lunedì 30 giugno 2014

Borghi Eras di Contessa Entellina ... ... rubrica di Calogero Raviotta -Parte Seconda-

"50 anni di ERAS a Contessa Entellina"
di Mario Candore

Risultati della Riforma Agraria a Contessa
Per tentare di effettuare un bilancio sugli effetti della Legge di Riforma Agraria per la nostra comunità, non si può fare a meno di inquadrare l’intento del legislatore nel particolare contesto storico dell’epoca. Come ho già detto in precedenza, la situazione delle aree rurali della nostra regione e quindi anche di Contessa, era particolarmente grave. Le condizioni di miseria e di povertà delle famiglie contadine si erano ulteriormente aggravate con la penuria di alimenti che si registrava dopo la fine della guerra. A rendere più esasperato il clima, si aggiungevano gli scontri spesso sanguinosi che si verificavano ormai giornalmente in seguito alle lotte tra contadini, gruppi di potere legati al latifondo e forze dell’ordine.
Se si considera, quindi, questo scenario di partenza, a mio parere, si può affermare che la Legge di Riforma, nella sua prima fase di applicazione, ha ottenuto qualche risultato positivo.
Infatti, nella sua fase di impatto, la Legge tamponò i due problemi più urgenti nelle campagne e cioè quelli di fronteggiare l’emergenza della fame e di allentare il clima di tensione. I contadini diventati proprietari terrieri migliorarono il proprio tenore di vita, potendo disporre di maggiori risorse alimentari e di un incremento del proprio reddito derivante dalla vendita dei prodotti coltivati. Inoltre è da considerare che si era creato un atteggiamento di aspettativa nei confronti di altri interventi di Riforma Agraria e dei risultati che complessivamente si sperava di ottenere con l’applicazione della Legge 104/50.
Tutto questo contribuì notevolmente a rasserenare il clima delle aree rurali.
Inoltre, l’applicazione della Legge segnò l’inizio di un progressivo indebolimento dell’influenza mafiosa in queste zone. Il latifondo dell’epoca poteva essere considerato come il centro di potere per eccellenza. Gabelloti e campieri, in molti casi, rappresentavano l’asse portante di una gerarchia mafiosa, alla quale, con l’avvento della Riforma e la conseguente scomparsa del latifondo, venne a mancare il presupposto essenziale di un tornaconto. Da qui il trasferimento dei centri di potere e dei gruppi di mafiosi verso le città, dove si intravedevano affari economicamente molto più convenienti (edilizia, traffico di stupefacenti, racket delle estorsioni, ecc.).
Non va sottaciuto infine un altro aspetto positivo di natura più prettamente sociale della Riforma Agraria. Attraverso la trasformazione di un cospicuo numero di famiglie contadine in proprietari terrieri si diffuse un sentimento di grande attaccamento alla terra e al territorio. La terra non veniva vista più come un nemico, ma come una cosa da amare.
I coloni non solo cominciarono con entusiasmo a coltivare le terre a loro assegnate, ma si incaricarono, con molti sacrifici e con grande competenza, ad effettuare dei piccoli miglioramenti fondiari, con l’introduzione di coltivazioni più redditizie, soprattutto la vite e il frutteto. Un esempio è dato dal nostro concittadino Gaspare Bruno, attualmente residente in Australia, che nel 1953 e 1954 fu insignito del I Premio Provinciale per l’incremento e la produttività e nel 1955 del III Premio Regionale, riconoscimenti, questi, che venivano attribuiti nell’ambito degli assegnatari della Riforma Agraria.
Questo fenomeno quindi segnò una svolta nelle coscienze dei contadini di Contessa.
Non prevalse più il sentimento di disinteresse generale nei confronti di ciò che non appartiene, atteggiamento che era molto comune con il latifondo. Con l’emancipazione della classe contadina invece si diffuse maggiormente la cultura e la consapevolezza di diritti prima ignorati. E si può dire che si deve proprio all’applicazione della Legge 104 la creazione della prima classe imprenditrice agraria di Contessa. Alcuni coloni infatti migliorarono nel tempo la loro posizione e l’assegnazione dei lotti costituì per loro la prima tappa per la creazione di un’azienda agricola di una certa dimensione ed economicamente autosufficiente.
Tuttavia, detto di questi aspetti positivi, oggettivamente si può affermare che la Legge di Riforma Agraria in Sicilia è stata sostanzialmente un fallimento.
La Legge 104 già di per sé presentava alcuni aspetti che lasciavano presagire dei modesti risultati. Così ad esempio, la facoltà di scelta che veniva garantita al proprietario, ha fatto sì che fossero oggetto di esproprio solo i terreni peggiori, più argillosi, con pendenze eccessive e in definitiva meno fertili. La qual cosa era ulteriormente accentuata dal fatto che in partenza erano esclusi dall’esproprio i terreni migliori (le colture arboree e i terreni in irriguo).
Vi furono poi delle gravi carenze nell’applicazione della Legge così come era stata concepita. L’attuazione della Riforma avvenne in Sicilia un po’ a macchia di leopardo e laddove entrò in vigore, furono in seguito trascurati gli interventi successivi alla fase iniziale di assegnazione dei lotti e di costruzione dei borghi. Almeno per quanto riguarda il territorio di Contessa, non furono completati del tutto i Piani generali di bonifica previsti dalla legge, né si procedette alla costruzione di infrastrutture di rilievo. Anche l’attività di assistenza tecnica ai coloni fu del tutto insufficiente e ciò non permise l’introduzione su larga scala delle innovazioni in campo agricolo. L’azienda colonica, quindi, nella maggior parte dei casi, non riuscì a decollare anche perché non era competitiva sui mercati.
Nel frattempo, infatti, la situazione generale del mercato dei prodotti agricoli era notevolmente cambiata. L’introduzione della meccanizzazione e di altre tecniche agronomiche e l’ampliamento dei mercati portò inevitabilmente ad un crollo dei prezzi agricoli. La dimensione economica delle aziende coloniche derivanti dalla Riforma si rivelò quindi presto insufficiente a fornire un reddito adeguato a tutta la famiglia colonica.
Nacque così la seconda ondata migratoria di lavoratori verso le aree industrializzate del Nord Italia e del resto d’Europa, laddove si registrava una forte richiesta di manodopera. Questo fenomeno ha interessato naturalmente anche la popolazione di Contessa. Furono diverse decine i gruppi familiari di contessioti che, agli inizi degli anni ’60, emigrarono soprattutto in Lombardia, Piemonte, Veneto e all’estero (Germania, Svizzera e Francia). Per tutti gli altri rimasti a Contessa si trattò di condurre un’esistenza sicuramente dignitosa, ma non più come prima basata esclusivamente sulla propria azienda agricola, esistenza che negli anni è stata supportata da interventi governativi di tipo assistenziale (forestazione, Diga Garcia, ecc.) o da altre situazioni straordinarie, quali la ricostruzione post terremoto.

