Stiamo, mese dopo mese, riportamdo pagine
de L'Almanacco del Contadino Siciliano.
L'Almanacco è stato il libro d’ogni giorno del mondo contadino negli anni venti del Novecento; è farcito tra fantasia e folkloristica.
Possedeva per quegli anni funzioni pedagogiche: e puntava ad interessare e avvincere l'attenzione del contadino.
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AGOSTO
Finisce la trebbiatura, e l'estate giunta al suo culmine lentamente decade.
Il villano, tutto bruciato, lascia la falce e il tridente, e riprende la vanga che mise da canto.
Col nuovo raccolto si pagano i debiti contratti al tempo delle sementi; e qualcosa resta da
mettere da parte per i bisogni che non si sanno. In agosto ricomincia l'inverno.
La
campagna che si
credeva lasciata,
tosto bisogna
riprenderla. La
terra non si
stanca, e sempre
pretende. Ogni
giorno ha la sua
piccola fatica:
qua un albero o
una conca, là una
siepe o un fosso.
D'un
tratto nerica
l'uva, come se
qualcuno passando si divertisse a imbrattarla. Se hai tempo, utile è ancora zappare la vigna, e
ripetere i lavaggi.
Si ritorna, dopo tanto sole, a domandare l'acqua, che rinfreschi la terra arsa, e dia umore agli
alberi che non ne ebbero, e ne hanno bisogno.
Acqua d’agosto, olio, miele e mosto.
(Agosto raccoglitore, disegno inedito di Santi D’Amico)
VITA DI SAN CRISTOFORO
(parte prima)
In un lontano paese chiamato la Licia visse una volta un pagano di nome Reprebo, che
significa grande. Egli era infatti un gigante alto quanto una quercia, gagliardo come un toro, ardito e
feroce.
Viveva di caccia e di rapina, terrore alle bestie dei boschi e agli uomini della contrada. Con
una mano sradicava un pino; squartava i lupi e i leoni come ranocchie, e così tutti gli uomini che gli
capitavano sotto.
I lupi come sentivano il suo passo scappavano, i viandanti si nascondevano atterriti, ed egli
passava schiamazzando e ridendo.
Essendo il più forte di tutti, la sua forza gli venne a noia, e perciò decise di mettersi al
servizio del più potente re della terra.
Saputo che costui era l'imperatore Filippo di Siria, si presentò
a lui e così gli si volse:
- È vero che tu sei il più potente re della terra?
L'imperatore lo squadrò dalla testa ai piedi, e accigliato gli domandò:
- Perché vuoi saperlo?
- Perché se così è, io voglio servirti.
- Allora servimi!
Da quel giorno Reprebo lo servì come un cane, e compì per lui meravigliose prodezze. Ma
un giorno che banchettavano allegramente, uno dei capitani bestemmiò il Diavolo: l'imperatore si
fece terreo in volto, e urlò:
- Chi ha osato bestemmiare il Diavolo? Chi l'ha osato, muoia!
II capitano che aveva bestemmiato fu subitamente ucciso.
- Perche l'hai fatto uccidere? - chiese meravigliato Reprebo. - E perché hai tremato sentendo
nominare quel coso chiamato Diavolo? Hai dunque paura di lui?
- Come vuoi ch'io non abbia paura? - rispose l'imperatore. - Non sai che Egli è mio e tuo padrone; e
padrone del mondo?
- Dunque non è vero che tu sei il più forte della terra?
- Come posso esserlo? Egli è il più forte di tutti.
- Ebbene - disse Reprebo - io dovrei punirti perché tu mi hai mentito. Ma a che prò ucciderti, se tu
non sei nulla? Io dunque me ne vado a servire il Diavolo !
L'imperatore gli mandò dietro una frotta di soldati perché lo arrestassero; ma egli roteando
un tronco di quercia li schiacciò tutti come scarafaggi e li disperse.
Se ne andò di qua e di là cercando sempre il Diavolo per servirlo, e un giorno finalmente se
lo vide spuntare dinanzi. Aveva zoccoli di bronzo, coda attorcigliata come porco, e sulla fronte due
corna che buttavano fiamme.
- Reprebo! - egli chiamò - tu mi hai cercato: eccomi! Ora vieni con me, e servimi!
- Prima di tutto - disse Reprebo, guardandolo senza paura negli occhi - dimmi se è vero che tu sei il
più potente della terra.
