mercoledì 15 settembre 2010

Storia. L'agricoltura del latifondo con l'occhio puntato su Vaccarizzo (1)

Per le strade di Contessa Entellina ci è offerto con frequenza continua di veder correre i grandi, alcuni sono addirittura mastodontici, trattori gommati. Nei campi della nostra cerealicoltura e viticoltura ed anche negli uliveti essi sono i mezzi che ancora tengono viva la nostra agricoltura, sempre più in affanno e sempre meno garantita dagli strateghi economici di Bruxelles e dai nostri inadeguati politici nazionali e regionali. E’ di ieri infatti l’ultima manifestazione degli agricoltori siciliani davanti a Palazzo dei Normanni con centinaia di pecore al seguito.
Nei nostri garages, nelle vecchie case di campagna, sono ancora conservati gli aratri a vomero usati dai nostri padri, dai nostri nonni. Quegli aratri a chiodo per cinque secoli sono stati usati nelle campagne di Contessa Entellina dagli arbëreshë che nell’agricoltura avevano l’unica fonte di sostentamento; per buona fortuna esistono documentazioni fotografiche, e non solo, di quella realtà (quelle documentazioni che il Sindaco Sergio Parrino non ha né tempo né volontà di recuperare: come ha riferito in risposta ad una interrogazione consiliare presentata da Anna Fucarino).
Quegli aratri usati fino a cinquanta anni fa differiscono di poco da quelli di tre mila anni fa usati nelle Valli del Nilo dagli antichi egizi. L’aratro a chiodo è stato appunto per millenni il protagonista incontrastato delle operazioni di semina o d’impianto in tutto il bacino del Mediterraneo e per quanto ci riguarda in Sicilia, al contrario di quanto accaduto nell’Europa Settentrionale, raramente è stato sfiorato dall’evoluzione degli strumenti agricoli a trazione animale.
A Vaccarizzo, il centro esclusivo del latifondismo contessioto, i mezzi di produzione e le strategie agrarie hanno cominciato a conoscere le prime iniziali conquiste della modernità all’alba del XX secolo. In quel periodo, si sa bene, il feudo con le sue estensioni immense dominava il mondo rurale di Contessa Entellina e bisogna dare atto che furono gli scritti di denuncia per le misere condizioni di vita del luogo -diffusi in tutta Italia di un sacerdote locale, Nicolò Genovese-, che indussero una persona avveduta come Luigi Mortillaro ad introdurre interessanti, per quell’epoca, innovazioni a Vaccarizzo, l'insediamento stabile del latifondo di famiglia in provincia di Palermo, da cui erano pertinenti centinaia, migliaia, di salme di terreno.
Palazzo che fu degli Sperlinga e poi dei Mortillaro (a Palermo)
La monocultura cerealicola, associata all’allevamento, era il tipo di agricoltura che era bastata a finanziare l’agiata vita nel palazzo di città, a Palermo, dei predecessori dei Mortillaro, come del resto di tutti i latifondisti dell’epoca, di quella nobiltà terriera che evitava alle occasioni essenziali la presenza nei luoghi di produzione (le Masserie). Luigi Mortillaro tenterà di trasformare il latifondo in azienda agricola.
(Continua)

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