrà il coraggio di chiederli.

A un piccolon allevatore di Poggioreale il terremoto ha portato via, stritolate, trentadue mucche: un capitale grande, enorme. La tragedia degli animali è quella stessa dei contadini per cui un mulo o una vacca sono il primo bene “immobile” dopo la casetta di gesso e mattoni spazzata via.

Oggi era tornato il sole, era andata via quella cupola grigia di nuvole ossessionanti; sembrava che il cielo lasciasse almeno piangere liberamente, sfogarsi senza quei sussulti nel cervello. Poi la terra ha tremato anche sotto il sole. All’imbrunire di nuovo una scossa tremenda. Da Camporeale rimbalza la notizia di una montagna spaccata, di crateri che fumano. La fine del mondo, se non è questa, è certamente così.

sabato 21 novembre 2009

COSTITUZIONE della Repubblica Italiana. L’articolo 2: diritti inviolabili - doveri inderogabili

Proseguiamo con i commenti agli articoli della nostra carta Costituzionale, ripresi dal quotidiano 'Il Fatto'.  Conoscere la "Carta" è condizione per essere cittadino nel vero senso della parola. Non conoscendola si rischia di essere un suddito.
Il Contessioto

COSTITUZIONE, Articolo 2
di Lorenza Carlassare

NEL DAR VITA A UNA NUOVA COSTITUZIONE, GRUPPI DIVERSI PER FORMAZIONE POLITICA E CULTURA, TROVARONO UN PUNTO D'INCONTRO NEL VALORE DELLA PERSONA, PATRIMONIO DELLA TRADIZIONE CRISTIANA E DELLA CULTURA LAICA

"La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Considerato "la chiave di volta dell'intero sistema costituzionale" (Crisafulli), l'art. 2 - insieme all'art. 1 (principio democratico) e all'art. 3 (principio di equaglianza) definisce le linee dell'ordinamento repubblicano, ponendo tre fondamentali principi: centralità della persona, pluralismo, solidarietà. E' il rovesciamento della prospettiva dei regimi autoritari nei quali al centro del sistema è lo Stato, valore primario cui l'individuo è funzionale, di fronte al quale i diritti non hanno tutela.
La "persona" è stata sin dall'inizio il riferimento essenziale per le forze che, caduto il fascismo, si accingevano a dar vita a una Costituzione nuova. In Assemblea costituente non poteva mancare l'accordo sull'anteriorità della persona rispetto allo Stato e sulla necessità di rendere i diritti davvero "inviolabili", sottratti all'arbitrio del legislatore, immodificabili persino mediante il procedimento di revisione costituzionale (art. 138) come la Corte Costituzionale ha confermato. Gruppi diversi per formazione politica e culturale, al di là della divergenza sui presupposti - il riferimento alla diversità, alla "radice spirituale e religiosa dell'uomo" (La Pira); il riferimento alla ragione, alla tradizione di pensiero di cui è espressione la "Dichiarazione" della Francia rivoluzionaria (1789) - trovarono un punto d'incontro nel valore della persona, patrimonio della tradizione cristiana e della cultura laica. Alla fine, l'affermazione di Togliatti che il fine di un regime democratico è "garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana" trovò ampio consenso.

