mercoledì 30 settembre 2009

Aumentano le giornate di lavoro dei forestali.

Il governo regionale, nel documento di programmazione finanziario, ha previsto per la gestione dei lavoratori forestali la creazione di una società per azione a totale partecipazione pubblica.
La Corte dei conti ha presentato in questi giorni sul documento governativo, all’esame anche delle competenti commissioni dell’Assemblea Regionale, rilievi sul livello della spesa corrente regionale che sarebbe senza controllo. Si tratta cioè di quelle spese che consumano ricchezza senza produrne di nuova.

Per quanto riguarda i forestali, che in questi giorni dovevano scendere in sciopero (ma la manifestazione è stata revocata dai sindacati), il governo ha stanziato 40 milioni di euro per la copertura dell’accordo con i sindacati che era stato firmato nel maggio scorso.
Con questi soldi i forestali potranno vedere aumentate le giornate di lavoro da effettuare ogni anno come segue:

-chi finora faceva 78 giornate né potrà fare altre 9 in più;
-chi faceva 101 giornate ne potrà fare altre 24 in più;
-chi faceva 151 giornate ne potrà fare altre 7 in più.

Lo stanziamento dei fondi effettuato dal governo della regione contempla 10 milioni di euro per la copertura di compensi arretrati.
Maggiori informazioni potranno conseguirisi a Contessa presso le sedi sindacali Cgil ed Uil.
Il Contessioto

martedì 29 settembre 2009

In principio era Abramo (Parte prima)-Islam

Il Contessioto nella vicenda dell'Agosto scorso (mancata celebrazione in chiesa della Paraclisis) ha colto pochi, o meglio, nessun aspetto religioso e parecchia passionalità umana. Per questa ragione ha chiesto ad un esperto di storia delle religioni di chiarire cosa sia il Cristianesimo. Nel corso della conversazione è tuttavia emersa l'esigenza di esporre non solo la sostanza del Cristianesimo ma quella di tutte e tre le religioni monoteiste mediterranee. Il Contessioto si augura che con la conoscenza delle vere essenze di ciascuna religione non dovrebbero sussistere gli episodi di intolleranza e di incomprensione, che hanno visto nell'estate scorsa cattolici in astio con cattolici, famiglie contessiote contro famiglie contessiote, amicizie finite (ci auguriamo noi, sospese) perchè il rancore ha prevalso sull'amore infinito che i testi sacri proclamano.
Inizialmente saranno presentati alcuni squarci sull'Islam. Scopriremo che esso poco ha a che fare con i talebani e con i fanatici.
Il Contessioto

L'Islam

Un giorno Abramo, attraversando con il figlio Ismail il deserto della penisola arabica, disse al ragazzo, come si può leggere sul Corano "Figliol mio, una visione di sogno mi dice che debbo immolarti al Signore: che cosa credi tu abbia io a fare ?" Rispose il figlio: "Padre mio, fà quel che t'è ordinato: tu mi troverai, a Dio piacendo, paziente!".
Fu così che nacque l'Islam (islam significa consegnarsi alla volontà del Signore, sottomissione). Abramo ed il figlio sono ritenuti pertanto i primi 'sottomessi alla volontà di Dio, ossia musulmani'. Ma sottomessi come loro lo sono pure Mosè, Noè, Gesù e sua madre Maria, avendo pure loro accettato di fare la volontà di Dio. Dopo aver accettato la volontà di Dio, come sappiamo anche attraverso la Bibbia (che tuttavia riferisce analogo fatto in relazione al figlio Isacco), il braccio di Abramo verrà comunque fermato dall'angelo Gabriele. I musulmani ogni anno festeggiano questo evento in concomitanza del pellegrinaggio alla Mecca, culmine della religiosità nella terra santa dell'Islam.
Abrano è quindi padre della religione musulmana, ma lo è anche, come sappiamo, delle altre due religioni monoteiste, il Cristianesimo e l'Ebraismo.
La moschea della Mecca è il luogo più significativo del pellegrinaggio che i musulmani devono fare almeno una volta nella loro vita. All'interno di essa si trova la Ka'ba, edificio cubico vuoto all'interno, situato nel grande cortile della moschea e nel cui lato orientale è murata la Pietra Nera. La Ka'bea fu costruita da Abramo e suo figlio. Il pellegrinaggio è uno dei cinque pilastri su cui si regge l'Islam insieme alla 'professione di fede' , alla 'preghiera', all'elemosina, e al 'digiuno di Ramadam'. Prima di partire per il pellegrinaggio a La Mecca il musulmano deve formulare una intenzione. Quando giunge a La Mecca (Arabia Saudita) deve porsi in stato di sacralizzazione. Sulla città sacra non può essere ucciso nessun animale, tranne quelli nocivi, nè può essere abbattuto alcun albero. In pratica tutti gli essere viventi, del regno animale o vegetale, devono essere rispettati. Durante il pellegrinaggio si impone la castità e la sobrietà nell'abbigliamento. E' vietato radersi o tagliarsi i capelli e le unghia. In quella circostanza tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio e crollano le barriere di carattere economico e sociale.
Il pellegrinaggio di sette giorni è cadenzato da precise pratiche religiose con numerose prediche che riguardano i doveri del pellegrino.
Vi sono da osservare, nel corso del pellegrinaggio, alcune cerimonie strettamente obbligatorie e altre meritorie per i fedeli quali la visita della tomba del profeta a Medina, bere l'acqua alla fonte di Zamzam che si trova di fronte all'angolo orientale della Ka'ba.

lunedì 28 settembre 2009

La trasparenza retributiva vale solamente per il Segretario Comunale?

E’ sempre stato difficile rispondere alla domanda dell’amico che chiede: quanto guadagni ? in questi casi chiunque fa ricorso a giri di parole pur di non rispondere.

Eppure con ingenuità abbiamo tentato di evitare di porgere la domanda agli amici che dirigono il municipio di Contessa Entellina ed abbiamo tentato di accedere invece al sito del Comune per leggere gli importi degli introiti che spettano ai dipendenti. Il sito si presenta complesso per le tante finestre che occorre aprire dai vari menù. Sarà per incompetenza, sarà per nostra incapacità, ma non abbiamo trovato quella pagina dove volevamo trovare le retribuzioni erogate dal Comune. Abbiamo potuto leggere solamente la retribuzione e la posizione curriculare del Segretario Comunale-

Il comune di Palermo ha già fatto la sua parte esponendo quanto la legge 69 del 2009 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione e la competitività) impone ossia di rendere pubblici
-gli stipendi dei dipendenti
-il tasso di assenteismo dei dipendenti.

E’ proprio così la recente legge 69 impone di pubblicare sui siti internet di ciascun comune gli stipendi e il livello di assenteismo dei dipendenti per evitare che qualcuno di essi si occupi della barca del sindaco piuttosto che della pratica di assistenza sociale di mastro Bernardo.
La legge impone ai comuni di iniziare la pubblicazione dal 31 luglio scorso, anche se una circolare (la n. 3/2009) della Funzione Pubblica ha spostato la data ultima al 15 settembre. Oggi tuttavia siamo al 28 settembre.

Riteniamo che il Comune di Contessa Entellina si stia attrezzando; speriamo che non voglia fare orecchia da mercante. La nostra non è un voler conoscere gli affari altrui o peggio ancora impicciarci degli affari altrui, ma è un voler esigere il rispetto di una normativa.
Con questa iniziativa potrebbe iniziare un graduale viaggio ideale verso la trasformazione della pubblica amministrazione da mondo a sé, che vive distaccata dal mondo, verso una concezione di struttura di servizio della realtà sociale che si trova all’esterno. Un piccolo passo che fa venire meno le stupide espressioni che troppo spesso capita di sentire: Non possiamo perché c’è la legge sulla privacy. Quella della privacy in verità è una legge di civiltà ma riguarda tutt’altra roba.

La legge che rende pubblici gli stipendi ed i tassi di assenteismo di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione va annoverata infatti fra le leggi sulla trasparenza.
Il Contessioto

domenica 27 settembre 2009

martedì 29 settembre seduta del Consiglio Comunale

All'ordine del giorno della seduta c'è una interrogazione sul funzionamento della manutenzione dei servizi comunali a rete (viabilità, udrico-fognario, elettricità), una mozione sui caduti in servizio militari in Afganistan, la valutazione sullo stato di attuazione dei programmi su cui si è impegnata l'Amministrazione Comunale e una variazione di bilancio.

Domani 28 settembre è previsto un incontro di amministratori locali a Poggioreale sui mancati interventi di rilancio della diga Garcia. Altre riunioni, sempre domani, sono previste all'Unione dei Comuni del Corleonese e all'Unione Besa di Piana degli Albanesi.
Il Contessioto

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte terza)

Dalla Grande Enciclopedia De Agostani (ed. 1999) riprendiamo ed integralmente riportiamo il brano che segue. Scopo di queste voci autorevoli esterne, che continueremo ancora a riportare, è di smontare le baggianate su un mondo paradisiaco prima del terremoto. E' evidente che nel sostenere la presenza del paradiso a Contessa prima del sisma non si ha cognizione del fenomeno migratorio iniziato sul finire degli anni '50 per la Svizzera e la Germania che nel giro di pochi anni interessò, prima del sisma, oltre 1000 persone. Tutti turisti ? tutta gente che scelse per capriccio di andare a vivere a Sachingen, Friburgo, Aarau etc. per contrariare l'assetto paradisiaco paesano ? I tre post sul terremoto, riportati sul sito, invece ci riferiscono di Contessa e della Valle del Belice , nel 1968, fra le terre più arretrate e misere d'Italia.
Il Contessioto



Belice: la terra trema

Alle 2,55 di lunedì 15 gennaio, un violento terremoto sconvolge la valle del Belice, al confine tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento: una zona segnata dalla povertà e dall’emigrazione che ancora non conosce pace.