I retaggi della Riforma
Oggi, a distanza di 50 anni, cosa rimane a Contessa della Riforma?
A parte l’eredità socioculturale che ho brevemente descritto, rimangono soprattutto le testimonianze materiali delle opere di colonizzazione presso gli ex latifondi (borghi) e dei lotti assegnati. Ma se la destinazione agricola dei terreni e le colture praticate sono rimaste sostanzialmente invariate, la stessa cosa non può dirsi per i borghi, i quali tuttavia presentano oggi delle situazioni piuttosto diversificate.
Infatti, a Castagnola, a Roccella e in gran parte a Cozzo Finocchio le abitazioni non vengono più sfruttate per un uso residenziale da parte degli assegnatari, ma soltanto per soggiorni in alcuni periodi dell’anno (soprattutto in estate) o per essere utilizzate come strutture a supporto dell’attività agricola e zootecnica. Ma mentre a Cozzo Finocchio lo stato generale del borgo e delle abitazioni può ancora definirsi discreto, la stessa cosa però non può dirsi di Castagnola e Roccella, dove cominciano a manifestarsi evidenti segnali di degrado (cedimenti strutturali in molte abitazioni, viabilità precaria, ecc.).
Piano Cavaliere invece continua a mantenere, con le dovute differenze rispetto al passato, le caratteristiche di un borgo residenziale. Qui vi è un nucleo di Contessioti che risiede stabilmente, anche se non hanno più come in passato le caratteristiche di coloni. D’estate alla popolazione residente si aggiungono diversi nuclei familiari, che qui trascorrono il soggiorno estivo o un breve periodo di vacanza. Molti assegnatari hanno cambiato la struttura originaria della casa, rendendola più adatta alle esigenze di una famiglia di oggi, mentre altre abitazioni sono state costruite ex novo. Per tutti questi motivi le condizioni generali del borgo sono da considerarsi accettabili, anche se esistono alcuni problemi che da tempo aspettano una soluzione, quali soprattutto la scarsa disponibilità di acqua che in estate si accentua.
Da un punto di vista più strettamente economico gli assegnatari della Riforma beneficiano ancora oggi degli effetti della Legge 104. Ciò, non soltanto in virtù della proprietà di un capitale fondiario (la terra) che nel tempo si rivaluta, ma anche per la proprietà di case coloniche. Queste ultime, infatti, oggi presentano un valore di mercato di molto superiore alle abitazioni del centro urbano, laddove l’attività di ricostruzione post terremoto e la progressiva riduzione della popolazione, ha portato ad un eccesso di offerta di case rispetto alla richiesta. Così, mentre a Contessa è difficile trovare un’acquirente per una casa e, quando c’è, la casa è venduta ad un prezzo notevolmente più basso rispetto al valore reale di costruzione, a Piano Cavaliere e negli altri borghi avviene esattamente il caso contrario, cioè per ogni casa posta in vendita ci sono almeno due o tre acquirenti disposti a comprarla ed a prezzi molto interessanti. Il contessioto infatti, avendo ormai soddisfatto la propria ricerca di un’abitazione in paese, cerca adesso, avendone la possibilità, per puro piacere o come forma di investimento, una seconda casa in campagna. Questa domanda ha fatto crescere negli anni il valore delle abitazioni dei borghi, fenomeno di cui si avvantaggiano prevalentemente gli assegnatari.
In ogni borgo, comunque, con le dovute differenze, la questione comune esistente è quella di un miglioramento delle attuali condizioni generali (viabilità, acqua, igiene pubblica) nonché la questione inerente gli edifici comuni (edifici scolastici, latteria di Piano Cavaliere, ecc.) che versano attualmente in condizione di abbandono. Per tutti questi edifici si pone il problema del recupero, non solo per individuarne degli usi alternativi, ma soprattutto per impedirne la rovina.
Un esempio importante di un uso alternativo degli edifici pubblici dei borghi è sotto i nostri occhi a Pizzillo. Qui, la concessione dei locali all’Eparchia di Piana degli Albanesi e, per suo tramite, alla Comunità Trinità della Pace, non solo ha salvaguardato da una sicura rovina gli edifici esistenti, ma ha permesso che nel nostro territorio si insediasse una realtà che, nel corso di oltre dieci anni, è diventata un centro importante di spiritualità della nostra Regione, sede di numerose attività socio culturali (tra cui l’istituzione di una Biblioteca che oggi conta quasi 2500 testi), così da farne un punto di riferimento per i paesi limitrofi, con diramazioni e contatti con altri centri della Sicilia e del resto d’Italia. Da semplice cittadino di Contessa penso che questa realtà è un’altra maniera molto qualificata per far conoscere il nostro paese; ma la questione della concessione dei locali del Pizzillo ad una istituzione religiosa, caso unico in Sicilia, a mio parere rappresenta anche un ennesimo esempio del prezioso ruolo di supplenza svolto dalla Chiesa, in mancanza di serie iniziative politiche e amministrative, per la creazione di realtà nuove finalizzate alla ricerca del bene comune.
È un esempio di un uso diverso, che potrebbe essere applicato ad altre situazioni di altri borghi, attraverso nuove concessioni da studiare, o in altri campi (dal ricreativo, alla creazione di strutture di supporto all’attività turistica, ecc.) o ad altri soggetti anche privati. In questo modo sarà possibile che ciò che sopravvive della Riforma non rimanga solo una testimonianza visiva per i nostri figli, ma diventi anche uno strumento per lo sviluppo di Contessa, soprattutto in memoria e riconoscenza dei tanti siciliani e dei contessioti che hanno dato la vita per migliorare la dignità e le condizioni di vita delle popolazioni contadine.
Dott. Mario Candore

