mercoledì 7 giugno 2023

Il nome della Rosa. Come Eugenio Scalfari ed Umberto Eco discutevano sul mondo degli uomini (3)

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            "Il nome della rosa"

        Eco, raccontaci

        il nostro futuro

 Scalfari: Ah, ma questo pone problemi formidabili. Quello che tu dici, infatti, fa giustizia di quell'opinione secondo cui "il" giornalismo, cioè il giornalismo del futuro, consisterebbe in un resoconto asettico dei fatti. Chiamiamo questo giornalismo "giornalismo anglosassone" o "all'americana". Io già oggi penso che il giornalismo anglosassone o americano non sia affatto asettico, anzi secondo me, come sai,  il giornalismo asettico non esiste per niente. Tu a questa mia opinione  aggiungi che in futuro il nostro mestiere dovrà  sempre più essere "filtraggio", cioè analisi, commento ...

Eco: Vedo che questo futuro ti spaventa un po' di meno. Bada però che non può benissimo esercitare il filtraggio e non dirlo. Anche se questo mi pare un trucco difficile da praticare in futuro, data la concorrenza della televisione.

Scalfari: Perché pensi questo?

Eco: Perché il mondo dei nudi fatti  appartiene per forza alla televisione. E un giornale che si attenesse ai nudi fatti già raccontati  dalla tv sarebbe degno di quella battuta  di Campanile, il quale disse che il quotidiano  di questo tipo assomiglia a una lettera che concluda con la frase "segue telegramma".

Credo che in futuro i giornali dovranno assumersi pubblicamente  la responsabilità del filtraggio. Vedo anche un grande sviluppo dei mensili specializzati, che del resto è già in atto, e un ritorno in forze della gente al libro.

Scalfari; Tu dici?

Eco: Si, di questo sono sicuro. Del resto già ora si vendono più libri.

Scalfari: Ne sei sicuro?

Eco: Si. Negli anni '50 le fascette che annunciavano un grande successo editoriale portavano la scritta "decimo migliaio". Si chiamava così anche una trasmissione televisiva  dedicata ai libri. Ma oggi un libro arriva come niente alle cento, alle duecentomila copie. Lascia stare che la gente compri molti manuali da cucina  e pochi testi di filosofia greca. Conta il fatto che statisticamente  si legga di più.

Scalfari: Quindi secondo te la parola scritta  non sarà scacciata dall'immagine?

Eco: No, secondo me il bombardamento di immagini televisive produrrà una fuga verso la mediazione, un bisogno di riflessione. Magari l'invadenza della tv e dei computer avrà anche l'effetto di provocare una sorta di analfabetismo informatico. Ma io non ho tutta questa paura dell'analfabetismo informatico. L'analfabetismo informatico alla fine non sarà peggiore dei vecchi analfabetismi, quello secco di tanti secoli fa, quello parziale che imperava in Italia un paio di decenni orsono quando pochissimi leggevano il giornale. Il saldo, comunque, con un incremento della lettura, resterebbe attivo. E in più molti di questi che non leggeranno niente vedranno un pezzo di telegiornale e sapranno almeno che esiste la Cambogia, che esiste il Ghana.

Dell'Arti: Gia', bisogna vedere se in Cambogia o in Ghana sapranno che esiste l'Italia ? 

Eco: Che vuol dire? 

Dell'Arti: Vuol dire che quando si parla di "villaggio globale" si fa sempre finta che nel mondo non esistano differenze tra paese e paese, tra civiltà e civiltà. Ma le differenze esistono, il mondo non è per niente, almeno oggi, il villaggio globale di McLuhan. Ti chiedo questo: l'era informatica aumenterà  il gap tra il primo e il terzo mondo o no?

Eco: Come si fa a fare una previsione? Sottomano non abbiamo che qualche ricerca antropologica, fatta a partire dalla dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale gli americani arrivarono in isole dove vivevano popolazioni pacifiche e primitive e installarono là le loro basi. Non si trattava di una vera e propria colonizzazione ma semplicemente di una "esposizione di comportamenti". Gli indigeni vedevano quello che facevano gli americani e basta. Che cosa significava questo?  Innanzi tutto voleva dire che gli indigeni passavano di colpo dalla danza tribale all'aeroplano, senza fasi intermedie, senza gradualità. Questo impediva in un certo modo l'identificazione, tutto ciò che nasceva  dall'incontro  fra le due culture era una sorta di "pidginizzazione".

Dell'Arti:  Il pidgin è una forma di inglese elementare,  mescolato con dialetti locali, che si crea in certe aree  degli arcipelaghi orientali. Un pidgin, essendo incompleto, è sempre un sottolinguaggio. La creazione del pidgin mostra che dall'incontro delle due culture, del Primo e del Terzo mondo, non nasce affatto il "villaggio globale"  ma qualcosa di ibrido, qualcosa che sta a mezzo . Una delle cose che può succedere  è la trasformazione  di certi loro miti, come accade per esempio  con il "culto del cargo".