Le avvisaglie c’erano già state il giorno prima, una domenica fredda anche in Sicilia. All’ora di pranzo una forte scossa di terremoto strappa la gente da tavola. La paura è tanta, ma i danni sono contenuti. Nel pomeriggio si registrano altre scosse, tutte lievi, e la gente si rassicura. Ma verso il tramonto la terra trema altre due volte. A Ghibellina la gente fugge all’aperto. In 6.000 decidono di passare la notte all’addiaccio.
Poi, improvvisa, la scossa micidiale. Ghibellina e Montevago sono rase al suolo. Gravissimi danni si registrano a Salaparuta, Santa Ninfa, Salemi, Poggioreale, Santa Margherita Belice e Partanna. I morti sono 236, i senzatetto 150.000.
Di fronte a questa tragedia, che mette in ginocchio l’intera Sicilia Occidentale, lo Stato sembra impotente. La Valle del Belice è una delle zone più povere d’Italia. Piccoli paesi dalle case di pietra e tufo, chiusi fra il mare, le zolfare e i monti dell’Agrigentino, noti per le imprese garibaldine, per una povertà secolare e per il banditismo.
I primi soccorsi arrivano a Montevago nel pomeriggio del lunedì. A fatica, per via delle frane, gli automezzi riescono a raggiungere la cittadina, ridotta a un cumulo di macerie. Per giunta, la terra continua a tremare, il tempo mette al brutto e la nebbia ostacola l’arrivo degli elicotteri. I mezzi sono inadeguati, soprattutto quelli per rimuovere detriti e macerie. Da sotto le macerie si odono flebili invocazioni di aiuto e i soccorritori scavano furiosamente, spesso a mani nude. Manca tutto: viveri, vestiti, medicinali. Non ci sono le tende e gli scampati sono costretti a passare le notti all’addiaccio, protetti solo da qualche coperta. Finalmente cominciano ad arrivare i soccorsi. Il più delle volte si tratta di interventi caotici, affidati all’improvvisazione e alla buona volontà dei singoli. Per diversi giorni, la Sicilia ha l’impressione di essere rimasta sola nella tragedia. Poi da tutto il Paese giungono squadre di volontari, studenti, preti, infermieri e medici. Alcuni francesi portano uno strumento per accertare se ci sia ancora qualche persona viva sotto le macerie.
Manca ancora un unico coordinamento dei soccorsi. Le cronache giornalistiche dalle zone colpite dal sisma somigliano a corrispondenze di guerra. La gente patisce il freddo e la fame e vive nel fango. I bambini sono senza latte e senza pane. Si comincia a temere il rischio di epidemia. Un ospedale mobile tenta di raggiungere Montevago, ma è costretto a fermarsi a Castelvetrano. Il 18 gennaio un nubifragio colpisce l’isola e ritarda ancora di più le operazioni di soccorso.
Il paese chiede che l’azione del governo sia rapida e incisiva. Vengono allestiti progetti di ricostruzione e di industrializzazione che costeranno miliardi e non saranno mai realizzati. Si varano apposite leggi che nessuno applicherà mai. Si stanziano fondi (si parla di un totale di oltre 1000 miliardi) persino negli anni novanta, a ormai 30 anno dalla tragedia.

mercoledì 23 settembre 2009

Il fondamento del contenzioso non può essere, dopo il Concilio Vaticano II, di tipo religioso. La questione è ultramondana

Con riferimento alle recenti incomprensioni insorte fra elementi del 'rito romano' e del 'rito greco' mi piace riportare alcune considerazioni non di tipo religioso, che ovviamente competono ad altri più accreditati rispetto all'attuale gruppo de "il contessioto". Nel post di ieri, qualcuno, ha lasciato intendere che non ci sono sottofondi di tipo religioso nella vicenda ma, come sempre succede in tutti i confronti fra gli essere umani, questioni molto più materiali (si diceva presidenze, potere e via dicendo). Nulla di cui scandalizzarsi, in fondo siamo tutti uomini.
Voglio pure io seguire la medesima logica, la cosiddetta logica del mondo, la logica della materia. A Contessa serve che il rito bizantino, la parlata arbreshe, le differenze dal mondo che ci circonda si acuiscano, si accrescano e non che scompaiano. A noi serve che qui si crei, o diciamo meglio si conservi, un pezzo di mondo balcanico, proprio nel bel cuore della Sicilia, per poi saperlo -se ne siamo capaci-, con intelligenza sfruttare. Chi vuole vivere una giornata, o più tempo, diversa dal modo ordinario che si vive nel palermitano, nel trapanese, nell'agrigentino e non dispone dei soldi per arrivare in aereo ad Atene, a Belgrado, deve poter pensare che alcuni frammenti di quel mondo segnato dalla cultura bizantina possono godersi girando l'angolo del proprio ambiente, a quattro passi da casa propria. Se sapremo creare (il che è compito degli amministratori, della fragilissima imprenditoria locale e di altri) un contesto di accoglienza decente qui possono nascere, anche con le nostre particolarità greco-bizantine, posti di lavoro. A Piana il fenomeno non è trascurabile, anche se non possiamo pensare che sia la soluzione di tutto.

Nessuno si adoperi, quindi, a proporre impronte latinizzanti, perchè il mondo che ci circonda ne è pieno e strapieno.
Con quanto sto dicendo non si scandalizzi nessuno. Non lo facciano i greci per il timore di essere "usati" in questo mondo dove tutto è monetizzato, e non lo facciano i latini per presunte loro mortificazioni. Greci e latini preghino l'Eterno che ha creato il mondo e alla fine ha detto che tutto è bello. La nostra parte di bello che ci è dato vivere estendiamolo a chi non lo conosce.

Fatto il discorso mondano, ho l'obbligo di assicurare sia i greci che i latini. Li invito a recarsi per pochi giorni, come abbiamo fatto alcuni di noi lo scorso luglio, in Albania: lì i "latini" o meglio i cattolici di rito romano pregano e fanno messa in albanese, i "greci" o meglio i cattolici di rito bizantino pregano e fanno liturgia in albanese (e talora in greco). Nessuno di loro si scandalizza o teme di apparire sminuito, perchè sanno di essere tutti cattolici.
In conclusione salvaguardare l'arbreshe e con esso il rito bizantino è un affare a) culturale, b) economico, c) di grande Fede.
Si è di grande Fede.

Per chi non lo sapesse la Fede, la liturgia e le sacre Scritture in origine si sono sviluppate grazie al mondo greco-bizantino. I vangeli e le prime opere dei Santi Padri sono scritte in greco. A Roma fino al quattrocento inoltrato molti papi erano di area e provenienza greca. A Palermo i normanni al loro arrivo, nonostante la presenza mussulmana, trovarono l'arcivescovo bizantino.

Ascoltare la Paraclisis è in un certo senso come sentire espressioni ed emozioni che sono palpitate del cuore dei cristiani dei primi secoli. Se si è credenti queste cose si apprezzano e le hanno apprezzate infatti tutti i papi degli ultimi 150 anni, a cominciare da Leone XIII. Certo se il recente contenzioso di Contessa Entellina è fondato su orgogli e personalismi c'è ben poco da fare; in questo caso siamo in presenza di uno scontro che solamente occasionalmente si è presentato nel mondo ecclesiastico, esso avrebbe benissimo potuto presentarsi con le medesime motivazioni di orgoglio e personalismo nel campo della politica, delle professioni ed in ogni contesto. E' inutile che scomodiamo consuetudini, religione, padre Atanasio Schirò, papi e vescovi e con essi i codici di diritto canonico. Saremmo infatti in questo caso di fronte ad un problema ed a un discorso mondano, molto più mondano di quello volutamente e provocatoriamente da me sviluppato in apertura del post.

E' il caso che ognuno rifletta su ciò che siamo capaci noi uomini di fare quando siamo presi dai rancori. Confondiamo tutto (ar me bar dicono gli arbresh) senza accorgercene. Torni il silenzio, il grande balsamo di chi crede.
Il contessioto (e tutti coloro che fanno uso della sigla) infatti non interverrà più su questa storia, grottesca ed anacronistica.
Il Contessioto

Se preliminarmente non si è cristiani, non si può essere nè greci ne latini. Chi caccia fuori i 'greci' non è cristiano

Eravamo convinti che con il tranquillo e sereno svolgimento della festività principale del paese, l'8 settembre, fosse finita la farsa di taluni che arbitrariamente definendosi cattolici romani avevano impedito la celebrazione secolare della Paraclisis all'interno della Chiesa della Favara. Invece pare che così non sia. La farsa continua. Gli pseudo cattolici romani, nella totale assenza di una Autorità che riporti al senso di responsabilità la situazione locale, infatti in questo mese di settembre hanno trasformato la chiesa della Favara, da luogo di culto, in una sezione dei vecchi e logori partiti novecenteschi, dove la gente andava, sentiva il capo più o meno carismatico, e tornava a casa con i volantini ed i fac-simili. Erano sezioni di partito, ossia di una fetta, di una porzione della comunità e quindi quel mondo, quella realtà, rientrava perfettamente nella logica della democrazia dell'Occidente che è per sua natura 'conflittuale'.

Adesso invece per due volte, in settembre, chi è andato a cercare nella preghiera, nella messa domenicale, il Dio unico dei cristiani nella Chiesa della Favara ha trovato il 'mullah' che spiega e poi fa distribuire volantini secondo cui ci sono diritti calpestati a carico dei "latini" e che ci sono sfruttatori "greci" che hanno sottratto qualcosa quattrocento anni fà e che pertanto devono restituire con gli interessi.

Il primo volantino, da un nostro amico firmatosi Zorro, è stato su questo sito trattato con maniere ed espressioni sarcastiche accostandolo, fra l'altro, a sentimenti comunistici marxisti piuttosto che ad aperture ecumenistiche.

Il secondo volantino di domenica scorsa invece è da ritenere volantino proveniente da nostalgici dei secoli andati. Esso riporta alcune frasi, assemblate da un libro di un buon sacerdote dell'ottocento, Atanasio Schirò, che nelle intenzioni dovrebbero mettere in dubbio la validiutà delle consuetudini bizantine locali, in particolare quelle che si svolgono nella chiesa della Favara.

Non tocca a noi replicare. Noi osserviamo fatti e se vi troviamo sconcezze ci proponiamo di correggerle, in amicizia. Da qualunque parti le sconcezze provengano.
Ai nostri amici redattori del foglio distribuito in chiesa domenica 2o settembre, sotto l'arbitraria denominazione di Consiglio Pastorale, facciamo intanto osservare che per proteggere il 'pastore' non serve l'uso di quell'etichetta "Consiglio Pastorale Parrocchiale" per il semplice motivo che essa è puramente e semplicemente da riferirsi ad un organo dell'ordinamento interno della Parrocchia ed ha ruoli 'consultivi' e non attivi, ossia di appello all'esterno. Esso dovrebbe pianificare l'incontro fra i credenti del paese, non di certo buttare fuori dalla porta chi per avverntura è stato battezzato in un'altra chiesa. Quindi la responsabilità, per l'eventuale scomunica o sanzione che possa essere, non è dei cinque che hanno funzioni consultive ma dell'unico che ha la responsabilità attiva, vera, della parrocchia, ossia del suo presidente.