La prospettiva del liberalismo è arricchita: non basta garantire le sole libertà tradizionali; si tratta di assicurare a tutti condizioni minime di vita e di sviluppo per "ricostituire quel minimo di omogeneità della società sottostante allo Stato, cui è legata la vita di ogni regime democratico". (Mortati). I diritti dell'uomo da inserire in Costituzione, chiarisce La Pira, sono certamente "quelli indicati nella Dichiarazione del 1789", ma non solo: vi sono anche i "diritti sociali e delle comunità attraverso le quali la persona si integra e si espande". Il richiamo all'art. 2 alle "formazioni sociali", nel pluralismo che la Costituzione disegna, non consente però di limitare i diritti della persona, garantiti anche all'interno delle stesse formazioni, qualunque sia la loro natura (famiglia, partiti, sindacati, associazioni di vario tipo).
La centralità della persona conduce alla trasformazione dell'intero sistema, al ripristino dello Stato di diritto innanzitutto e del suo principio essenziale, la garanzia dei diritti e delle libertà che lo Stato non crea ma "riconosce", e degli altri principi indispensabili a realizzarlo: separazione dei "poteri" contro la concentrazione autoritaria, legalità, subordinazione dell'amministrazione alla "legge", possibilità per i cittadini di ricorrere in giudizio contro gli atti dei pubblici poteri. E, insieme, impone la ricostituzione delle strutture organizzative travolte dal regime, in primo luogo un Parlamento eletto. Dopo l'esperienza fascista che aveva travolto diritti e principi dello Statuto albertino (1848), era chiaro a tutti che la tuterla della persona e delle sue libertà richiedeva garanzie solide, non soltanto "proclamazioni". Questo punto di partenza conduce lontano: non solo orientava nella scelta della forma di Stato.
Innanzitutto una Costituzione "rigida", modificabile con un procedimento aggravato (art. 138 Cost.) che include le minoranze, per impedire alla maggioranza di disporre da sola della Costituzione. Una garanzia che per essere effettiva richiede un organo in grado di controllare le leggi dichiararle illegittime se contrarie ai principi; la Corte Costituzionale.
Al di là dei richiami espressi - la "pari dignità sociale" essenziale all'eguaglianza (art. 3), la "dignità umana"  limite all'iniziativa economica privata (art. 41) e all'imposizione di trattamenti sanitari (art. 32); il divieto di pene contrarie al "senso di umanità" (art. 27) e di "ogni violenza fisica e morale" sulle persone sottoposte a restrizione di libertà (art. 13), l'esistenza "libera e dignitosa" che la retribuzione deve (dovrebbe ?) assicurare al lavoratore (art. 36), il valore della persona e della sua dignità informa la Costituzione intera trovando attuazione e sviluppo nelle sue diverse parti. Ci sarebbe molto da dire sulla "solidarietà" e i "doveri" che l'art. 2 della Costituzione impone: li conoscono gli evasori fiscali ? Li conosce lo Stato che tanto benevolmente li tratta ?

venerdì 20 novembre 2009

Le storture del servizio postale. -2-

POSTE ITALIANE

 I giornali qualche giorno fà ci hanno fatto sapere che Poste Italia si accingeva a partecipare alla gara per aggiudicarsi lo smercio delle lotterie istantanee, meglio note “gratta e vinci”. Hanno rinunciato solamente per evitare le azioni legali ed i ricorsi preannunciati da altri aspiranti. Le Poste nate come azienda pubblica per il recapito della posta ne hanno fatta di strada ! Oggi infatti raramente recapitano la posta. A Contessa gran parte della corrispondenza, prevalentemente quella commerciale, transita mediante corrieri e soggetti privati, che magari si occupano di essa assieme ad altre attività.
  Il Ministro Tremonti, quello che per il sud inventa barzellette (Banca del sud ?), ma che per il nord è in combutta con Bossi, nelle settimane scorse ha pure ipotizzato di usare i 4.000 sportelli degli uffici postali disseminati nel Meridione per vendere le ”obbligazioni di scopo”, utili per drenare risparmio delle zone, assecondando l’inerzia economica che da noi la fa da padrona; l’inerzia è vero da noi c’è ma non c’è dubbio che qui mancano le infrastrutture che, come in ogni angolo del mondo, compete allo Stato e/o comunque alla Pubblica amministrazione realizzarle. Le poste sarebbero utili, per gli intenti di Tremonti; in Italia infatti esse dispongono di una rete di 14 mila punti, che secondo taluni supera quella delle stazioni dei carabinieri e compete, per capillarità, egregiamente con le parrocchie.

Oggi le poste vendono di tutto, dai Cd ai best seller, dai quaderni ai block notes, pennarelli, matite e penne; dai telefonini ai servizi della carta di credito, dal bancomat alla scheda telefonica; dalle polizze assicurative ai mutui per acquistare casa (grazie alla collaborazione con Deutsche Bank). Ma non è finita: volete viaggiare per recarvi a Lourdes o nei mari arabici, recatevi alla Posta per i biglietti aerei con Mistral Air.

Lettere e raccomandate ormai non sono più il business core (la missione) di Poste Italiane. La parola d’ordine di questa realtà economica si chiama “diversificazione” (cioè, dover fare di tutto). Per occuparsi di posta e raccomandate, ove l’impresa è in perdita, Poste Italia riceve dallo stato quasi 400 milioni. Ma a Contessa vediamo, come sopra evidenziato, che buona parte della posta arriva, quando arriva, mediante aziende private. Le Poste erano nate per un servizio pubblico e ormai fanno tutt’altro. La nostra non è una critica ma una ammirazione, se si pensa che in Italia Poste Italia occupa per volume di affari il terzo posto nella classifica delle imprese italiane dopo Edison ed Eni.

