martedì 24 novembre 2009

COSTITUZIONE della Repubblica Italiana. L’articolo 4: Il lavoro

COSTITUZIONE, articolo 4: il lavoro

di Lorenza Carlassare

L’occupazione oltre che un diritto sociale è una libertà individuale in cui rientra la scelta dell’attività e si concretizza nella libertà di accesso al mercato

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il diritto di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Del lavoro si parla fin dal primo articolo della Costituzione –L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro- il cui significato polemico è chiaro: il criterio prevalente per il riconoscimento della dignità morale e sociale dei cittadini dev’essere il lavoro, non la proprietà come nelle Costituzioni liberali dell’800 che la definivano un diritto sacro ed inviolabile. L’articolo 4 –collocato tra i principi costituzionali subito dopo i diritti della persona e l’eguaglianza (articoli 2 e 3) che ne sono il presupposto- ha il significato di dichiarare la rilevanza costituzionale del lavoro (come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale). Per questo, nel suo stretto legame con l’art. 1, illumina di senso l’intero sistema: il lavoro è posto come elemento informatore dell’ordinamento.
Benchè non si tratti “di un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria” come si legge nella Relazione al Progetto di Costituzione, il diritto al lavoro non è mera affermazione retorica ma ma ha conseguenze giuridiche precise, la prima già espressamente indicata nell’art. 4: la Repubblica deve promuovere le condizioni che rendono effettivo questo diritto. E’ l’indicazione di un fine da perseguire, che vincola lo Stato, le Regioni e tutti gli enti in cui la Repubblica si articola. L’art. 4 ha funzione di criterio generale direttivo e interpretativo, indicando quali devono essere i criteri di interventi pubblici, indirizzando l’attività dei pubblici poteri ad attuare una politica di piena occupazione.

Per la Corte costituzionale (sentenza n. 61 del 1965) dall’art. 4 si ricava che il diritto al lavoro è un “fondamentale diritto di libertà della persona umana che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell’attività lavorativa”. E ciò comporta, per quanto riguarda lo Stato, da una parte il divieto di creare o lasciare sussistere norme che pongano limiti discriminatori a tale libertà o la rinneghino; dall’altra l’obbligo “di indirizzare l’attività dei pubblici poteri … alla creazione di condizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano l’impiego di tutti i cittadini idonei al lavoro”. Un obbligo giuridico che dovrebbe concretizzarsi in una politica di sviluppo economico indirizzata alla creazione di posti di lavoro, in una politica in grado di determinare “una situazione di fatto tale da aprire concretamente alla generalità dei cittadini la possibilità di procurarsi un posto di lavoro”, ha detto ancora la Corte costituzionale (sent. N. 105 del 1963).

Il lavoro dunque oltre che un diritto sociale che comporta per lo Stato l’obbligo di intervenire nel mercato del lavoro, è una libertà individuale in cui rientra la scelta dell’attività lavorativa e si concretizza nella libertà di accesso al lavoro, nella pretesa a che le offerte di lavoro siano aperte a tutti in modo eguale, senza discriminazioni che non siano quelle derivanti dalla capacità e/o dalla preparazione specifica richiesta dal tipo di attività.
Tutti siamo interessati: “lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana”, fu subito chiarito. Il lavoro si esplica non soltanto nelle sue forme materiali “ma anche in quelle spirituali e morali che contribuiscono allo sviluppo della società”. L’ampiezza del concetto di lavoro risulta evidente dal comma 2 dello stesso articolo 4 dove si parla del “dovere” di lavorare, e si afferma che ogni cittadino ha il dovere di svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Concorrere a tale progresso significa adempiere un obbligo di solidarietà: è sempre il concetto espresso nei precedenti articoli che ritorna; la solidarietà, la pari dignità sociale, lo sviluppo della persona in condizioni di eguaglianza trovano nel lavoro un mezzo potente per rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3).

La parte finale dell’art. 4 fornisce un altro chiarimento importante: ciascuno ha il dovere di esercitare un’attività lavorativa “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”. In Assemblea Costituente si insistette molto su queste parole, ad evitare che si pensasse all’imposizione di un lavoro obbligatorio: “L’Assemblea vuole fare soltanto un’affermazione morale e politica che non comporta vincoli e coazioni per il cittadino”.

L’articolo 4 comprende il diritto alla conservazione del posto di lavoro ? Se il diritto al lavoro non è il diritto ad ottenere un’occupazione, “ciò non esclude che per i rapporti già costituiti si imponga una adeguata protezione del lavoro nei confronti del datore di lavoro” (sent. 45/1965). Dopo questa ed altre precedenti sentenze della Corte costituzionale, la disciplina dei licenziamenti è cambiata: la libertà di recedere dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato salvo preavviso, è divenuta del tutto residuale. Che dire oggi di fronte alla situazione del lavoro ? Tra le varie norme che lo tutelano, mi sembra necessario ricordarne una, come conseguenza diretta del lavoro, come diritto, l’art. 36: in caso di disoccupazione involontaria, i lavoratori “hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”. Adeguati, s’intende: e se ogni tanto i nostri governanti se ne ricordassero ?



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