Atanasio Schirò, ottimo contessioto, visse nella seconda metà dell'ottocento e scrive su atti e fatti di centocinquanta anni prima di lui, quando le consuetudini di cui parla esistevano ormai da secoli. Comunque, piaccia o non piaccia, a Contessa da quattrocento anni esistono delle consuetudini che in forza del Codice di Diritto Canonico vanno rispettate, perchè sono consuetudini che elevano lode all'Unica divinità. I vescovi latini di Girgenti e di Monreale in quattro secoli si sono più volte pronunciati, quello bizantino di Piana degli Albanesi ha confermato più volte ciò che i predecessori latini hanno sancito.

Chi non si riconosce nelle legge canoniche della Chiesa e trasforma la chiesa della Favara in sezione per sfoghi di volantinaggi di parte, automaticamente, afferma di non essere "uno" col corpo della chiesa e fomenta pertanto fazioni, frazioni, parti. Chi fa questo non riconosce l'Autorità, che nel 1990 si è espressa peraltro al massimo grado.

Se non si è cristiani è inutile dirsi 'latini' o 'greci'. Si è nostalgici di tempi che il Vaticano II ha spazzato via. Greci e Latini sono unica chiesa e le consuetudini dell'una e dell'altra vanno difese dai greci e dai latini. Chi non si riconosce nei doni di ciascun rito cerca potere, presidenze, onori, non cerca la Fede. E se pur dovesse avere una qualche buona ragione, nella Chiesa non si opera come nei partiti novecenteschi. La grettezza settaria non ha mai fatto parte del bagaglio di Santa Romana Chiesa.

Finiamola!
Se si vuole pregare a Contessa c'è tempo e spazio per tutti. A nessuno venga vietato, come è già accaduto, ciò che da sempre si è fatto. Si creino altre occasioni per chi è infervorato invece di ridurre le cose esistenti che fanno altri.
Il Contessioto

Appunti disordinati su Entella, il Crimiso e dintorni

Scrivere di storia su Entella, dell’Entella Elima, è difficile anzi è quasi impossibile. La Storia della Sicilia comincia infatti ad essere scritta dai greci Filisto e Tucidide nel V secolo a.c.
Prima di questi storici, che per primi si avvalsero in Sicilia della scrittura per la narrazione di fatti comunitari e ci lasciarono le loro opere già improntate da criteri di scientificità, cioè dall’uso della ricerca documentaria, si è pertanto nella preistoria ossia in periodi di cui si sa poco o nulla su basi documentarie e molto di legenda e di mito. Certo oggi possiamo avvalerci del grandissimo apporto dell’archeologia e nel caso di Entella della vasta indagine, condotta per decenni dalla Scuola Normale di Pisa sull’iniziale impulso del prof. Nenci. Di questi importanti apporti tenteremo di dare un sommario riepilogo in proseguito.

Per adesso vogliamo mettere invece in evidenza come storicamente il nome di Entella sia stato spesso associato al nome del fiume Crimiso. Abbiamo scritto storicamente, ossia dal periodo siceliota quando la Sicilia è culturalmente greca.

Oggi è pressocchè assodato che il Crimiso vada identificato col Belice Sinistro, ossia col ramo del fiume che costeggia la Rocca; ma non è sempre stato così se è vero che vari scrittori, studiosi e taluni storici hanno localizzato il Crimiso in prossimità di Segesta ed altri lo hanno identificato col Belice Destro.

La successione delle denominazioni che si rinvengono nel tempo può avere contribuito probabilmente a creare la confusione. Nel tempo ci imbattiamo infatti con:
1-Fiume Hypsas
2-Crimiso
3-Al-Quarib (Edrisi sul ‘Libro di Re Ruggero’ del 1154)
4-Al-Wadi al Kabir -Registro dei confini assegnati da Guglielmo II all’Abazia di Monreale nel 1182 – noto come il Rollo-. In questo documento il fiume di tratto in tratto assume nome diversi: dalla sorgente fino ad Entella è, nella traduzione latina, flumen Corilionis per cambiare quindi in flumen Hentella. Dal Rollo apprendiamo, fra l’altro, che il fiume allora era navigabile e navigabile risulterà ancora essere all’epoca in cui visse lo storico Fazello (XVI secolo). E’ inoltre interessante rilevare che all’epoca in cui il Rollo fu scritto la Rocca, la cui città era ormai decaduta, amministrativamente dipendeva da Batellari, pur essendo Calatamauro capoluogo di Divisae.
5-Flumen Belìchi, dopo il ‘200, dal nome di un casale arabo che sorgeva in prossimità della foce.

L’identificazione esatta del fiume a cui attribuire la denominazione “Crimiso” è stata quasi sempre sollecitata dalla circostanza che gli storici nei pressi di esso individuano una delle grandi battaglie dell’antichità (con la vittoria di Timoleonte sui Cartaginesi) che affermò, su tutta l’isola, l’egemonia siceliota, ossia della Sicilia greca. Pur ripromettendoci di ritornare su questa battaglia ci piace qui ricordare un volumetto del 1963 di un nostro concittadino, Nicola Lojacono, ancora oggi appassionato di storia, secondo cui il luogo della battaglia è individuabile sul ramo destro del Belice e le impervie alture di Cautalì.
L’argomento della battaglia sul Crimiso ha appassionato -nel 1929- un altro concittadino, F. Chisesi, che scrisse "Entella, Crimiso e battaglia di Timoleonte".
Il Contessioto

lunedì 21 settembre 2009

Entella: tentativi di cronologia mediante le monete e le tavole

MoneteIn un quadro appeso lungo il corridoio che, nei locali municipali, conduce negli uffici demografici sono raffigurate alcune monete rinvenute nei decenni iniziali del Novecento ad Entella. Altre monete, vere cioè in metallo, sono conservate nell’Antiquarium di via I Maggio.

Le figure incise più ricorrenti sono testa di cavallo/cavallo in corsa, albero di palma/testa di cavallo, albero di palma/Pegaso. Secondo gli studiosi (Susanne Frey-Kupper) questo tipo di monete sono di origine punica, cioè Cartaginese. Questo tipo di monete sono pertanto testimonianza dei lunghi periodi di alleanza ed amicizia fra Entella e Cartagine.

Ad Entella sono state rinvenute comunque anche monete del periodo del dominio campano nonché pezzi agrigentini, siracusani e addirittura egiziani. Segno che anche in quei tempi i rapporti nell’isola e nel mediterraneo non erano infrequenti. Su qualunque tipo di moneta in ogni caso le scritte sono in greco.

Decreti Queste tavolette sono apparse sul mercato clandestino nel 1979.
In essi si parla di conflitti con i punici (cartaginesi), della cacciata temporanea della popolazione di Entella, di una successiva rioccupazione della rocca, grazie all’aiuto di altre città, che il senato di Entella ringrazia proprio con l’allestimento delle tavole.
Gli studiosi ancora non riescono a fissare una datazione certa ai decreti. Gli avvenimenti descritti vengono ora riferiti con la conquista cartaginese della città ad opera di Annone, condottiero punico (345/344 a.c.) e ora riferiti alla conquista di Entella ad opera dei siracusani guidati da Timoleone (342/341 a.c.).
Studi più vicini ai nostri giorni, pur sempre condotti dalla Scuola Normale di Pisa, collocano invece i decreti fra il 254 e il 241 a.c., cioè negli anni della prima guerra punica fra Roma e Cartagine.
Il Contessioto

domenica 20 settembre 2009

Da noi anche gli allevamenti chiudono. La politica oggi si occupa solo di clientele.

Riceviamo e pubblichiamo il seguente scritto di Mimmo Clesi.
Il Contessioto
L’economia ha l’ambizione di essere una scienza. In effetti fra le discipline che studiano i comportamenti dell’uomo è quella che più fa uso della matematica, della statistica e della metodologia scientifica. Il ministro Tremonti recentemente ha comunque invitato gli economisti a stare zitti, accusandoli, proprio loro che hanno sempre qualcosa da ridire sulle misure antirecessione del governo, di non avere previsto la crisi finanziaria globale che ha investito da un anno e mezzo in qua il pianeta.
La verità come sempre sta nel mezzo, fra i diversi punti di vista. Per prevedere, decidere ed attuare bisogna conoscere, bisogna disporre delle fonti di monitoraggio e di quelle delle informazioni in genere; questi mezzi non sempre sono nella disponibilità degli economisti, lo sono invece nel quadro di comando di cui sono dotati i governi; e questi non sempre li usano con trasparenza (anzi talvolta per esigenze politiche addirittura le manipolano).