Contessa Entellina. Comune della Valle del Belice, eppure (come altri) non dispone di un piano d'emergenza

Ad ottobre prossimo saranno trascorsi due anni da quando i Comuni sono tenuti o-b-b-l-i-g-a-t-o-r-i-a-m-e-n-t-e (legge 100/2012) a predisporre il piano comunale d’emergenza. 
A dicembre 2013, in Sicilia, erano ancora 200 su 390 i comuni senza piano.
Dopo che sono partite le Diffide è probabile che i tanti amministratori isolani che "hanno la testa altrove" passino ad occuparsi della sicurezza collettiva.
L'Associazione Cittadinanza in provincia di Palermo ha diffidato tre Comuni; manco per dirlo c'è ... Contessa Entellina con Termini Imerese e Roccamena.
Sulla problematica pure il Blog ha dedicato, nei mesi scorsi, abbastanza spazio. 
E' verosimile che gli amministratori locali (Contessa Entellina) non sono annoverabili fra i nostri lettori.

Vediamo una sintesi su cosa preveda le legge:
-Il Sindaco è autorità comunale di protezione civile ed egli ha dei doveri in materia di soccorso e assistenza alle popolazioni;
-I piani comunali di emergenza andavano redatti entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge
Nonostante in Italia l'82% dei comuni sia a rischio idro-geologici, esistono amministratori che disattendono l'allestimento dei piani di emergenza. 
Pochissimi sono i comuni che abbiano svolto -come prescrive la legge- le necessarie esercitazioni.

Medio Oriente. Avvenne il 9 giugno la preghiera per la Pace in Medio Oriente. Ora è allarme-escalation

I corpi di tre giovani ragazzi israeliani, rapiti, sono stati trovati dai militari israeliani nel villaggio palestinese di al Haska. 

Negli scorsi giorni il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva puntato il dito contro Hamas: «Abbiamo le prove del suo coinvolgimento», aveva assicurato il primo ministro, senza però rendere pubblico alcun documento. Hamas, dal canto suo, ha negato di essere coinvolta nel rapimento, rivendicato da una miriade di gruppuscoli estremisti.

Nella zona sono in corso violenti incidenti e nell'intero Medio Oriente si vive una situazione ad altissima tensione.

Unione Europea. Bene per l'Italia che non deve indicare nomi di vertice

Juncker, esponente del Partito Popolare, è il nuovo presidente della Commissione, ed in automatico la guida del Europarlamento va per i primi due anni e mezzo del mandato al Partito Socialista, a Schulz.
Gli italiani avendo al vertice della banca Europea Draghi è ovvio che non possono aspirare ad un incarico di vertice.
Siamo convinti che Renzi sia stato felice di non dover indicare nomi italiani: egli è convinto infatti che nè l'Enrico Letta nè il Massimo D'Alema che da tempo erano impegnati a studiare il "diritto dell'Unione Europea" avrebbero bene rappresentato il nostro paese. Personaggi che finora si sono caratterizzati nell'assistere al disastro italiano e nel contempo nel curare la loro "immagine". Immagine del disastro !


Corruzione. Per gli italiani le risorse pubbliche sono da ... appropriare

Secondo il procuratore generale presso la Corte dei Conti, Salvatore Nottola “La corruzione può attecchire dovunque: nessun organismo e nessuna istituzione possono ritenersene indenni" e "nessuna istituzione che abbia competenze pubbliche può ritenersi scevra di responsabilità di fronte al suo dilagare". 
Gli antichi mestieri
L'Expo 2015 milanese  è "un caso emblematico" di deroghe a norme e controlli, "smantellati in virtù dell'urgenza, che hanno di fatto favorito la corruzione".
La Corte -a quel che pare- aveva già evidenziato i rischi insiti nella gestione dell'evento.

