Non va lontano dal vero, parlando
dell’autonomia siciliana, chi afferma che mito e realtà sono entrambi
necessari: anche se la realtà è lontana dal mito, l’autonomia è nata
grazie al mito. Esso ha mantenuto vivissimo il bisogno di un istituto – lo
Statuto siciliano – che risponde alla storia della nostra isola, alle lotte dei
lavoratori ed all’esigenza di autogoverno e di decentramento democratico.
Questa storia dell’autonomia ha, in
Sicilia, le stesse origini del movimento socialista contadino ed
operaio. Quest’anno sono stati celebrati i centoventi anni del Partito
Socialista Italiano: ma l’anno prossimo ricorreranno i centoventi anni del
congresso dei Fasci Siciliani, primo movimento socialista, antimafioso ed
autonomista alle nostre latitudini, grazie al quale fu possibile ottenere la
revisione dei patti agrari e la costruzione di nuovi rapporti di lavoro nelle
campagne, basati sulla giustizia sociale. I famosi “Patti di Corleone”,
approvati grazie agli scioperi dei contadini contro gli agrari ed i mafiosi,
costituirono addirittura il primo esempio di contratto sindacale nel settore
agricolo nel nostro paese. Giuseppe De Felice Giuffrida, Rosario Garibaldi
Bosco, Nicola Barbato, Giovanni Noè e Nicola Petrina furono i principali
ispiratori di un processo politico che, per dirla con Turati, aspirava a fare
di una plebe un popolo. Fu proprio Petrina a fondare, il 18 marzo 1889 a
Messina, il primo Fascio operaio dell’isola.
Essendovi una sostanziale identità di
dirigenti tra i fondatori del Partito Socialista siciliano, scaturito
dal congresso dei Fasci svoltosi nel 1893 a Palermo, e gli organizzatori dei
Fasci stessi, con l’esplicitarsi del carattere socialista del movimento si pose
il problema dei rapporti tra il socialismo isolano e quello italiano. In seno
al Partito Socialista siciliano si contrapposero, nel consesso panormita, la
posizione “autonomista” del catanese De Felice Giuffrida, che pensava ad un
partito distinto da quello italiano ed al mantenimento dell’indipendenza dei
Fasci, e quella del palermitano Garibaldi Bosco, che auspicava un collegamento
col movimento socialista nazionale. Al congresso del 21 e 22 maggio 1893,
svoltosi presso la sede del Fascio dei lavoratori di Palermo in via Alloro 97,
la posizione di Garibaldi Bosco risultò maggioritaria; alla fine, tuttavia, la
spuntò la linea di De Felice Giuffrida, il quale optò per l’aggregazione (e non
la fusione) al Partito dei Lavoratori Italiani, che pochi mesi dopo avrebbe
assunto la denominazione di Partito Socialista.
Va dunque ricordato adeguatamente il contributo
fondamentale che i socialisti siciliani hanno dato alla costruzione stessa di
un’idea ardita di autonomia e di progresso dell’isola. Tre anni dopo il
congresso del 1893, furono ancora una volta i socialisti siciliani, con non
comune coraggio, a chiedere nel loro Memorandum del maggio 1896 al Commissario
civile per la Sicilia, Giovanni Codronchi, un’ampia autonomia, indicando in un
distinto ed autonomo ordinamento isolano il solo strumento per affrontare e
risolvere i problemi della Sicilia sul piano economico, sociale e politico.
«L’accentramento politico – si legge nel Memorandum – ha provocato
l’assorbimento dei capitali dell’Isola non appena si andavano formando: ha
impedito l’accumulo dei risparmi e quindi la formazione di una vera classe
borghese: ha arrestato lo sviluppo dell’industria e del capitalismo… Fate
dunque che la Sicilia non abbia a pentirsi di avere concorso alla formazione
dell’unità italiana e proclamate che essa vi aderisca come un corpo solo, che
provveda da sé ai bisogni suoi non comuni alle altre regioni d’Italia. Noi vi
domandiamo: l’autonomia regionale». Questa solida tradizione autonomista è
proseguita fino al Dopoguerra, esprimendosi anche all’interno della Commissione
nominata nel 1945 dall’Alto Commissario Salvatore Aldisio per preparare il
progetto della Statuto di autonomia. Su nove componenti, ben tre erano a vario
titolo ascrivibili al mondo laico-socialista: Mario Mineo (Psi), Giovanni
Guarino Amella (Democrazia del Lavoro), che presentò il progetto più avanzato
di autonomia, ed il presidente della Commissione Alfredo Mirabile (Partito
d’Azione).
L’autonomia, che è pure patrimonio di
tutta la cultura, la politica e la società siciliana, è dunque forse
uno dei frutti più rilevanti dell’elaborazione culturale del socialismo
siciliano. Essa ha sempre più bisogno di essere attuata, ma anche di essere
vivificata e resa praticabile, attraverso strumenti idonei. Filippo Turati –
che soleva dire: «Date la libertà alla Sicilia!» – nella sua attività di
riformatore ed amministratore guardava i problemi secondo l’ottica dell’utente.
Amava ripetere che «le tranvie non esistono per dare lavoro ai tranvieri, ma
per trasportare i cittadini».
Per attuare lo Statuto e conferire ad esso
un’utilità dal punto di vista dei cittadini, in riferimento alle loro esigenze
concrete, serve una forza politica regionale che si faccia carico sul serio
delle ragioni dell’Autonomia. Simili soggetti territoriali esistono in Baviera,
in Corsica, in Catalogna. Talvolta sono di ispirazione cattolica, talaltra di
orientamento socialista. Nelle recenti elezioni regionali catalane, la seconda
forza politica del paese è stata la Esquerra Republicana de Catalunya (Sinistra
Repubblicana di Catalogna, di tendenze socialiste democratiche). Alla luce di
queste considerazioni, sono particolarmente preziose occasioni come quella
offerta dal convegno regionale svoltosi il 22 dicembre scorso a Capo d’Orlando,
durante il quale sono stati celebrati i centoventi anni del socialismo
siciliano nel nome della lotta alla mafia e delle rivendicazioni autonomiste:
simili iniziative permettono di riaprire il dibattito su quell’anima
autonomista e libertaria che la sinistra siciliana ha sviluppato fin dalle
origini, e che è utile riportare nella discussione pubblica su un’autonomia
regionale troppo a lungo conculcata ed inattuata.