Dopo questa premessa lontana dagli orizzonti nostri, che restano quelli locali, nella misura in cui li possiamo cogliere -per esempio- noi contessioti, passiamo a tirare fuori qualche testo di economia per capire perché Contessa (e con essa tutto l’interno dell’isola) continua a svuotarsi delle sue migliori energie, quelle giovanili. I giovani vanno via dopo che, con i sacrifici delle famiglie, hanno conseguito un titolo di studio e hanno acquisito le premesse per l’accesso al mondo del lavoro e al mondo della produzione della nuova ricchezza, quella che serve per vivere. Se non si produce ricchezza infatti non resta altro da fare che vivere sul patrimonio, cioè consumando ciò che i nostri padri ci hanno lasciato. Ma anche questa via, così contraria ad ogni logica, a Contessa è pure essa difficile da percorrere.
Provate infatti a trovare un acquirente alle case post-terremoto costruite con costi superiori ai 100-120 mila euro! Troverete acquirenti che ritengono di ben pagarvi riconoscendovi come corrispettivo 50 mila euro. L’economia sa spiegarci la ragione di questo paradosso dicendoci che l’offerta di case a Contessa supera la domanda e riesce pure a dirci -con i suoi complessi calcoli-, se sapremo mettere a disposizione i dati territoriali, cosa accadrà nei prossimi anni. Da noi tuttavia i dati territoriali è difficile conseguirli perché la pubblica amministrazione, i politici, gli amministratori, la scuola non conoscono nulla in proposito, non sanno cosa sia la programmazione e non sanno su quali riferimenti devono tentarla. A questo proposito è indicativo il comportamento dell’amministrazione comunale di Contessa Entellina. Il sindaco nel luglio 2008 doveva rendere le dichiarazioni programmatiche al Consiglio Comunale, doveva spiegare cioè come avrebbe perseguito le promesse elettorali, con quali risorse finanziarie ed umane, entro quali tempi, con quali percorsi metodologici etc. Il sindaco invece, in quella occasione, ha riletto in Consiglio il programma elettorale, come se i consiglieri con cui si era confrontato in un mese di campagna elettorale non avessero sentito più volte quella canzone. Il sindaco non ha impostato quindi una programmazione locale perché, probabilmente, ha una conoscenza superficiale del territorio e delle potenzialità. Volendo spendere tuttavia qualche parola a sua discolpa possiamo pure dire che la programmazione dei livelli superiori (Provincia, Regione, Consorzio Belice etc.) pur esistendo è piuttosto vaga e qualche volta poco concreta. In questi livelli, è noto a tutti, gli investimenti cioè le spese destinate a creare infrastrutture (strade, irrigazioni, impianti produttivi), con motivazioni che sanno di idiozia, spesso vengono invece destinate per voci di consumo (consulenze milionarie ad amici, stipendi per occupazioni inesistenti, ripianamento di debiti e spese inutili a favore di vari carrozzoni).
Si dirà: sono cose che accadono da sempre. Può darsi ! anzi è vero ! Però in passato qualcosa nel meridione si realizzava, tante spese erano inutili, ma altre con scopi produttivi si eseguivano. Adesso, sappiamo delle prime due tranche degli investimenti per la Sicilia (quegli investimenti che Lombardo e Micicchè gridavano di volere, quelli che sulla carta erano già da tempo destinate all’isola), quelle due tranche stanno andando a finire una parte per aiutare il commercio nei paesi mediterranei –il libero scambio- (di cui non beneficia solamente la Sicilia) e l’altra per dare una mano all’amministrazione comunale palermitana in materia di igiene. E gli investimenti ? le strade per l’agricoltura ? gli impianti di irrigazione ? l’agricoltura moderna ?
A Contessa manchiamo di tutto sul piano produttivo. Gli economisti classici dicevano che per produrre ricchezza servivano: terra, capitale, lavoro.
Per terra si intendeva un contesto adatto a creare benessere. Qui ci sono 13.000 ettari di terreni, privi di tutto, di acqua per l’irrigazione, privi di strade di penetrazione -al punto che questi vasti territori non sono, contrariamente a quanto accadeva nel passato, nemmeno idonei agli allevamenti del bestiame perché il latte prodotto non può essere immesso, per mancanza di viabilità, sul mercato; le poche aziende zootecniche che hanno finora resistito cominciano a chiudere-. Può darsi che prima le cose andassero proprio come oggi, ma almeno alla regione, alla provincia, al parlamento c’era l’opposizione che teneva desta la sensibilità dell’opinione pubblica. Oggi questa pare più interessata alla vita privata dei governanti che ai loro comportamenti pubblici, ossia al loro malgoverno.
Oggi le realtà locali non possono nemmeno rivolgersi ai parlamentari perché questi non sono interessati allo sviluppo locale bensì alle vicende e alle condizioni di potere dei loro leader nazionali, i soli che possono decidere se alla prossima tornata elettorale il loro nominativo sarà inserito o meno nell’elenco dei papabili per il prossimo parlamento. Lo sappiamo tutti, la gente non sceglie più i rappresentanti al parlamento ed i sindaci, ultimi anelli della catena pubblica, non sanno più a quale porta devono bussare.
Da noi la terra, priva di infrastrutture, priva degli investimenti non serve. Il capitale, i finanziamenti non arrivano perché sono dirottati con frequenza ad alimentare le clientele politiche, a finanziare corsi di formazione inutili e a cose simili. Ed il lavoro, cioè le risorse umane, i nostri giovani scappano verso il Nord.

Non è quindi l’economia che non sa prevedere i percorsi del benessere, è la politica che da noi ha intrapreso vie finora sconosciute: si è trasformata in autocrazia, lontana dal territorio e famelica perché deve autoalimentarsi.
Chi scrive queste cose non è mai stato estremista, né di destra né di sinistra, anche se l'analisi svolta può apparire severa. Ma vedere le strade di Contessa semideserte gli fa male e ritiene che tutte le coscienze, da quella degli amministratori a quella dei pensionati dovrebbero cominciare a svegliarsi. Anche nel nostro piccolo ciascuno dovrebbe contribuire a risvegliare le coscienze di coloro che gli stanno vicino. Nessuno dia l’impressione che la periodica corsa verso il Comune è solamente finalizzata a conquistare -per cinque anni- l’indennità di carica.
Mimmo Clesi

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte Seconda)

Riportiamo una ulteriore testimonianza sul terremoto del gennaio 1968. Lentezza nei soccorsi e sorpresa dell'Italia avanzata nello scoprire attraverso le telecamere tv una Sicilia sconosciuta. La Sicilia dell'interno era ferma di oltre un secolo rispetto all'altra Italia. La testimonianza è di uno dei più grandi giornalisti dell'ultimo cinquantennio: Enzo Biagi, estratta dal libro Io c'ero.

Il Contessioto




Tutto comincia alle 3,02 di lunedì 15 gennaio. A Palermo, in un istituto di religiosi, c’è il solo sismografo dell’isola. Registra la grande scossa, poi il pennino si rompe. Finito.
Da quel momento inizia la nostra vicenda. Le telescriventi battono nomi di paesi quasi sconosciuti: Ghibellina, Montevago, Partanna. La radio dà le prime notizie: forse dieci, forse ventiquattro morti. Il nuovo telegiornale si presenta in modo drammatico: la Sicilia è sconvolta dal terremoto. I quotidiani della sera parlano di centinaia di dispersi.
Gli italiani sono rattristati ma non sorpresi. Sanno che, qualche volta, la terra trema, sanno che i fiumi possono straripare e che dal cielo può scendere impetuoso il ciclone. Hanno in mente i giorni del Vajont e di Firenze, e conoscono il rituale della sciagura. Gli appelli alla fratellanza, i pellegrinaggi delle autorità, le addizionali sulle imposte. Ma scoprono qualcosa di nuovo: la disorganizzazione, l’inefficienza.
I primi settantacinque soldati arrivano dopo un giorno, la legge per la protezione civile è in discussione dal 1950 ma non è mai entrata in vigore, i soccorsi procedono lentamente, ci sono due camion che sfollano tremila superstiti, la gente è disperata.
Scoprono che laggiù il tempo si è fermato, e dalle macerie emerge un mondo che non ha niente a che fare con le autostrade, i consumi, la scuola obbligatoria, la sicurezza sociale, l’assistenza sanitaria.
Guardano le fotografie: muli, bambini, vecchi che rabbrividiscono negli abiti neri, piccoli uomini dal volto chiuso sotto l’ombra delle berrette, le case sconvolte mostrano la miseria nascosta, il contrasto fra le stoviglie di plastica e le capre che alloggiano sotto lo stesso tetto. C’erano tanti presepi, con le donne che filavano e i pastori, con i fabbri e i ciabattini che lavoravano sulla strada, e i poveri e i cani che si dividevano il pane; adesso quelle scene sono scomparse nel polverone, sono rimasti i bivacchi e le tende messe su dai militari, e soltanto i falò che si accendono nella notte per riscaldare gli ultimi protagonisti dei malinconici eventi nazionali: i terremotati.
Gli italiani conoscevano la Sicilia letteraria, quella di Vittoriani odorosa di arance, quella di Brancati ossessionata dal sole e dai desideri, quella di Verga umile e orgogliosa, quella di Tommasi di Lampedusa pervasa dal sottile rimpianto di un’altra epoca, spazzata via dal vento della storia e dal piccolo esercito che era sbarcato dal Nord.
Conoscevano la Sicilia del cinematografo e delle inchieste, i delitti della mafia –“Io amo il cane, ma se il cane mi attraversa la strada , il cane muore”- e quella di un’incosciente burocrazia che ha speso miliardi per costruire villaggi inabitabili, come a Manganaro, con la chiesa, la caserma dei carabinieri, la piazza del monumento al Seminatore, che getta negli aridi campii soldi dei contribuenti; e convalescenziari o ospedali nei quali svernano le pecore, come a Piana degli Albanesi.
Conoscevano la Sicilia splendida degli itinerari turistici e quella, un po’ cupa, ironica e le grandi macchie d’alberi, dove si va a cacciare il coniglio selvatico, i silenziosi palazzi dei baroni, con i quadri, le porcellane e i mobili che erano arrivati anche dalla Cina, e, nelle gallerie, i ritratti degli antenati, facce aspre di funzionari borbonici o sorridenti e bionde fanciulle britanniche che, seguendo Nelson, erano venute ad accasarsi quaggiù.
Adesso hanno visto che c’è una realtà che va oltre il romanzo, la fantasia, il gioco degli interessi economici e politici; e noi, che abbiamo il problema del parcheggio o di come riempire il tempo libero, non possiamo continuare ad ignorare la delusione e la rabbia di chi ha il problema di vivere.
Forse è venuto il momento di tradurre le promesse in fatti, se si vuol vincere un’indifferenza e uno scetticismo che gli anni e gli avvenimenti continuano a incoraggiare.
Dopo Marsala, Garibaldi concentrò le sue truppe a Vita per prepararsi ad affrontare, con i Mille e i picciotti, i reparti del re che lo aspettavano a Calatafimi. Mi disse un signore del luogo che i notabili e i borghesi di quelle parti seguirono comodamente la battaglia dal crinale di un colle, seduti sulle seggiole che qualcuno aveva pensato di affittare. Non volevano parteggiare per nessuna delle parti, non si aspettavano, in ogni caso, niente di buono. Infatti, sulla facciata della chiesa di Calatafimi si legge una scritta ammonitrice: “Solo Dio è grande”. I devoti non concedono dunque troppa fiducia ai potenti di passaggio.
Quando la fase dei sentimenti e lo slancio della commozione saranno passati, rimarranno negli accampamenti centocinquantamila senzatetto. Senza speranza e senza coraggio. Sono sfuggiti alla prepotenza dei mafiosi e degli sfruttatori, alle insidie dell’indigenza, alla furia della natura. Chissà se riusciranno anche a scampare ai moduli, alle lentezze parlamentari e al nostro egoismo.

venerdì 18 settembre 2009

Riflessioni arbreshe sul divieto di un prete latino ai greco-bizantini di intonare la Paraclisis nella chiesa della Favara

Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo la lettera che segue.
Il Contessioto
..........A Quotidiano “ la Repubblica”
..........Edizione di Palermo