Come abbiamo già evidenziato ieri, la Corte dei Conti ritiene indispensabile ridisegnare e ripensare i confini della Pubblica Amministrazione, comprese le modalità di prestazione dei servizi alla collettività, dalla salute all'istruzione. 
Le risorse pubbliche -per gli italiani- sembra di capire sono l'obiettivo da scalare.

Welfare Italia. Adesso che un italiano ogni 12 è dirigente tutto va a rotoli. Nella Prima Repubblica un italiano su 300 era dirigente

Secondo la Corte dei Conti occorre ridisegnare e ripensare i confini della Pubblica Amministrazione, comprese le modalità di prestazione dei servizi alla collettività, 
-dalla salute 
-all'istruzione. 
In materia di spending review "non si tratta solo di eliminare gli sprechi ma di affrontare il tema del 'perimetro' pubblico". Il che significa che l'Italia della Prima Repubblica era in grado di assicurare il Servizio Sanitario gratuito e l'istruzione dall'asilo all'Università a tutti, quella della Seconda Repubblica ha distrutto il "welfare" e la Terza Repubblica si prepara a ridurre i "perimetri".

giovedì 26 giugno 2014

La nostra Sicilia. Una carrellata dai Borboni al crocettismo n. 4

La storia dell'isola
Lo smantellamento dei residui feudali


Sappiamo della furbizia gattopardesca delle classi dirigenti dell'isola in una fase epocale di cambiamenti dal vecchio regime feudale alla società borghese e come i Borboni, già dal Settecento, erano schierati per il cambiamento. Nel 1812 concessero la Costituzione di stampo liberale sul modello inglese. 

Sia la nuova Costituzione e poi la successiva unificazione del Regno di Sicilia con quello di Napoli con conseguente soppressione della Costituzione e dell'Autonomia dell'isola allontanarono sempre più gli ex-baroni dalla casa regnante.
Il tentativo dei Borbone  di creare nell'isola una base sociale (i civili)  prescindendo dall'aristocrazia non sempre conseguì gli auspicati risultati. Eppure i cambiamenti legislativi -ancora oggi- furono ritenuti  abbastanza positivi e profondi sia a livello istituzionale, sia economico e sociale, tutti finalizzati a far dimenticare l'ancien regime feudale.
Importtanti provvedimenti furono, infatti, adottati 
-nel 1818 con l'abolizione delle ultime forme esistenti di fedecommesso, (1)
-nel 1824 con l'assegnazione ai creditori delle terre degli ex-feudatari indebitati, (2)
-nel 1841 con lo scioglimento dei diritti promiscui e degli usi civici. (3)

Si trattò di norme in grado di stimolare la suddivisione dei grandi patrimoni e la formazione di nuove fasce di proprietà borghese, non vincolata da promiscuità e da anacronistici istituti che ne rendevano difficoltosa una più razionale utilizzazione.
(1) -Il fedecommesso consisteva nell'obbligo -durante il feudalesimo- dei vari eredi di un "casato" di conservare il patrimonio e di restituirlo integro al primogenito alla morte. 
Si spiega così il come e il perchè del  territorio di Contessa (13.000' ettari) che ancora nel 1820 era quasi integro nelle mani dei parenti dei Colonna o di aristocratici con loro imparentati. In verità alcuni feudi erano stati estrapolati dai giudici dal patrimonio per far fronte alle richieste dei numerosi creditori.
(2) -Dopo la legge del 1824 le terre baronali sono già in mano a varie decine di creditori dei Colonna, uno dei Casati più indebitati dell'aristocrazia siciliana.
(3) -A Contessa la legge per lo scioglimento degli "usi civici" vedrà una lunghissima battaglia che si svolgerà nelle forme delle lotte contadine e delle sentenze nelle aule giudiziarie. Le ultime sentenze (o meglio) le ultime archiviazioni saranno datate col finire degli anni quaranta del Novecento.
Esiste un manoscritto sull'argomento di Don Ciccio lo Iacono, ultimo sindaco socialista prima del Fascismo.

Borghi Eras di Contessa Entellina ... ... di Calogero Raviotta

Dopo i vari testi sui borghi Eras, già proposti ai lettori, credo che possa risultare interessante la relazione "50 anni di Eras a Contessa Entellina" del dott. Mario Candore", presentata dal dott. Mario Candore nell’anno 2002, presso l’aula consiliare comunale di Contessa Entellina nel corso del convegno “50 anni di ERAS a Contessa Entellina”, organizzato dall’Associazione Culturale “Nicolò Chetta”. Di seguito viene riportato il testo integrale dell'intervento.
di Calogero Raviotta