- Il più potente? Ebbene: guarda! - e così dicendo batté uno zoccolo sulla rena, e d'un tratto tutta la
terra tremò: s'aprì una voragine e lingue di fuoco saettarono il ciclo.
Un branco di demoni fischiando e sghignazzando apparve agli occhi di Reprebo.
- Ci credi dunque? - domandò il Diavolo. - Se vuoi altre prove io ti ridurrò in polvere questa
pallottola che voi uomini chiamate la terra; strapperò le stelle dal firmamento e le butterò come
sassi ai passerotti.
- Se tu puoi questo - disse Reprebo - io sono pronto a servirti.
Andiamo!
Andarono insieme lungamente, e Reprebo per ordine del Diavolo compì assassini, ladrocini
e violenze d'ogni sorta. Dove passavano entrambi le stesse erbe seccavano, la vita moriva, le pietre
emettevano fiamme.
Ma un giorno, attraversando un deserto, videro venirsi incontro una grande croce di legno. Il
Diavolo, che era avanti, voltò rapidamente il cavallo, e fuggì a briglia sciolta urlando di rabbia,
avvolto in un nugolo di fumo.
Stupito, Reprebo lo inseguì, e raggiuntolo dopo lungo correre,
rattenne forte il cavallo per la criniera.
- Perché fuggì? - domandò.
- Lasciami! - ruggì il Diavolo con la schiuma alla bocca.
- Lasciami, se non vuoi ch'io ti parvifichi,
e seguimi senza fiatare!
- Prima - gridò Reprebo, tenendo sempre il cavallo che schizzava faville dalle narici e dagli zoccoli
- prima devi dirmi perché hai paura, e di chi. Che cosa dunque ti spaventa così?
- La Croce! - sibilò il Diavolo
- Quei due legni incrociati che ci sono apparsi nel deserto.
- E tu hai paura di due pezzi di legno: tu il più potente dell'universo?
- La Croce! - ruggì ancora il Diavolo, eruttando furore da ogni parte
- la Croce del Cristo è più
potente di me. Quand'ella mi appare io non posso più niente, e devo fuggire come un vile ladrone;
invano l'ho combattuta: sempre m'ha vinto. Speravo d'averla finita una buona volta per sempre con
Cristo, facendolo inchiodare sulla Croce, ma Egli discese all'Inferno, ruppe le mie porte e rinnovò
per sempre la mia schiavitù. Quand'Egli mi appare col segno Suo, la Croce, io sono perduto.
- E chi è questo Cristo? - domandò ansioso Reprebo.
- Egli è il Dio dell'universo.
- Non c'è un Dio più forte di lui?
- Nessuno. Il più forte, l'unico è Lui!
- Allora — esclamò minaccioso Reprebo — perché tu mi hai ingannato? Perché ti sei fatto servire
da me se tu non eri il più forte del mondo! Vattene! io ti disprezzo. Io voglio servire il Cristo.
- Ah ah ! — sghignazzò furibondo il Diavolo
— tu vuoi servire il Cristo? Ma non hai pensato ch'io
posso ridurti in cenere?- e così dicendo alzò il braccio per incenerirlo.
Ma Reprebo, ricordandosi di ciò che aveva visto poco prima, mise le mani a forma di croce,
e tosto con orribile bestemmia il Diavolo fuggì, lasciandosi dietro una voragine di fuoco.
- Ecco — disse tra sé il gigante — che una semplice croce ha vinto il Diavolo che nessuno potè mai
vincere. Dunque io devo servire la Croce, cioè Cristo; perché certamente nessuno è più forte del
Cristo. Andiamo!
(continua)
L’ARCOBALENO
Quando l'arcobaleno spunta all'orizzonte come un gran ponte nel ciclo, il tempo si sgrava e
torna il sereno.
Il sole rompe le nubi, e lucido brilla, e la terra tutta umida d'acqua ride dei sette colori.
L’ANTICA SICILIA
Anticamente la Sicilia fu splendida e ricca.
La sua civiltà superava quella degli altri popoli mediterranei, e non aveva nulla da invidiare
a quella di Atene e di Roma.
Nelle sue città fiorivano meravigliosamente le arti e i commerci, e ai suoi porti passavano gli
scambi di tutto il mondo.
Città famose nel periodo greco-romano furono Siracusa, Agrigento (Girgenti),
Catana (Catania), Messana (Messina), Panormo (Palermo), Drepanum (Trapani), Segesta, Solunto,
Imera, Tindari, Enna (Castrogiovanni).