La gravità delle recenti vicende e dispute religiose, verificatesi in Contessa Entellina, ha indotto i sottoscrittori, appartenenti alla comunità arbëreshe di Sicilia, a prendere posizione proponendo alcune pubbliche riflessioni.
È universalmente noto il ruolo svolto nel corso dei secoli dal clero bizantino-greco per la salvaguardia della identità culturale e religiosa degli italoalbanesi (arbëreshë) e l’erezione della Diocesi di Piana degli Albanesi ne è stata, da parte della Chiesa cattolica, il riconoscimento istituzionale più importante.
L’Eparchia, nelle comunità arbëreshe (Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela) è stata chiamata ad esercitare la giurisdizione religiosa per i cattolici di entrambi i riti (il bizantino greco e il romano). Tale diversità rituale, come ognuno può e deve comprendere è un elemento di ricchezza culturale e costituisce ormai una delle peculiarità di quelle comunità.
Alcuni appartenenti alla Diocesi di Piana degli Albanesi ma culturalmente estranei alle comunità arbëreshe, laici e religiosi, sono strenuamente impegnati ad avversare le tradizioni religiose e civili degli italoalbanesi spingendo le comunità verso divisioni (greci e latini) – ingiustificate, anacronistiche e pericolose – che hanno già provocato lacerazioni nelle famiglie e nella società.
Il tentativo di impedire, in vari modi, alla popolazione di rito bizantino greco l’espletamento di riti e tradizioni secolari nasconde l’ennesimo tentativo di procedere, in modo più o meno surrettizio, alla loro latinizzazione forzata.
Non si hanno notizie circa posizioni ufficiali e pubbliche assunte in merito dalle gerarchie della Diocesi, da cui, si spera, vengano attivate iniziative opportune e necessarie per rimuovere le contraddizioni presenti e ripristinare nelle comunità un clima sereno di operosa convivenza in uno spirito autenticamente comunitario.
Si ha anche ragione di credere che dietro le “provocazioni locali” si possa nascondere una vera e propria aggressione all’Eparchia e alla sua missione. A tal proposito, infine, non sarebbe inopportuno affrontare il tema in una pubblica iniziativa di approfondimento che, oltre ad affrontare la questione della convivenza fra i due riti, possa anche occuparsi del ruolo e dello stato attuale della Diocesi.

Domenico Cuccia
Direttore Assemblea regionale siciliana
.
Pietro Manali
Direttore biblioteca comunale “G. Schirò”
di Piana degli Albanesi
.

Matteo Mandalà
Professore ordinario Lingua e lett. albanese
Università di Palermo

.
Pina Ortaggio
Docente Istituti Superiori

.
Vito Scalia
Docente Istituti Superiori

.
Giuseppe Schirò di Maggio
Albanologo e scrittore

N.B. - La lettera di cui sopra è stata pubblicata dal quotidiano La Repubblica nell'edizione del 19-09.2009.

giovedì 17 settembre 2009

Chi viene da fuori non sempre capisce che la natura arbreshe del paese ha radici profonde ed inestirpabili. Non si cambia la coscienza di una comunità

Su una rivista del 1987, Ciao Sicilia abbiamo rintracciato una poesia, un ritornello, di un poeta-contadino di Contessa che l’ha scritta ai primi del Novecento. I poeti-contadini nella storia contessiota sono numerosi e sinceri. Di essi abbiamo perso purtroppo i versi e gli animi profondi da cui attingevano quel modo saggio di esprimersi.
La composizione che segue è di Antonino Cuccia (per intenderci il bisnonno dell’ex sindaco Piero Cuccia) ed è stata titolata dall’autore “Stosanesi”. Pur essendo una composizione popolare, non liturgica, è possibile sentirla cantare, solo per pochi versi, durante la processione del clero greco, nel giorno di Pasqua; alla fine di quella processione del ‘Cristos Anesti’ come tutti sappiamo viene portato il gioioso annuncio della resurrezione di Cristo nella Chiesa della Madonna della Favara, non perché i latini non siano ancora informati della Resurrezione, ma per condividere la comune speranza che tutti i cristiano dovrebbero possedere. Chi ha una fede fragile, in quel annuncio, in quella salita alla Favara, legge altre cose. Ma questi sono affari da ignoranti e non da cristiani.
La proponiamo perché ognuno rifletta su come le tradizioni ‘bizantine’ (come pure quelle latine, quelle sicule e quelle italiche, quelle religiose e quelle civiche) hanno radici anche nelle coscienze popolari (1). La proponiamo perché il sempre valido messaggio evangelico dell’accoglienza, dell’apertura delle porte, dell’AMORE prevalga su quell’altro dei portoni chiusi, del settarismo, del respingimento. Noi contessioti, tutti, siamo e dobbiamo restare persone civili. Le inevitabili controversie le dobbiamo risolvere nelle forme di civiltà prescritta.
note
(1) della tradizione arbresh fanno parte anche le tradizioni civiche, non solo quelle religiose. A Piana degli Albanesi da 60 anni è tradizione che il gonfalone del comune partecipi alla celebrazione del 1° maggio, a Portella della Ginestra. Ha fatto male l’amico sindaco Caramanno quest’anno a non far sfilare quel glorioso gonfalone nella celebrazione; le prevedibili motivazioni politiche sono piccola cosa di fronte alla Storia. Portella della Ginestra rievoca la strage di contadini, anche arbreshe, e rievoca il grande Nicolò Barbato.
Il Contessioto
Stosanesi


Me paqe e me harè te kjò bukurëditë, ...........Con pace e con gioia in questo bel giorno
Çë ka klënëçelur sa ke çë isht jetë, ............. ch’è stato celebrato da quando è il mondo,
qi i madh gëzim vjen një herë në vi..............questo gran diletto una volta l’anno viene:
kush rron e sheh pametë; ............................chi vive lo rivedrà,
kush vdes mbëllin sytë, ................................chi muore chiude gli occhi,
kundet vete jep te jetëra Jetë, .......................e nell’Aldilà il resoconto presenta,
se In Zot, vdekur rrijti tre ditë, .....................perché tre giorni il Signore stette morto,
me kaqë harè na u ngjall si sot. ....................con gran gioia risorse come oggi.
Luftarët e rruajn me gjak te sytë ......I soldati con occhi insanguinanti lo sorvegliarono
Kur tundej dheu e luajnë ajo botë, .............mentre il suolo tremava e la terra oscillava,
se si vdiqi In Zot ngë ....................................poiché quando morì il Signore
u pa më dritë (dritë) .....................................più luce non si vide
luftarët u llavtin me atë tirrimot, ..................i soldati si atterrirono al terremoto,
rran te dheu e zbëllijtin sytë: ........................caddero al suolo e venne loro la vista:
njohtin se aì çë vran ish e vërteta In Zot, ....compresero che avevano ucciso il Signore.
Shën Mëria Virgjërë rrij vënë më lip, .........La Santa Vergine Maria stava in preghiera
klajti të birin tre ditë me sot, ........................ha pianto il figlio fin’oggi tre giorni,
u kallaritin engjulitë .....................................vennero giù gli angeli
e erdhi ajo dritë --------------------------------e venne la luce
an’e t’i than Shën Mërisë ...............................dissero alla Madonna
se u ngjall In Zot. ...........................................che risorto era il Signore
Shën Mëria Virgjërë rriodhi, fshijti . La Santa Vergine Maria corse e si asciugò gli occhi
vat’e barcarti t’In Zot ....................................abbracciò il Signore
e pa se te gjiri kish një firitë: .........................e vide che in petto aveva una ferita:
patë helm i madhë ndiejt ..............................tanto dolore provò
Shën Mëria kur vdiq’In Zot. ..........................la Madonna quando morì il Signore.
Mbi dyzet ditat te Parraisi u hip, --------------Dopo quaranta giorni in paradiso salì,
me flamën te dora u ngjall In Zot. ...............con la bandiera in mano risorse il Signore.
Priftèria na i mbëson këtë i madh shërbes ..Il Clero ci insegna questa cosa meravigliosa
Se për tre ditë hipet me atë “Stosanes” ..........e per tre giorni sale con lo “Stosanesi”
E Litirit vete t’ja thot ......................................ed al Latino dice
kini harè se u ngjall In Zot. ............................“gioite ché il Signore è risorto”
Këtë rrimë e bëri Strollaku .........................Questa rima è stata composta da Strollaku
e u jam’e ju i thom sot: ..................................e ve lo dico oggi:
me kaqë harè u ngjall In Zot. .......................Con tanta gioia è risorto Nostro Signore.

Antonino Cuccia detto
STROLLAKU.
Arbëresh ....................................................................Italiano

mercoledì 16 settembre 2009

8 Settembre, festa locale, nella serenità - Contessa Entellina torna ad essere una comunità unita.

La festività dell'8 settembre è stata celebrata in concordia e serenità da tutti i contessioti. Di questo dobbiamo trarre tutti piena soddisfazione. Il Consiglio Comunale, espressione della cittadi-nanza intera, si è ritrovato il 10-09-2009 unanime nell'approvare il documento che riportiamo sotto, punto A). Anna Fucarino, una dei consiglieri presentatori -il cui discorso riportiamo integralmente al punto B)-, ha detto che -da latina-intende adoperarsi per la salvaguardia di tutte le consuetudini arbresh che danno identità a Contessa. Anche il Sindaco, dott. Sergio Parrino, nel suo intervento ha tenuto a ribadire che tutte le consuedudini e tradizioni locali vanno salvaguardate, nell'interesse di tutta la cittadinanza, sia essa dell'uno o dell'altro rito.

Con la processione del Crocifisso del 14-09-2009 si è così conclusa una stagione di passioni e curiosità sul terreno religioso dei contessioti, iniziata il 1° agosto scorso con l'iniziativa di Don Mario Bellanca di vietare ai cattolico-bizantini di pregare in quella che stranamente ritiene la SUA chiesa, piuttosto che una chiesa dei contessioti.
Il Contessioto

A)
Mozione per la salvaguardia della tradizione arbëresh del Comune di Contessa Entellinatesto condiviso all'unanimità
=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=.=. Il Consiglio Comunale
Premesso
Che
l’articolo primo dello Statuto Comunale fa obbligo agli organi del Comune di tutelare l’intero patrimonio culturale della nostra comunità, sia esso a carattere religioso, civile e/o etnico, essendo il nostro, come testualmente sta scritto un comune arbëresh;
Che detta tutela deve avvenire, come indica la Costituzione Repubblicana, con spirito laico, ossia senza voler interferire nei contenuti dottrinari e liturgici delle singole fedi presenti nel nostro comune;
Che in questi giorni la cittadinanza è turbata per quanto sta avvenendo in paese in seguito ai noti fatti riportati dai principali quotidiani e dai mezzi di informazione;
Che la tutela del patrimonio culturale e conseguentemente religioso della nostra cittadina è dovere degli organi pubblici;

Q.S.P.