Scalfari: Sentiamo il "culto del cargo".

Eco: Il "culto del cargo" è il culto di una civiltà che non conosce ancora né l'economia né la tecnologia. Questa civiltà in un determinato momento entra in contatto con la civiltà dei bianchi  e vede che certi beni escono fuori dalla stiva di una nave. Ignora l'origine di questi beni , così come certi bambini americani che vivono nelle grandi città ignorano l'esistenza delle mucche e l'origine del latte e credono che il latte sia prodotto artificialmente come la Coca Cola. La civiltà indigena non sa nulla dei beni e di quello che sta dietro alla stiva della nave. Allora trasforma la sua mitologia e vi inserisce il cargo: il cargo diventa questa cosa che deve arrivare un giorno in modo misterioso e portare ricchezza e mettere a disposizione degli uomini. Pidginizzazione tipica.

 Potremmo definirla anche in quest'altro modo: l'esposizione di altre tecnologie ad una civiltà arretrata produce soluzioni intermedie. Una contadina italiana può voler imitare la miliardaria di Dallas perché lo scarto tra i due mondi è minimo. In fondo gli abiti sono dello stesso tipo: blusa, gonna, eccetera. Le automobili girano a Dallas  e girano anche in Italia. Ma in altre zone, in zone che non si sono sviluppate  secondo i modelli occidentali, Dallas può produrre lo stesso effetto che la Vergine Maria quando le apparve nella grotta.

 Tuttavia questi sono esperimenti fatti al rallentatore, sui quali sarebbe pericoloso generalizzare. Gli americani arrivavano, si installavano, gli indigeni restavano a guardare  o si impossessavano degli strumenti a poco a poco. Oggi invece basta che uno sceicco decida di civilizzare il proprio paese e le televisioni arrivano immediatamente, subito dopo le televisioni arrivano i computers. Questo eliminerà la fase dell'ibrido, di incrocio, di mitizzazione. O la renderà più violenta?  Sarebbe pazzo chiunque volesse rispondere. Le reazioni possono essere le più diverse, a seconda del clima, della religione dominante, eccetera. E quindi non si può parlare di villaggio globale. Il villaggio globale è una metafora elegante, inventata da un signore che viveva nell'America del Nord.

Scalfari: Da quello che dici vedo un altro pericolo, il pericolo che possa formarsi un'altra volta un'opinione pubblica elitaria.

Eco: Perché?

Scalfari: Perché mi pare molto difficile  che la gente, in mezzo al coacervodi informazioni che le piove addosso, possa trovare un filo conduttore , sia capace di elaborare una chiave di lettura. Ti ricordi, per esempio, che cos'era l'opinione pubblica  all'inizio del secolo? A quel tempo una piccola percentuale della società non solo recepiva le informazioni, ma reagiva ad esse. Il resto della società guardava a queste persone e ne imitava i comportamenti senza capire le ragioni che li avevano provocati. I mezzi di comunicazione di massa, però hanno posto fine a questo stato di cose: i gruppi che "rispondono all'informazione " sono sempre più numerosi, si sono fatti, appunto, massa. Adesso la giungla informativa che ci sta davanti sembra in grado di favorire il ritorno di un'opinione pubblica privilegiata.

Eco: Io non credo: per questo ci vorrebbe una specie di dittatura ideale.

Scalfari: In che senso ideale?

Eco: Nel senso che ci vorrebbe una dittatura capace di controllare l'intero flusso delle informazioni. Francamente, un dittatore che oggi riuscisse a fare questo farebbe sembrare dei dilettanti  Hitler e Stalin. Tutto infatti procede in una direzione che nega la possibilità di un unico punto  di informazione. Non è che la società di oggi, o quella di domani, sia un individuo monolitico  dotato di un solo organo ricevente il quale viene bombardato dal mondo esterno. Qui ci troviamo di fronte a milioni di individui che, vengono bombardati, sono a loro volta sorgenti di informazioe. Pensa per esempio alle radio private. Prima c'era una sola radio, poi uno qualunque con un milione e mezzo si poteva fare la radio in casa e trasmettere. A un certo punto hannofinito per dire tutte la stessa cosa, a causa dell'imitazione reciproca, Nello stesso tempo però era impossibile che una di queste potesse falsificare completamente la realtà, dato che le radio, pur nella loro relativa uniformità, si controllavano l'un l'altra.  

Scalfari: Però, scusa, questo c'entra fino ad un certo punto con la mia domanda. Niente esclude che una classe, in un determinato momento, sia capace di elaborare informazioni più delle altre classi e che, per ciò stesso, si costituisca in gerarchia. Insomma, tu con questo ragionamento non puoi negare la possibilità che ci sia un'opinione pubblica più opinione pubblica delle altre.

(Segue)

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