"50 anni di ERAS a Contessa Entellina"
di Mario Candore
Introduzione
La celebrazione di una giornata culturale sui 50 anni dall’applicazione della Legge di Riforma Agraria a Contessa Entellina non è solo un fatto doveroso, considerati i risvolti di ordine economico, sociale e culturale che la Riforma ha causato, ma è, a mio parere, anche un’occasione per riflettere su alcuni temi attuali, che riguardano la nostra comunità e il nostro territorio e che dalla Riforma discendono. Dico subito che il mio intervento non ha la pretesa di esaurire un argomento tanto importante qual è quello della Riforma Agraria in Sicilia; tuttavia, al di là dell’aspetto puramente celebrativo, questa relazione vuole pure essere l’occasione per stimolare l’Amministrazione Comunale, le forze politiche, le realtà socioculturali ed altri ad adoperarsi per l’organizzazione di altri momenti ben più impegnativi di quello di oggi per l’approfondimento di questa tematica.
Come premessa è utile ricordare che il Governo regionale, presieduto dall’On. Franco Restivo, presentò il 7 giugno 1950 all’Assemblea Regionale Siciliana un proprio disegno di legge sulla Riforma Agraria, il quale, dopo un aspro scontro tra i vari gruppi parlamentari, venne approvato come Legge n° 104 del 27 dicembre 1950. L’approvazione di questa Legge avvenne in risposta alle diverse lotte per la terra che avevano insanguinato la nostra Regione subito dopo la fine della guerra. I contadini, nelle loro manifestazioni per condizioni di vita più dignitose e per la rivendicazione dei propri diritti, chiedevano l’applicazione delle leggi emanate dallo Stato (i Decreti Gullo e Segni) per l’assegnazione delle terre incolte e la ripartizione dei prodotti; lo scenario nel quale si inquadra la vicenda era già comunque duramente provato da cinque anni di guerra e occupazione. Le condizioni di povertà e di arretratezza nelle campagne aveva raggiunto dei livelli allarmanti e la lotta contro la fame era il problema con il quale erano costretti a convivere molti contadini, anche nel territorio di Contessa.
Queste manifestazioni pacifiche, in molti casi, degenerarono non solo in scontri violenti con le forze dell’ordine, ma anche in sanguinose repressioni ad opera di bande armate e mafiosi al servizio dei latifondisti. «La Sicilia intera – come afferma Giuliana Saladino – dal 1944 in poi, è un’isola in rivolta e in armi. Si uccide o si viene uccisi, in conclusione tutti sconfitti».
Ecco quindi il panorama per nulla incoraggiante nel quale s’inserì la Legge 104 del ’50.
I punti essenziali di questa Legge, in estrema sintesi, erano i seguenti:
     esproprio di superfici superiori ai 200 ettari (ad eccezione dei boschi); erano oggetto di esproprio solo i seminativi, mentre non erano comprese le colture arboree e specializzate e i terreni irrigui (in pratica i terreni migliori);
2.      facoltà di conferimento da parte del proprietario. Il proprietario cioè poteva scegliere quali terreni destinare al conferimento;
3.      assegnazione delle aree espropriate in lotti di superficie variabile dai 3 ai 6 ettari, a seconda della tipologia del terreno;
4.      assegnatari iscritti in elenchi comunali di lavoratori agricoli capifamiglia manuali-coltivatori, con un reddito totale, comprensivo anche delle case di abitazione, non superiore a £. 100.

La Riforma Agraria a Contessa
A Contessa Entellina, in un periodo compreso tra il 1952 e il 1963, furono oggetto di esproprio alcuni feudi, per una superficie di circa 780 ettari, la quale fu assegnata a 165 contadini senza terra. La prima assegnazione mediante sorteggio ebbe luogo il 19 ottobre 1952 in Piazza Umberto I. In questa occasione furono assegnati 96 lotti.
La strada di accesso a borgo
Castagnola (Contessa Entellina)
Complessivamente, durante tutto il periodo, a Piano Cavaliere furono assegnati n. 53 lotti; n. 10 in contrada Gorgo; n. 1 in contrada Carrubba; n. 10 in contrada Carrubbelle; n. 20 in contrada Roccella; n. 24 in contrada Castagnola; n. 14 in contrada Petraro; n. 8 in contrada Portone; n. 4 in contrada Costiere; n. 1 alle contrade Sommacco, Chiappetta e Mazzaporro.
Analogamente ad altre zone della Sicilia, i lotti di terreno sorteggiati avevano una superficie media di 4 ettari. Si trattava esclusivamente di terreni seminativi, la cui unica possibilità di coltivazione era quella estensiva, ad indirizzo cerealicolo-foraggero.
Successivamente all’assegnazione dei lotti, l’ERAS (Ente per la Riforma Agraria in Sicilia), procedette alla costruzione di 5 borghi rurali, rispettivamente a Piano Cavaliere, Roccella, Pizzillo, Cozzo Finocchio e Castagnola. In tutti questi - con l’unica eccezione di Borgo Pizzillo, dove gli edifici esistenti erano costituti da una chiesa e un fabbricato annesso per uso comune - le opere di urbanizzazione ebbero come obiettivo primario quello di garantire l’insediamento dei coloni nei terreni assegnatigli dalla Riforma e ridurre pertanto il disagio di un trasferimento giornaliero da Contessa, con i mezzi di trasporto dell’epoca (ricordiamoci che dopo la guerra era fortunato chi possedeva un mulo). La tipologia di costruzione prevalente in questi borghi fu quella della casa colonica, che in vario numero furono costruite a Piano Cavaliere (n. 40 case, una chiesa con annessa la casa parrocchiale, un edificio scolastico con annessi i locali di abitazione per l’insegnante), Castagnola (n. 4 case e una chiesa, Roccella (n. 20 case e un edificio scolastico) e Cozzo Finocchio (n. 14 case).