CONSIDERATO che il Consiglio Comunale non può restare insensibile di fronte alla violazione di un diritto fondamentale dell’uomo, ossia quello di liberamente svolgere la propria fede nei luoghi che ciascuno sceglie, specialmente se questi sono preposti a questo scopo; ciò nell’ovvio rispetto dei riti che vi sono programmati;
CONSIDERATO che la conservazione dei caratteri arbëresh del nostro paese è un dovere Costituzionale (art. 7) e Statutario (art. 1) di questo Comune;
CONSIDERATO che il canone 26 del Codice di Diritto Canonico e il canone 6 del Codice delle Chiese Orientale rendono perpetui, ossia immodificabili, le consuetudini secolari o immemorabili;
Visto lo Statuto Comunale;
Vista la Carta dei diritti dei giovani (varata dal Consiglio d’Europa) fatta propria da questo Consiglio Comunale nell’ultima seduta;
Dopo ampio dibattito
IMPEGNA


1) L’Amministrazione Comunale a svolgere ogni utile iniziativa tesa a garantire a tutti i cittadini il libero esercizio della fede in ogni luogo a ciò preposto nell’ambito di questo Comune;
2) L’Amministrazione Comunale a garantire, mediante iniziative di sensibilizzazione nei confronti della Curia e di ogni altro organismo o soggetto idoneo, la libera espressione dei riti e canti bizantini all’interno della Chiesa della Madonna della Favara come per secoli è sempre avvenuto, peraltro sulla base di ancora validi atti notarili, durante la prima quindicina di agosto;
3) L’Amministrazione Comunale ad intraprendere ogni utile iniziativa di sensibilizzazione delle coscienze cittadini (mediante convegni, opuscoli, etc.) perché i nostri giovani crescano avendo sempre come guida il rispetto del prossimo, anche quando questi dovesse essere portatore di una cultura che a loro non dovesse apparire di immediato gradimento.

B)
Intervento di Anna Fucarino nella seduta consiliare del 10 settembre 2009
Credo che il contenuto della mozione sia chiaro ed evidente a tutti. E’ comunque giusto che dia la chiave interpretativa sulla volontà che ha contribuito alla presentazione di questo atto in Consiglio Comunale.

La mozione nasce da fatti concreti accaduti all’interno del nostro paese, fatti incontrovertibili ed oggettivi che hanno scosso la coscienza di tanti fra noi. Il dispositivo della mozione non si riferisce tuttavia a quei fatti, da cui prende solamente le mosse, ma generalizza valori e principi che quei fatti hanno intaccato. La mozione intende riaffermare che i diritti costituzionali della libertà di culto, della libertà di essere diversi, di essere “minoranza” all’interno dell’Italia, ormai sono principi fondanti dello Stato Italiano.
Ritengo che così sia giusto; noi infatti siamo il Consiglio Comunale di uno dei tanti comuni che costituiscono la Repubblica Italiana e non siamo qui per intervenire all’interno di questioni ‘organizzative’ della Chiesa Italiana, che in forza del Concordato gode di una autonomia larghissima. Tuttavia, lo ribadisco, salvaguardare valori politici dei nostri cittadini spetta a noi (e voglio ricordare che anch’io sono una cittadina di Contessa); e sono valori politici la natura di Comune arbëresh di Contessa Entellina, come di fatto riporta l’art. 1 dello Statuto Comunale e come lo sono quelli secondo cui nessuna istituzione in Italia, pubblica o privata, possa respingere cittadini in virtù della loro appartenenza ad uno o all’altro rito di una medesima fede. I valori politici vanno salvaguardati anche a cura del Consiglio Comunale.

E’ bene comunque che io ricordi brevemente i fatti.
E’ consuetudine plurisecolare (e non mi interessa se fondata su documenti più o meno perfetti) che nella prima quindicina di agosto i fedeli di tradizione arbëresh si rechino per pregare all’interno della chiesa dedicata alla Madonna della Favara. Pregare come e dove si vuole, purchè l’edificio rientri fra quelli appartenenti alla Chiesa Cattolica, è un diritto inviolabile dei cittadini, purchè ovviamente non si disturbino gli eventuali riti programmati in quella chiesa.
I fedeli, i giornali, la comunità di Contessa hanno potuto constatare che questo diritto costituzionale non ha potuto svolgersi. Voglio esulare dai motivi. So che il codice di diritto canonico salvaguarda tutte le consuetudini che danno lode a Dio. I problemi interni organizzativi non interessano noi, in quanto in forza del Concordato, saranno risolti all’interno della Chiesa. Io so soltanto che diritti inviolabili dell’uomo, quale è la libertà di culto, sono stati resi vani, facendo saltare una consuetudine che è incastonata nell’identità storica dell’essere arbëresh di questo comune.

Chiarito che la mozione non prende le mosse dagli aspetti organizzativi interni della Chiesa, che mi auguro saprà al proprio interno risolvere, al più presto, con la mozione si vuole, invece, tenere desta la coscienza dei cittadini sulla sacralità dei principi di libertà religiosa, di tolleranza verso chiunque appaia agli occhi della maggioranza “diverso”, con cultura differente, con tradizioni differenti.

Signor presidente, colleghi consiglieri, Signor sindaco, solo 4 giorni fa ci siamo ritrovati in questa stessa aula per presentare ufficialmente un volume e un DVD realizzato grazie alla legge 482, legge nazionale per la tutela delle minoranze, e al progetto della Dott.ssa Martorana. Durante quell’occasione sia il signor Sindaco Sergio Parrino che il presidente del consiglio Enzo Spera hanno ribadito e sottolineato l’importanza della tutela del patrimonio culturale della minoranza etnica che valorizza Contessa e la contraddistingue dagli altri comuni del territorio.
A tal proposito voglio citare qui le parole della Dott.ssa Maria Antonietta Santullo, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Caraffa di Catanzaro. Dice la Dott.ssa Santullo: “…nella scuola dell’autonomia assume piena efficacia il sistema formativo integrato, centro di sviluppo culturale e sociale, luogo di formazione che risponde al territorio, alla specifica realtà di appartenenza puntando su obiettivi inviolabili quali l’acquisizione da parte delle giovani generazioni della consapevolezza della propria identità di appartenenza e il recupero di un’antropologia in cui i modelli culturali armonizzano presente e passato. Un micro pianeta, all’interno del più ampio universo della cultura e della storia ufficiale il cui valore aggiunto della specificità etnico-linguistica rappresenta patrimonio collettivo, ricchezza culturale sia per chi la possiede, sia per chi la riceve”. Mi soffermo su questa frase: il cui valore aggiunto della specificità etnico-linguistica rappresenta patrimonio collettivo, ricchezza culturale SIA PER CHI LA POSSIEDE, SIA PER CHI LA RICEVE”.

Nata a Contessa Entellina dopo solo alcuni giorni i miei genitori mi hanno trasferita alla loro residenza ufficiale ossia a Piano Cavaliere, dove ho anche frequentato la scuola elementare. Lo dico perché voglio fare presente che in quegli stessi anni qui a Contessa le due maestre dott.ssa Giuseppina Cuccia e la maestra Tomasina Guarino effettuavano delle attività didattiche curriculari ed extrascolastiche con gli allievi per l’insegnamento della lingua albanese e delle tradizioni culturali ad essa legate, quali il ripristino di canti perduti, l’organizzazione del gruppo folkloristico, le drammatizzazioni, i costumi e via dicendo. Io però non ho mai potuto seguire quelle attività, perché, e non lo dico con vergogna, i miei non avevano un mezzo per accompagnarmi in paese, pertanto sono sempre rimasta estranea a questa realtà. Però a Piano Cavaliere c’era e c’è la chiesa, diretta prima da Papàs Borzì, successivamente da Papàs Nicola Cuccia. Con loro due noi abitanti di Piano Cavaliere facevamo delle iniziative, come il canto del Lazzaro, lo Stosanesti, ecc. Per ragioni di studio sono sempre stata fuori, a Contessa non ho mai abitato se non solo per brevi periodi. Però il mio percorso formativo mi ha portato sempre verso la conoscenza e l’approfondimento di questo bene profondo che è per me la minoranza etnica e linguistica di Contessa. Ho sostenuto gli esami all’università e discusso la mia tesi di laurea su questo argomento, sono stata fuori nel Galles per lavorare in un centro di ricerche sulle lingue minoritarie dell’Europa e di recente sono stata anche in Kosovo dove ho avuto modo di incontrare professori universitari dell’America, della Russia e di altre nazioni che benissimo conoscevano sia la lingua “Sqipe” che l’”arbëreshe”. Queste esperienze hanno sicuramente accresciuto il mio interesse per questa minoranza. Per motivi di lavoro ho anche viaggiato tanto e vi assicuro che quando parlo di un comune che ha saputo conservare per 600 anni una lingua che ha le sue origini nel tracio-illirico, tutti restano meravigliati ed entusiasmati mostrando anche la volontà di venire a visitare questo luogo. Ho cercato sempre di essere vicina alle due maestre già citate, all’avvocato Raviotta e a Papàs Nicola Cuccia che per me sono i migliori cultori e conoscitori di questo immenso patrimonio.
Non so se vi è chiaro: io non sono una arbëreshe di nascita, i miei progenitori non erano di Contessa, ma di altri paesi, che sono venuti qui in cerca di lavoro. Contessa li ha accolti ed ospitati, ha permesso loro di costruirsi qui una famiglia e di dare qui a me la vita. Essi si sono dunque naturalizzati arbëresh. Questo lo dico anche per sottolineare il grande senso di ospitalità che Contessa ha sempre avuto e di cui ha anche parlato il Messo Apostolico Mons. Tamburrino durante l’omelia dell’otto settembre scorso. Sarebbe auspicabile che tutte le persone provenienti da altri paesi ma che qui vivono, possano seguire il percorso di chi li ha preceduti, e, dunque rispettare i luoghi di loro permanenza. Gli albanesi sono emigrati in questo posto e da emigranti hanno sempre saputo accogliere gli altri. Come Contessiota io sono parte di questa comunità. Sono stata battezzata, cresimata e sposata secondo il rito romano, ma mi sono sempre sentita libera di frequentare le due parrocchie perché mi piace seguire le funzioni che si svolgono sia nell’uno che nell’altro rito. Amo le funzioni liturgiche in rito bizantino perché mi trasfondono un senso di unione maggiore con Dio che è la nostra guida nel nostro percorso terreno. Amo le tradizioni arbëresh perché mi danno la possibilità di essere diversa in un mondo globalizzato, mi danno la possibilità di imparare e scoprire nuovi mondi, diversi dal nostro piccolo emisfero cittadino. Amo la possibilità di confrontarmi e discutere di riti e celebrazioni diverse, di parlare in una lingua che mi ha aperto le porte ovunque io sia andata.
Da Contessiota non arbëresh ma “naturalizzata arbëresh” io devo difendere e preservare ciò che mi appartiene perché rappresenta la mia identità, mi contraddistingue in un mondo globalizzato, dove la comunione di culture e identità diverse rappresentano un momento di crescita e di sviluppo personale, culturale, politico, economico ed anche religioso.