Il problema che ci si pone è che quella che oggi si chiama PosteItalia prosegua il suo cammino di conglomerato economico, anche perché in questi periodi di crisi economico-finanziaria consegue utili di bilancio; cosa da non crederci in questa Italia del declino e dove tutte le aziende a partecipazione pubblica sono saccheggiate dalle clientele politiche. Detto ciò è scontato che in un paese che vuole essere comunque definito civile serve un servizio postale, che offra garanzie di efficienza, riservatezza e puntualità.
Localmente, a Contessa, rileviamo che i postini cambiano con ritmi incredibili; essi non hanno tempo di conoscere la topografia e gli indirizzi di destinazione dei plichi che già sopraggiunge un altro “precario” delle nuove poste che, inevitabilmente e senza sua colpa, procurerà nuovi disguidi, al punto che la via Tessaglia viene individuata nella zona di trasferimento dell’abitato e la via Aldo Moro nella zona di Santa Rosalia.

C’è da dire comunque che la bravura del personale che lavora allo sportello riesce ad ovviare all’opportunità di rafforzare l’organico del servizio. Tutti, nella veste di utenti, ci accorgiamo che spessissimo un solo impiegato deve fare fronte a code di pensionati e/o correntisti.

Questo ‘post’ avrebbe dovuto essere l’ultimo di una serie già prevista e dedicata al servizio postale nei secoli passati. Lo abbiamo anticipato. La storia delle ‘poste’ si snoda congiuntamente alla storia dei centri abitati dell'isola, e quindi anche di Contessa Entellina, pertanto sulle vicende di questa fondamentale azienda, oggi in corso di privatizzazione ma nel passato con rigidi connotati pubblicistici, torneremo.
Il Contessioto

giovedì 19 novembre 2009

Argomenti del giorno a Contessa Entellina: Dall'acqua potabile alla depurazione - Di cosa si occupa il Comune ?

Rispondiamo a due, distinte, richieste pervenuteci via e-mail sulla depurazione delle acque. Probabile curiosità derivante dalla notizia sugli "avvisi di garanzia" al sindaco e a due funzionari comunali.
Il Contessioto
A cosa serve il depuratore ?
Ogni centro abitato è tenuto a utilizzare un depuratore delle acque reflue, il cui scopo è di lavorare la sostanza che proviene dalla rete fognaria e fare in modo che, con le opportune "azioni", il residuo chiarificato possa essere reimmesso nell'ambiente, senza che produca danni alla natura circostante ed ai corsi d'acqua.
Teniamo presente che se il nostro depuratore comunale non funziona, le acque andranno ad inquinare l'invaso, la diga Garcia.

Quale è la normativa a cui fare riferimento ?
Attualmente la legislazione degli scarichi urbani in Italia è disciplinata dal cosidetto Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo 152/2006) al Capo III "Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi". Altre norme sono contenute in:
-Deliberazione 4 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento - Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all'art. 2, lettere b), d) ed e), della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall'inquinamento: Criteri generali per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici e per la formazione del catasto degli scarichi.

-Legge Galli del 5 gennaio 1994, n.36: Disposizioni in materia di risorse idriche.
-Legge 24 aprile 1998, n.128: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1995-1997

Chi paga le lavorazioni insite nel processo di depurazione ?
I cittadini, tutti gli utenti che hanno un allaccio alla rete idrica, oltre a pagare il canone dell'acqua potabile, pagano anche la tassa sulle acque reflue.
L'Amministrazione Comunale di Contessa, proprio quest'anno, nel 2009, ha notevolmente aumentato questa tassa con incrementi percentuali a due cifre. Evidentemente i costi per depurare le acque reflue devono essere aumentati. Se non vogliamo essere inquinati dalle acque luride, deve essere stato il discorso dei nostri amministratori, dobbiamo mettere sul tavolo più soldi per le ditte che si occupano dei depuratori.
"Il Contessioto" non conosce i termini contrattuali che legano l'Amministrazione Comunale con i gestori; è tuttavia in condizione di riportare quanto il Comune ha incassato dai cittadini annualmente, prima dell'ultima mazzata del 2009, e quanto ha destinato per i gestori degli impianti di depurazione.
-Le ENTRATE sotto la voce "Canoni per la depurazione delle acque reflue" sono state €. 31.500,oo;
-Le USCITE sotto la voce "Spese gestione del servizio di depurazione sono state più di €. 72.000,oo;

Quanti impianti di depurazione abbiamo a Contessa Entellina ?
Due. Uno in località Piano Cavaliere a servizio di quel borgo ed un altro, a servizio del paese, in località 'Pujata Brjgnano'. I gestori dei due impianti sono distinti, ossia si tratta di due ditte diverse.