giovedì 8 giugno 2023

Il nome della Rosa. Come Eugenio Scalfari ed Umberto Eco discutevano sul mondo degli uomini (4)

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        Eco, raccontaci

        il nostro futuro

Eco: Guarda, qui c'è Lotman, il semiologo sovietico, che ci spiega benissimo come stanno le cose. Lotman divide le culture in due classi: la classe delle culture grammaticalizzare e la classe delle culture testualizzate. Una cultura grammaticalizzata è una cultura che impara le cose attraverso una serie di regole. Se imparo a guidare l'automobile attraverso il manuale che si studia per l'esame della patente ecco che ricevo una cultura grammaticalizzata. Una cultura testualizzata invece consiste in grandi modelli  che vengono imitati. Per esempio i dieci comandamenti sono una grammatica, i Vangeli un testo. Il Vangelo, più che dare delle regole, fornisce grandi modelli imitativi.

L'impressione è che l'apprendimento grammaticalizzato sia molto più potente, conferisce più potere e autonomia. L'apprendimento testualizzato in definitiva ha come conseguenza  l'imitazione di comportamenti. Pare che nell'ambito delle comunicazioni di massa prevalgano modelli testualizzati. Non so, il grande spettacolo televisivo non ti dice come devi fare, ma ti fa vedere Pippo Baudo che fa cosi o l'attore Tal dei Tali che fa in una altro modo. Circola poi una certa idea secondocui l'èlite sarebbe in possesso delle grammatiche, mentre i poveretti non  avrebbero a disposizione  che i testi.

Solo che le cose non starebbero affatto così. Per esempio analizza la tua giornata quotidiana. T'accorgerai di essere sommerso sia dalle grammatiche che dai testi. Proprio per questo eccesso  dei materiali, su alcune questioni, l'economia, la politica nazionale o internazionale, tu apprendicontinuamente attraverso grammatiche.

Questi sono i tuoi campi, dunque tu sei in grado di ricevere le informazioni e di elaborarle. Ma su un'infinità di altri problemi, siccome non ce la faresti in nessun caso  ad apprendere tutto di tutto, "ti rifai  a dei testi". Mentre in un altro settore  c'è qualcuno che si  rifà a dei testi proprio là dove tu elabori  delle grammatiche . Per esempio, legge il tuo articolo di fondo, dice tra sè e sè  "bravo questo Scalfari", magari non ha ben capito  che vuoi dire, ma segue la linea.

La conclusione è questa: la moltiplicazione dell'informazione e delle grammatiche è tale che nessun gruoppo e nessun uomo può pretendere di saperle tutte. Ognuno di noi,  sarà quindi grammaticalizzato per una parte e testualizzato per l'altra. Ecco l'arcipelago. Il grande banchiere fornirà grammatiche  per quello che riguarda l'impiego di capitali, ma si atterrà a dei testi quando si tratterà di comprare una macchina  o un vestito o di aderire ad una religione. Credo  che la complessità non possa portare che a questi continui scambi di funzioni.

Dell'Arti: Ho un'obiezione da farti. Prima hai parlato del software.

Eco: Si.

Dell'Arti: Concordi su quest'affermazione in un  problema di software la soluzione che consta della seguenza più breve è anche la più efficace?

Eco: Oh sì, certamente sì. Così come è artistico riuscire a stare  in un endecasillabo un pensiero che altri elaborano in tre o quattro righe.: E' l'artisticità di ogni costruzione  equilibrata, come riuscire a creare l'Eretteo con poche forme. Si, senza dubbio. E' un problema di alta geometria. Non vedo perché dovremmo ammirare l'alta geometria  del Partenone e non l'alta eleganza del Teorema di Pitagora.

Dell'Arti: Va bene.Ora l'obiezione è questa: chi è in grado di afferrare  la quantità di arte  contenuta in una soluzione  di un problema di software? Soltanto una classe particolare , un'élite che sa decodificare  il messaggio pienamente. Gli altri sono tagliati fuori.

Eco: Ma la classe che capisce l'artisticità della soluzione del problema di software poi tutti gli altri capiscono . No, no, è la stessa cosa  che ho detto prima. Non ci sarà più una divisione netta  tra capitalisti e proletari dell'informazione, ma ciascuno sarà, di volta in volta, capitalista o proletario.