Pertanto, con la presente mozione si invita l’Amministrazione ad intervenire, negli spazi che le competono, perché nessun cittadino di Contessa abbia a vedere lesi diritti, consuetudini e garanzie rispondenti ai valori costituzionali.
Si invita l’Amministrazione a farsi presente fra la cittadinanza con convegni, con opuscoli e nelle scuole perché nella coscienza di ciascun contessioto viga sempre il rispetto del prossimo.
Ma soprattutto si invita l’Amministrazione a far valere in ogni circostanza che questo è un comune arbëresh e pertanto ogni caratteristica che contribuisce a definire l’identità arbëresh, sia essa culturale, linguistica, religiosa, consuetudinaria, etc., deve essere salvaguardata.

Prof.ssa Anna Fucarino

Contessa Entellina nuovamente sulla stampa isolana - All'origine c'è l'intolleranza culturale di pochi

Dal quotidiano LA SICILIA di oggi riprendiamo integralmente il breve articolo che segue.
Il Contessioto

LA Sicilia
16-09-2009

IL CASO DI CONTESSA ENTELLINA
Cosa c'è dietro la querelle tra fedeli bizantini e romani ?


LETTERA APERTA DI ALCUNI ESPONENTI DELLA COMUNITA' ARBERESHE DELLA SICILIA
C'è una aggressione all'Eparchia di Piana degli Albanesi e alla sua missione dietro la vicenda che nelle scorse settimane ha visto contrapposte le comunità di rito greco-bizantino e romana di Contessa Entellina ? E' quanto si chiedono alcuni esponenti della comunità arbreshe di Sicilia che, in una lettera aperta, si propongono di approfondire pubblicamente "la questione della convivenza tra i due riti" ed occuparsi anche "del ruolo e dello stato attuale della Diocesi" che, tra l'altro, ha giurisdizione religiosa per i cattolici di entrambi i riti".

Proprio per "il ruolo svolto nel corso dei secoli dal clero bizantino-greco per la salvaguardia della identità culturale e religiosa degli italoalbanesi (arbereshe)", la Chiesa Cattolica ha riconosciuto ed eretto la Diocesi di Piana degli Albanesi come Eparchia delle comunità arbereshe di Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano, Santa Cristina Gela e Piana.

In attesa che le gerarchie della Diocesi assumano "posizioni ufficiali e pubbliche" ..., "alcuni appartenenti" alla stessa Diocesi "ma culturalmente estranei alle comunità arbreshe, laici e latini, sono strenuamente impegnati ad avversare le tradizioni religiose e civili degli italoalbanesi spingendo le comunità verso divisioni (greci e latini) ingiustificate, anacronistiche e pericolose che hanno già provocato lacerazioni nelle famiglie e della società". Con un obiettivo finale: "la loro latinizzazione forzata".

martedì 15 settembre 2009

La strana politica regionale – I fondi per la Sicilia parzialmente sbloccati ma di sollevare le acque della diga Garcia non si parla


Nello scorso mese di luglio Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè minacciarono il centrodestra italiano di voler costituire un partito del sud che potesse fare da contraltare alla Lega di Bossi. Per evitare spaccature all’interno del suo partito (pdl) Silvio Berlusconi decise di allentare i cordoni della borsa e autorizzò lo sblocco degli investimenti in Sicilia nella misura di €. 4,313 miliardi.
La Gazzetta del 2 settembre ha pubblicato il decreto del Cipe con cui viene messa a disposizione la prima tranche dei fondi, pari a 150 milioni di euro, che dovranno servire per finanziare “misure di accompagnamento nazionale a favore dell’area di libero scambio nel Mediterraneo a cominciare dal 2010”. In breve si tratta di dare attuazione ad un accordo commerciale-fiscale tra i paesi rivieraschi del Mediterraneo fra cui vigerà l’esenzione dai dazi doganali per lo spostamento delle merci. Il progetto quindi non prevede investimenti in infrastrutture ma il sostegno ad antichi accordi diplomatici.
Nel decreto sono preannunciati altri €. 150 milioni in favore del Comune di Palermo, in ragione di 70 milioni per il 2009, 40 milioni per il 2010 e 40 milioni per il 2011 per realizzare investimenti nel settore dell’igiene ambientale (il tutto a cura di quel comune).
Sulla bontà di queste somme ad attivare meccanismi di virtuosismo per la crescita economica si può opinare, ma è certo che l’interno dell’isola non è stato per nulla preso in considerazione. La realtà dell’interno della Sicilia non interessa i politici regionali perché lì vive una minima parte della popolazione siciliana (pochi elettori quindi) che può essere di volta in volta trasformata in serbatoio di voti con poche e spesso illusorie promesse di impieghi clientelari. Non stupiamoci quindi se da metà settembre in poi i paesi, come Contessa Entellina, sembrano disabitati e privi di vitalità sociale, economica e culturale. Ai politici regionali interessano i voti delle zone costiere, perché quelli dell’interno arrivano comunque con il sistema clientelare storico.

I due responsabili principali del governo regionale, Raffaele Lombardo (da Palazzo d’Orleans) e Gianfranco Miccichè (da Roma), essendo perfettamente consapevoli della disastrosa realtà sociale della Sicilia e dell’insofferenza dei piccoli comuni, continueranno a minacciare il governo ed il centrodestra brandendo la nascita di un Partito del sud. E’ questa in effetti l’unica forma ideale di essere ad un tempo responsabili del governo regionale e propagatori di illusorie aspettative e tensioni fra la gente. Tempo fà qualcuno sulla medesima lunghezza d’onda proponeva partiti di lotta e di governo.Il giocattolo purtroppo funziona grazie all’assenza, ormai da anni, di veri partiti di opposizione nella regione Sicilia.

Contessa Entellina ha di che aspettare per vedere realizzati progetti significativi di valorizzazione del suo territorio che interessino Santa Maria del Bosco, l’irrigazione con le acque della diga Garcia e così via.
Tanti fra noi d’altronde si sono fatti abbindolare dal finto protagonismo ‘rivendicativo’ dei due capitani di ventura Lombardo e Miccichè, la cui missione più immediata sarà quella di farci digerire da qui a breve le “gabbie salariali” che stanno a cuore a Bossi.

Il Contessioto

Mons. Francesco Pio Tamburino "visitatore apostolico" - Incarico ispettivo

Ha preso il via, con la partecipazione al pontificale celebrato nella chiesa della Madonna della Favara, martedì 8 settembre, la preannunciata visita apostolica all’Eparchia di Piana degli Albanesi. E' condotta da Mons. Francesco Pio Tamburrino, benedettino e arcivescovo di Foggia, che ha proseguito l’incarico nei giorni successivi fino al 14 settembre nei locali del seminario di Piana degli Albanesi, ove tornerà ulteriormente.
Ogni visita apostolica infatti solitamente si chiude con formale conclusione scritta stesa dal visitatore, che include i “consigli” alla Santa Sede in merito ai riscontri rilevati o meno.

L’Eparchia è stata istituita con Bolla pontificia Apostolica Sedes il 26 ottobre 1937 ed ampliata alle parrocchie di rito romano che insistono sui territori di Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano e Santa Gristina Gela con Bolla pontificia Orientalis Ecclesiae dell’8 luglio 1960. Alla base dell’istituzione e del successivo ampliamento era il ruolo di ponte che essa avrebbe dovuto assolvere per favorire il dialogo cattolici-ortodossi. Oggi questa funzione appare parecchio trascurata per più motivi:
-la diffidenza degli Ortodossi, che indistintamente definiscono ‘uniati’ tutti i cattolici-bizantini;
-l’Ecumenismo fra i cristiani ha ormai canali e sedi istituzionali sue proprie;

L’Eparca, Mons. Sotir Ferrara, è insediato dal 15-01-1989.
Il Contessioto

lunedì 14 settembre 2009

La Sicilia settecentesca e il contesto europeo dell’Illuminismo.

Ancora nel 1770 la Sicilia era pressocchè sconosciuta all’Europa che si accingeva a cambiare le regole del vecchio mondo feudale (ancien regime). A Parigi i redattori dell’Enciclopedia descrivevano una Palermo data per distrutta dai terremoti, proprio quando la capitale dell’isola invece raggiungeva livelli di singolare bellezza adornandosi con i meravigliosi palazzi settecenteschi che ancora oggi ammiriamo. Questo era effetto della marginalità geografica dell’isola che soffriva dell’avvenuto spostamento del baricentro del traffico marittimo dal Mediterraneo all’Europa del Nord, dell’abbandono da parte del debole governo spagnolo sin dall’inizio del secolo dell'isola al suo destino e soprattutto dell’assoluta mancanza di strade che dalla costa conducessero verso l’interno; gli unici accessi nel cuore profondo dell’isola erano le millenarie scomode trazzere, alcune delle quali percorrevano l’attuale territorio di Contessa Entellina per congiungere Palermo al versante meridionale della Sicilia.
Dalla seconda metà del settecento tuttavia l’Europa comincia lentamente a scoprire la Sicilia, ricavandone comunque una convinzione poco aderente alla realtà. Da ogni parte del continente cominciano ad arrivare nell’isola visitatori (oggi diremmo turisti), in genere persone erudite e culturalmente rilevanti che nei loro diari descrivono una terra di meraviglie, più frutto di fantasie costruite sulla grande storia del passato, resa viva ai loro occhi dai templi greci, dalle belle città adagiate sulla costa, dagli splendidi monumenti arabo-normanni e dai profumi degli agrumeti, che dalla cruda realtà di miseria e di arretratezza rispetto ad una Europa che già aveva intrapreso da tempo il cammino di abbandono del feudalesimo. I visitatori nei loro viaggi attraverso l'isola d'altronde incontravano esponenti dell’alto clero e della nobiltà feudale, di cui non potevano che ammirare la innata ospitalità ed il lussuoso tenore di vita.
I territori interni dell’isola, quelli su cui Contessa era stata tre secoli prima fondata da esuli albanesi, erano invece frustrati dalla malaria, in gran parte non coltivati ed immersi nell’immenso latifondo su cui la popolazione era soggetta a frequenti carestie.
Al contrario di quanto era ormai assodato in tutta Europa qui da noi mancava un ceto medio con aspirazioni culturali (con rarissime eccezioni in piccole parti del clero) e soprattutto mancava un governo del territorio e sul territorio, su cui imperavano invece con poteri assoluti i baroni, refrattari a qualsiasi evoluzione della società e dei suoi secolari costumi pubblici e privati.
Quando Goethe visita la Sicilia si limita ad esaltare la bellezza della natura. D’Orville, Jean-Pierre Houël, che arriva fino a Palazzo Adriano e traccia aspetti del mondo arbreshe, Riedesel e Winckelmann restano ammirati dai monumenti greci. Zinzerdoff, Borch, De La Lande e Brydone sono colpiti dal fastoso tenore di vita della nobiltà siciliana.
I libri del pensiero illuministico che investono irrimediabilmente i pilastri del vecchio mondo feudale e che lasciano intravedere un mondo meglio organizzato arrivano da Parigi fino in Sicilia, superando le maglie della censura governativa, tuttavia vengono letti dai pochi che conoscono la scrittura e questi (ne riferisce Giovanni Meli), appartenendo ai ceti privilegiati di allora, non sono interessati a costruire un mondo migliore.
In questo contesto tutto isolano l’elite siciliana non fa altro che disancorarsi ulteriormente dall’Europa.
Sul finire del secolo sarà comunque un uomo vissuto per oltre dieci anni a Parigi, fra i circoli culturali dell'illuminismo, a prendere a cuore le arretrate condizioni dell'isola e a porre con decisione le premesse perché anche la Sicilia -alcuni decenni dopo (1812)- possa abbandonare pure essa la pesante eredità del governo dei baroni; grandi meriti acquisirà infatti su questo fronte il marchese Caracciolo, che verrà dai regnanti borboni chiamato all'importante ruolo di vicerè dell'isola.
Il Contessioto