Di alcune di esse oggi non resta più che il solo nome, e qualche rudere che può a stento darci
l'idea della passata grandezza; altre resistendo ai secoli tuttora splendono, ricche di storia e di
civiltà, e sono le più belle dell'isola. PICCOLA MEDICINA
Punture di insetti
Durante i lavori agricoli, per la raccolta dei frutti e la vendemmia, tu sei esposto alle punture
di insetti di ogni specie, api, vespe, calabroni, ragni, scorpioni, che talvolta possono anche riuscire
di grave danno e procurare la morte.
Le punture più comuni, alle quali tu sei più abituato, sono quelle delle vespe, delle api e dei
calabroni. Esse producono generalmente dei disturbi più o meno leggeri, gonfiore della pelle, vivo
arrossamento e dolore acuto. In questi casi basta applicare bagnuoli freddi, olio o anche sugo di
cavoli contro il dolore e la tumefazione; e per il resto armarsi di pazienza e attendere che il tempo
provveda al resto.
Si possono avere avvelenamenti più gravi, seguiti anche da morte, se le punture sono
molteplici, dovute ad un intero sciame che ti si avventi contro furioso, come quando incauto ti
diverti a molestare arnie, bresche, vespai, celle.
Allora dopo i consueti fenomeni locali, sopravvengono sudori viscosi e freddi, senso di
debolezza, vertigini, tremore, convulsioni, ansietà allo stomaco, freddo ai piedi e alle mani.
In questi casi bisogna intervenire subito ed energicamente. Si cerchi dapprima di estrarre i
pungiglioni, e di promuovere l'emorragia per scacciare il veleno. Si facciano i soliti bagnuoli freddi;
contro il dolore di testa si applichino cataplasmi di melma; per la prostrazione si diano eccitanti,
vino caldo, ruhm, caffè; per l'eliminazione del veleno si provochino con infusi e bevande
abbondanti sudori.
I morsi dei ragni non danno avvelenamenti di grave importanza. Non è vero che essi
cagionino fenomeni nervosi, come il tarantismo o ballo della tarantola. In ogni modo, appena
accertata una morsicatura di ragno, si cerchi di provocare con l'emorragia l'uscita del veleno, si lavi
quindi la ferita con acqua e qualche goccia d'ammoniaca. Si provochino sudori abbondanti.
Avvelenamento per fosforo
I sintomi di avvelenamento per fosforo sono bruciori che dalla gola si estendono al ventre,
nausee, rutti con odore d'aglio, vomito di materie che al buio appaiono fosforescenti. Se t'accorgi
presto del malanno, la miglior cura è al solito il vomito provocato.
Come rimedio si raccomanda il solfato di rame, 1 grammo sciolto in un bicchiere d'acqua da
darsi in un'ora; un boccone alla volta.
Idrofobia (rabbia canina)
Se hai il sospetto che il tuo cane sia arrabbiato, uccidilo subito. La tua pietà sarebbe empia e
dannosa a te e agli altri.
L'idrofobia è un male orrendo che si trasmette con la morsicatura o anche col semplice
leccamento di ferite cutanee. Esso si sviluppa dopo 20 giorni fino a 60, e spesso più tardi ancora.
Dapprima il malato sente spossatezza, dolori di testa, angoscia, difficoltà nell'inghiottire e
nel parlare. Subito dopo vengono dolorose contrazioni nel bere, e anche al solo pensiero dell'acqua;
la respirazione si fa difficile e penosa, sopravviene il delirio, e il malato divenuto furioso può
morsicare chi lo avvicina, e così trasmette il male.
Quando la malattia è dichiarata e in pieno sviluppo ogni cura è inutile, e il paziente è
destinato a morire fra atroci sofferenze.
Le cure invece sono da apprestarsi d'urgenza appena è avvenuta la morsicatura d'un cane
arrabbiato, o che si possa sospettar tale.
Allora, come per i morsi delle vipere, si cerchi subito di impedire la diffusione del veleno, e
quindi di distruggerlo. Si facciano le solite legature compressive al di sopra della parte morsicata, e
si favorisca l'emorragia, allargando la ferita con un coltello. Si lavi con acqua e sale e si bruci infine
la ferita con un ferro rovente.
Ma non bisogna acquetarsi a questi soli rimedi; si faccia venire il medico e si provveda a
mandare il paziente in un istituto antirabbico per la cura radicale del male.