Le case coloniche costruite dall’ERAS erano costituite da un porticato, un locale cucina, una camera da letto, un servizio igienico, un magazzino, una stalla e un fienile, quest’ultimo ubicato al piano superiore. Ogni casa era recintata e dotata di una piccola superficie di terreno da destinare ad orto o frutteto.
(segue)

Eparchia di Piana degli Albanesi. Tre giornate per riflettere sul significato della famiglia cristiana

Dal 3 al 5 Luglio a Piana degli Albanesi



EPARCHIA DI PIANA DEGLI ALBANESI
XX Convegno ecclesiale
3 – 4 – 5  Luglio 2014 
SINTESI  divulgativa

Il Convegno che si svolge, nei giorni indicati, presso la Sede dell’Eparchia (Diocesi) di Piana degli Albanesi, comunità cattolica di tradizione liturgica orientale presente in Sicilia, nei pressi di Palermo, ha lo scopo pastorale-culturale di individuare, quest’anno, alcuni aspetti riguardanti la famiglia, tema particolarmente rilevante dal punto di vista socio-religioso.
Il Cardinale di Palermo, Paolo Romeo, attualmente Amministratore Apostolico pro tempore dell’Eparchia, il quale sarà presente al Convegno, lo ha approvato, su proposta della Commissione eparchiale, nei termini che seguono.

Il tema del Convegno è:

"... a immagine di Dio lo creò"
DIVINIZZAZIONE e CORONAZIONE
Attenzione pastorale, Prevenzione, Mediazione 

Spunti teologico-pastorali ed ecumenici

Riflettiamo sull’itinerario che va dalla triplice Iniziazione cristiana (Battesimo – Cresima – Eucaristia) che ci fa riacquisire la divina immagine originaria, fino a giungere alla Coronazione nuziale (l’unione nuziale Cristo-Chiesa rappresentata e riprodotta nella famiglia, piccola Chiesa).
L’uomo-donna “coronato”, dopo aver espresso la pienezza della sua gioia, anche fisica, nella celebrazione del Mistero sponsale, attraverso questo, è sempre meglio inserito, nonostante tutte le sofferenze della vita terrena, nella dinamica beata e raggiante della “divinizzazione”.
L’attenzione dedicata alla famiglia nel dialogo ecumenico nazionale e internazionale può essere di particolare aiuto nell’individuazione di temi e metodi utili all’esercizio della mediazione familiare.

Spunti sociologico-culturali

I temi di riflessione applicativa sulla famiglia, che scandiranno le tre giornate, saranno: “Attenzione pastorale”, “Prevenzione”, “Mediazione”.

La giornata del 3 (coordinatore Papàs Piergiorgio Scalia) sarà dedicata all’Attenzione pastorale e alla Prevenzione, con una relazione sul primo tema da parte di
Antonio Carcanella, Direttore dell’Ufficio della Conferenza Episcopale  
Siciliana per la famiglia,
ed una relazione sul secondo tema da parte di
Tiziana Rizzo, Presidente dell’Istituto Nazionale di Mediazione Familiare
e di Antonio Anzilotti, Avvocato specialista in mediazione familiare.

La giornata del 4 (coordinatore il Diacono Paolo Gionfriddo) sarà dedicata alla Mediazione, con una relazione di
Andrea Palmieri, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei
Cristiani,
ed una relazione di
Michele Riondino, Docente  nella Pontificia Università Lateranense.

La mezza giornata del 5 (coordinatore Papàs Nicola Cuccia) sarà dedicata a qualche testimonianza significativa e alle relazioni sui Laboratori riguardanti i tre temi di riflessione applicativa.
_____________________________

Nel corso delle prime due giornate saranno effettuati Laboratori applicativi di riflessione sulla famiglia, coordinati da qualificati membri dell’Eparchia: Francesco Flocca,  Irene Gionfriddo  e  Anna Lunetta
______________________________

NOTA

Un buon Convegno, per non rischiare di rimanere isolato, dovrà proporre iniziative concrete e continuative (che potrebbero scaturire anche dai Laboratori..., come Corsi di aggiornamento, Incontri, realizzazione di Strutture permanenti) sui contenuti e i metodi della Mediazione familiare, intesa, non soltanto come Mediazione per dirimere gli eventuali conflitti, ma come informazione adeguata, educazione specifica, ricerca scientifica sulle problematiche  sociali e cristiane riguardanti il fenomeno dell'immigrazione, il senso dell'accoglienza, la cultura della solidarietà, l'approccio socio-psico-logico verso famiglie provenienti da contesti culturali e religiosi diversi dai nostri, il ruolo della mediazione politica nei casi gravi di rischio della vita, il ruolo della mediazione religiosa in senso ecumenico e interreligioso.
Tutto questo potrebbe costituire, al di là di ogni attività all'insegna del provvisorio, un'azione permanente a vantaggio dei bisogni, talvolta estremi, dei diversi componenti la famiglia; un'azione permanente di dialogo proficuo fra le diverse famiglie; un'azione permanente di rafforzamento del significato dell'unità sponsale e familiare all'interno della stessa famiglia.

Tutto questo sarebbe il risultato di un'opera di mediazione conoscitiva, mediazione educativa, mediazione conciliativa ed empatica in una realtà come la nostra che diventa sempre più multietnica e che, nel caso specifico, ci è, in qualche modo, connaturale per via della nostra presenza storica come Comunità italo-albanese dalle connotazioni religiose ed etniche proprie.
= ^ = ^ = ^
( breve sussidio teologico – ad uso privato – in preparazione al Convegno )

EPARCHIA DI PIANA DEGLI ALBANESI
XX Convegno ecclesiale
3 – 4 – 5  Luglio 2014

“ ... a immagine di Dio lo creò”
DIVINIZZAZIONE e CORONAZIONE
Attenzione pastorale – Prevenzione – Mediazione
____________________________

Dall’Iniziazione cristiana al Coronamento nuziale,
simbolicamente attraverso la “Donna”.