domenica 13 settembre 2009

Per una storia attraverso cronache e documenti - Il libro su Contessa Entellina di Francesca Di Miceli

Qualche anno addietro il Comune di Contessa Entellina pubblicò un testo della prof.ssa Francesca Di Miceli su Contessa Entellina. Il libro ci offre un percorso storico attraverso il vaglio di documenti che, come evidenzia Matteo Mandalà nella presentazione, forniscono informazioni decisive per descrivere la facies sociale, culturale ed economica di Contessa Entellina, che dovrebbe sottrarci dalle leggende e dai primati di difficile dimostrazione spesso rinvenibili nella storiografia arbreshe. Il libro si basa sui dati desunti dai riveli dei beni e delle anime che nel corso dei secoli sono stati condotti all'interno della comunità arbreshe di Contessa, ma in particolare su quello condotto da tre scrivani locali fra l'8 ed il 10 novembre del 1623. Dal libro veniamo pertanto a conoscenza della consistenza numerica della popolazione locale, dei cognomi che via via venivano censiti, dei quartieri del paese (mancavano inizialmente le indicazioni delle vie), ma anche delle condizioni economico-sociali nei primi secoli dalla fondazione del paese.
Lo schema tipico di ogni rivelo riporta:
a) l'elenco dei componenti di ogni singola famiglia con l'indicazione, per ciascuno, dell'età;
b) la consistenza dei beni stabili (immobili: casa, vigna, etc.);
c) beni mobili (possesso di animali da lavoro, da allevamento e detenzioni di botti, cannizzi (contenitori di grano) etc.;
d) possesso di rendite da beni affidati a terzi e/o di "gravezze" per oneri dovuti a terzi.
Ma cerchiamo di capire qualcosa in più sui cosiddetti "riveli" ossia sulle denunce volontarie delle anime e dei beni rese dai capifamiglia in ogni comune del Regno di Sicilia. Sistema che in verità era diffuso in altri stati europei dal cinquecento in poi.
Scopo di questi primordiali censimenti non era di natura demografica, come quelli che ci sono noti dagli ultimi decenni, bensì prettamente fiscale. Non avevano cadenze regolari ma venivano disposti in vista di riaggiornare i prelievi a favore della Corona, dei baroni, e dei comuni (università).

I criteri formali furono mantenuti per secoli immutati; ma le sottrazioni di imponibili, gli errori e le occultazioni erano all'ordine del giorno. L'abitudine di evadere il fisco era invalsa già allora, come oggi, anche perchè allora, più di oggi, il fisco presentava un viso con i tratti dell'arbitrio e dell'iniquità.

L'iniquità la si coglieva in forma plateale e sfacciata se solo si immagina che nel territorio di Contessa Entellina i due principali soggetti economico-sociali erano esenti da tutto: Santa Maria del Bosco, feudatario ecclesiastico, e il baronato dei Cardona prima e dei Colonna dopo, feudatario laico, erano infatti esonerati dal presentare denuncia, come erano pure esonerati, per privilegio regio, gli abitanti di Palermo, i quali ultimi comunque, indipendentemente dalla consistenza della popolazione, dovevano alla Corona un decimo dei prelievi effettuati sull'intera isola.

Alla luce di quanto abbiamo detto quindi i "riveli" hanno certamente una grande rilevanza per descrivere la storia sociale del Regno di Sicilia, ma vanno letti e considerati nel contesto istituzionale e sociale dell'epoca.

L'inaffidabilità dei riveli era nota alle autorità dell'epoca, tanto è che, specialmente nella seconda metà del settecento, la Deputazione del Regno iniziò a mandare commissari in tutti i comuni dell'isola per verificare e rielaborare quanto era già stato redatto dagli scrivani locali.
L'annotazione che abbiamo voluto riportare non toglie nulla comunque alla grande utilità che i dati desumibili dai riveli oggi ci forniscono per capire il mondo siciliano di quattro/trecento anni fà.
Il Contessioto

martedì 8 settembre 2009

E' festa paesana

Festa significa serenità, concordia, fiducia.
Auguri a tutti

Il Contessioto

lunedì 7 settembre 2009

RIDIAMOCI SOPRA - I novelli guerriglieri per l’indipendenza: vesti angeliche e spirito comunista

Pubblichiamo volentieri questa nota piena di ironia-sarcasmo. Ridere non ha mai fatto male.

Domenica scorsa 6 settembre 2009 chiunque sia andato nella Chiesa della Madonna della Favara ha potuto ricevere una copia del manifesto programmatico per l’indipendenza della parrocchia latina dal repressivo dominio greco, cominciato, si può evincere dal documento, a firma del consiglio pastorale, nella seconda metà del Novecento (n.d.r. – quando un anziano e sconosciuto papa di Roma, distrattamente, con Bolla pontificia trasferì sotto la giurisdizione dell’Eparca di Piana anche quella parrocchia latina); Da quegli anni il dominio poliziesco greco ha raggiunto livelli intollerabili.

I patrioti per l’indipendenza comunque non hanno alcuna intenzione di iniziare immediatamente una battaglia dura, come invece hanno insinuato in queste settimane i quotidiani dell’isola –schierati con i poteri forti dei greci- che sono arrivati al punto di inventarsi, figuratevi un pò, che Padre Mario avrebbe chiuso in faccia ai greci il portone della chiesa per non far loro intonare la Paraklisis. Che bugia ! Che trovata dell'altro mondo ! Che invenzione !
I patrioti parrocchiali offrono pertanto ai dominatori odierni il “dialogo” aperto ed evangelico su questi presupposti:

1) I greci dominatori, in forma tiepida per cinque secoli, sono passati all’esasperazione maniacale del loro potere in seguito alla Bolla della seconda metà del Novecento, pertanto, in base ai principi ugualitari del sempre attuale e cristianissimo Carlo Marx, devono rinunciare alle celebrazioni bizantine -ancora oggi mantenute pazzescamente integre-, a cominciare dalla festa della Madonna della Favara, che potrà continuare, per bontà e liberalità dei patrioti latini, a fruire dell’ospitalità in quella chiesa per una non meglio esplicitata ma semplificata celebrazione, purchè i greci rinuncino all’attuale coordinamento dei festeggiamenti che passerà ad un comando congiunto latino-greco; inoltre a garanzia che le ancora integre liturgie e celebrazioni bizantine saranno annacquate in “miste” latino-greche, occorre che la copresidenza dei festeggiamenti passi immediatamente al parroco latino, le leve di comando della processione siano in mano latino-greca paritetica, la cassa del comitato festeggiamenti sia a firma congiunta e la spesa avvenga a mezzadria presso fornitori ora greci e ora latini.
2) Ovviamente il gesto di dialogo dei patrioti prevede un effettivo ecumenismo (che per i patrioti è sinonimo di comunismo). Avendo constatato infatti che i greci hanno troppe celebrazioni e a forza di pregare rischiano di ulteriormente spiritualizzarsi alcuni e altri di stancarsi: a) Festa della Madonna, b) Cristos Anesti, c) Paraclisis d) Epifania e) Santa Lucia f) Crocifisso etc. etc. bisogna applicare secondo la celestiale giustizia del grande e sempre amato Carlo Marx, apostolo dello spiritualismo storico nonchè dell’ .. .. nismo, un egualitarismo a tutto spiano.
Occorre non solo dividere ciò che i dominatori greci hanno finora celebrato all’interno della chiesa latina, ma anche dividere i ‘misteri’ che essi celebrano nella chiesa greca. A nulla conta la circostanza che i patrioti latini rifiutano di capire cosa siano quei ‘misteri’ bizantini. Ciò che conta, in questa fase storica, è che la riscossa latina deve essere a tutto campo.
3) Se per caso i greci non dovessero apprezzare i gesti di dialogo e di apertura dei patrioti latini, essi rischiano non solo di falsamente cadere, assieme alla stampa regionale, nell’impressione, nell'illusione già sperimentata, che il portone della Chiesa Latina possa restare chiuso ai loro occhi, ma di essere responsabili della valanga di carta bollata, diffide e ingiunzioni legali che si abbatterà sui tavoli vaticani (n.d.r. – dove qualcuno deve farsi carico di rimediare alla follia di quella Bolla anni sessanta, data di inizio delle sofferenze latine).
4) Siccome la battaglia per l’orgoglio e l’indipendenza parrocchiale è cosa seria e utile, chi non ci sta, dubita o continua a ostentare fede evangelica nell’Unico Cristo, sarà bollato come nemico del dialogo, dell’ecumenismo e dell’egualitarismo comunista. Papas Nicola è pertanto avvertito.

Ma come fanno i greci ad esitare ? Perché non corrono ad abbracciare e baciare quel gran sant’uomo che presiede il consiglio pastorale patriottico ?

F.to Zorro