L’Iniziazione cristiana è il fondamento indiscutibile dei Sacramenti della Chiesa, è il fondamento in cui avviene l’intima, nuziale unione tra Cristo e il battezzato.
La teologia nuziale oltre che permeare l’Antico e il Nuovo Testamento, resta il punto fermo della teologia patristica.
Almeno un testo, antropologicamente significativo, dei primi secoli del cristianesimo, serve a dimostrare ciò: “Supponiamo che un uomo, oltremodo ricco e re illustre, si innamori di una donna povera che nulla possieda tranne il suo corpo, diventando il suo amante e desiderando ch`essa divenga sua sposa e conviva con lui. La donna, a sua volta, manifesterà ogni benevolenza nei confronti di quell’uomo, contraccam-biandolo nell’amore. Ed ecco che ella, fino allora povera e bisognosa, diviene signora di tutti i beni di suo marito... Ebbene, non diversamente anche l’anima che Cristo, il celeste sposo, ha desiderato in matrimonio con la sua mistica e divina unione, e che ha gustato le ricchezze celesti, deve compiacere assai diligentemente il suo sposo e servire come si conviene lo Spirito che le è stato affidato; in tal modo essa piacerà a Dio in ogni cosa, non contristerà giammai lo Spirito, amandolo e serbando verso di esso una nobile modestia, e si comporterà con rettitudine nella casa del Re celeste, facendo sì che le venga concessa la grazia in tutte le cose. Ecco, un`anima come questa diventa padrona di tutti i beni del Signore e lo splendore della divinità raggiunge il corpo medesimo al quale essa appartiene...
È proprio ciò che lo Spirito, per mezzo del profeta Ezechiele, intendeva dire a proposito di un`anima del genere, pur esprimendosi metaforicamente come se parlasse intorno a Gerusalemme: Ti ho trovato nuda nel deserto e ti lavai con acqua dalla tua impurità e ti misi un vestito e misi un braccialetto ai tuoi polsi e una collana intorno al tuo collo e gli orecchini alle orecchie; ti elessi fra tutte le genti. Hai mangiato fior di farina, miele e olio e alla fine ti sei dimenticata dei miei doni. Sei corsa dietro ai tuoi amanti e hai vergognosamente fornicato (Ez 16, 6 ss)”[1].
È qui evidente la simbologia nuziale dell’unione uomo-donna, Dio-Gerusalemme, Cristo-uomo fedele (anima e corpo) e dunque Cristo-Chiesa.
Ma è anche evidente che il termine che realizza tale unione è “amore”, specialmente identificato nella parte femminile dell’umanità: la donna.
Infatti va osservato come il tema dell’amore è tipico della donna. Con riferimento particolare ad Ef 5, 25-33a, il Federici fa notare come il “verbo agapáô, amare di dilezione e bontà e carità, non è mai detto delle donne, bensì sempre in favore delle donne. Esso è prescritto alla parte maschile dell’umanità, gli uomini e Cristo stesso. La deduzione è facile, e singolare: se Paolo ordina alle spose «assoggettamento» e «timore», all’inizio ed alla fine, ma non di «amare», il senso è chiaro: esse non hanno necessità del precetto primario tra i precetti. Esse già amano. Il Signore ha disposto la loro creaturalità, precisamente femminile, come sussistenza personale che ama. Il loro istinto è l’amore. Esse in un certo senso sono create come «strumento» sensibile ed intelligente del Signore e Creatore per donare in modo inesausto, inestinguibile, l’amore e solo l’amore”[2].
Tutto questo avviene in maniera del tutto speciale ed unica in una donna, in Maria, la Sposa che accoglie intimamente il suo Signore con la sovrabbondanza del suo amore, per poi donarlo all’intera umanità, alla Chiesa che vede in Lei l’Odigitria, Colei che indica il Cristo, fonte della nuova vita, operatore della Nuova Creazione mediante la sua morte e resurrezione.
Procedendo, dunque, dall’Iniziazione cristiana al sacramento della Coronazione nuziale, si può notare che:
a) La Comunità nuova, scaturita dal costato trafitto del Signore (Gv 19, 34), purificata dal sangue e dall’acqua, è “la Donna” – identificata in Maria – dalla quale nasce il Messia, come spiega Ap 12, così che “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo (v. 10b)... per mezzo del sangue dell’Agnello” (v. 11a)[3].
Attraverso il sacrificio di Cristo viene creata la Nuova Umanità, alla quale Egli dona perennemente il suo amore sponsale, perché tale amore in essa perennemente risieda e da essa perennemente defluisca verso sempre Nuova Umanità.
E ancora, al femminile, l’amore della Donna ovvero delle Donne fedeli per il loro Signore, è ricompensato. “Il Risorto appare anzitutto ad esse. E nella sua Ekklêsía le costituisce in eterno quale «segno» vivente e perenne ed amante dell’annuncio: «Anéstê Christós!, Resuscitò Cristo!» (Mt 28, 8, e par.)”[4].
Lo Spirito Santo prosegue da allora ad aggiungere membra alla Nuova Umanità, alla nuova Eva – secondo i Padri – cioè alla Chiesa. Lo Spirito Santo vivificante ha creato la Chiesa quale Icona nuziale redenta, santificata dallo Sposo divino e lo stesso Spirito nella Chiesa continua a creare i fedeli come Icone nuziali redente e santificate.
Per fare questo, le lava con la morte battesimale, poi con la Crismazione le unge nuzialmente. Da adesso tali icone sono pronte per le Nozze divine, che avvengono solo in forza del Convito nuziale. 
b)  In Oriente, la liturgia del matrimonio parla relativamente poco dei due sposi cristiani, per esaltare in modo magnifico soprattutto le nozze di Cristo e della Chiesa; lo Spirito poi rimanda ai due coniugi la Sua Grazia unitiva.
Nel contesto di Ef 5, 20-33, brano che viene proclamato durante la liturgia bizantina della Coronazione matrimoniale, si può osservare in particolare il versetto 31, che richiama Gn 2, 24: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola”.
 L’uomo sarà finalmente adulto, si potrà muovere nel mondo senza la tutela infantile della famiglia. Il N.T., conosce solo la “grande famiglia”, unita per sempre da forti vincoli di sangue e di origine. Abbandonare padre e madre significa tornare ad essi come futuri padri e madri, a parità dunque di condizione[5].
La maturità conseguita è unirsi o meglio “aderire” alla sposa. “Qui il verbo è nuziale, e tipico: proskolláomai, che indica unione personale totale, senza reversibilità. Non a caso lo stesso Paolo in 1 Cor 6, 17 – in un contesto insieme battesimale, vv. 1-11, e di contegno sessuale, vv. 12-20 – proclama che chi per il battesimo (v. 11) aderisce nuzialmente, kolláomai, a Cristo, diventa «unico Spirito con Lui», avendo citato Gn 2, 24 al v. 16. I due sposi cristiani sono battezzati, e perciò già aderirono a Cristo, già sono «unico Spirito con Lui», e questo è confermato nella loro unione tra essi. La conseguenza è divinamente disposta ed attuata. I due che hanno aderito reciprocamente, lui e lei, sono ormai «carne unica» in Cristo”[6].
Infatti un’altra forma di rapporto totale, oltre quello nuziale ed in armonia con questo, è la partecipazione al Convito divino, in cui gli sposi, e cioè la Chiesa, sono assimilati a Cristo perché si nutrono della sua carne e del suo sangue. È questo il culmine del Mistero-Sacramento della Coronazione.
“Il cibo, assimilato, diventa l’assimilante... La Carne ed il Sangue del Signore, assimilate, in realtà sono assimilanti. I Padri avvertono significativamente che il Signore parla circa questo linguaggio: Tu, che mangi Me, diventi Me, non Io divento te. Non per caso avviene una confluenza senza confusione: il Mistero delle Nozze divine è anche e sostanzialmente il Mistero del Convito divino, dove la Sposa diventa la Carne dello Sposo”[7].
Così si comprende come le Nozze divine di Cristo con la Chiesa diventano pienamente e intimamente il “Mistero grande” di Ef 5, 32, da cui deriva la santità delle nozze umane dei battezzati e la vita divina che essi ne ricevono; nozze non più solo “umane”, ma propriamente divine in tutta la loro essenza, basate come sono sulla Cena del Signore.
Dei Misteri-Sacramenti, divinamente celebrati tra gli uomini, il matrimonio è l’unico ad essere indicato come “Mistero grande” (Ef 5, 32a).
Tale grandezza la si può osservare nel fatto che S. Paolo rivolge la sua prima evangelizzazione alle famiglie, più o meno estese, da lui
chiamate “Chiesa domestica” (Rom 16, 5), essendo esse per definizione vere Chiese di Dio. E quando, ad esempio a Colossi (cfr. Col 4, 15-16), esistono ormai più famiglie o “Chiese domestiche”, Paolo vi fonda la grande Chiesa di Dio, la Chiesa locale, che poi, insieme alle altre, farà parte dell’unica grande Chiesa.
Le nozze,  dunque,  fondano la famiglia  “piccola Chiesa domestica”,
la quale è la “piccola Sposa diletta del Signore”, dentro l’unica grande
Chiesa Sposa. Con tale metafora si esprime originariamente il rapporto simbolico tra Chiesa locale e Chiesa universale.
La celebrazione delle nozze nel rito bizantino esprime tutte queste realtà nell’ambito di una tradizione ricchissima che si estende su tre momenti essenziali: il Fidanzamento, la Coronazione, il Convito nuziale.
....................................
L’uomo-donna “coronato”, dopo aver espresso la pienezza della sua gioia, anche fisica, nella celebrazione del Mistero sponsale, attraverso questo, è inserito, nonostante tutte le sofferenze della vita terrena, nella dinamica beata e raggiante della divinizzazione.




[1] Pseudo Macario, Omelie spirituali, 15, 1-4, in La Teologia dei Padri, I, Roma 1974, pp. 370-371.

[2]  T. Federici, Le nozze di Cana nel rito della Coronazione, in Commentario“Resuscitò Cristo!” Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente Cristiano”, Studi 8, Palermo 1996, p. 1772.

[3]  Cfr. T. Federici, Nota su “La Donna per l’Uomo”, in Commentario“Resuscitò Cristo!”... cit., p. 1044.
[4]  T. Federici, Le nozze di Cana nel rito della Coronazione, in Commentario“Resuscitò Cristo!”... cit., p. 1773. L’Autore commenta: “La Chiesa antica ne aveva conservato il vivido ricordo, quando aveva disposto l’ambone per la lettura dell’Evangelo, che è sempre della Resurrezione, in chiesa dalla parte delle donne, che ancora hanno diritto per prime a questo Ascolto perenne”.

[5]  Cfr. Idem, p. 1776.
[6]  T. Federici, Le nozze di Cana nel rito della Coronazione, in Commentario“Resuscitò Cristo!”... cit.,  pp. 1776-1777.
[7]  Idem,  p. 1778.