Scalfari: Insomma, tu sei ottimista. Allora ti domando questo: sei d'accordo con Servan-Schreiber quando, riprendendo la vecchia idea del villaggio globale di McLuhan, sostiene che il mondo futuro  sarà una specie di foro romano dove si potrà discutere di tutto in contemporanea tra posti lontani  anche migliaia di chilometri  e dove si potranno interrogare  direttamente i cittadini sulle scelte da compiere?

Eco: Questo mi pare troppo.

Scalfari: Perché?

Eco: Secondo te quanta gente stava  in casa a seguire i dibattiti di Radio Radicale?

Scalfari: Nessuno. O pochissimi.

Eco: Per forza. Quello che permette a ciascuno  di noi di interessarsi  della cosa pubblica è proprio il fatto che gli avvenimenti arrivino filtrati, selezionati. Solo così possiamo assorbirli e reagire. Il giorno in cui fossimo chiamati di continuo ad intervenire, il giorno in cui ci si chiedesse uno stato di tensione permanente ... chi potrebbe farcela? Oltre tutto c'è anche una questione psicologica: una cosa è stare nel foro, vivere l'evento anche fisicamente, emotivamente. Un'altra è ricevere  il messaggio stando chiusi in casa, senza sentirsi partecipi della comunità. A parte questo c'è la questione tecnica: noi siamo come un cavo della Sip, attraverso cui non possono passare  più di tante informazioni. Anche se siamo più complicati  e imprevedibili dei cavi telefonici, c'è un limite psicofisico al di là del quale andremmo in tilt.

Scalfari: quindi, in definitiva, la storia del villaggio globale non regge.

Eco: Mah, sai, McLuhan aveva una visione ottimistica di questo villaggio globale. Il villaggio globale in definitiva, consiste soprattutto nel fatto che non c'è più differenza di abbigliamento tra il ragazzo di paese e il ragazzo di città, tra il giovane fascista e il giovane comunista. La circolazione delle idee, dei modelli è istantanea. E' villaggio globale la possibilità di essere informati ora per ora su quanta radiazione atomica c'è in Svezia o in Cecoslovacchia, insomma è villaggio globale la compresenza delle notizie. Invece non è affatto detto  che il linguaggio globale possa offrire automaticamente delle possibilità di autogoverno. Scende anzi dalla mia ipotesi della paralisi per abbondanza e delle strutturazioni ad arcipelago dell'informazione che i movimenti, le aggregazioni saranno piuttosto casuali e non pianificabili. Il problema politico principale, caso mai, sarà allora quello di reintrodurre una nozione di progetto, di piano, di regola all'interno di questo movimento casuale.

Dell'Arti: A proposito delle mode e dei modelli uguali per tutti: Pasolini chiamava questo "omologazione" e aveva l'aria di considerarla una sciagura. Tu che ne pensi? L'omologazione è un bene? Un male?

Eco: secondo me l'omologazione non è mai né un bene né un male, come non sono né un bene né un male i fiumi o le montagne. Noi ormai non ne serbiamo più memoria, ma intere civiltà sono state schiacciate, "omologate", da ondate migratorie. Noi stessi siamo il risultato di un'omologazione tra civiltà latina e germanica, la lingua che parliamo non è che un'omologazione di infinite differenze regionali, dialettali, noi siamo stati omologati anche dall'invenzione delle uniformi militari, dall'adozione di strumenti comuni. Forse che i romani non hanno omologato i galli e i britanni? Si, ma ne sono stati omologati a loro volta, da galli e britanni i romani hanno appreso l'uso del sapone e delle brache. La storia non è altro che la vicenda darwiniana di distruzioni e salvezze di specie che avvengono attraverso omologazioni.

Naturalmente, all'interno delle omologazioni si ricreano poi nuove differenze in punti diversi. La reazione di Pasolini era poetica, sentimentale: egli soffriva per la scomparsa di una piccola zona del mondo, quella con cui si identificava. Ma se avesse potuto attendere avrebbe visto il sorgere di nuove differenze, di nuove spaccature, di altri infiniti conflitti. Certo, egli soffriva per l'omologazione del ragazzo di campagna con quello di città, come altri avrà potuto soffrire per il fatto che lo sviluppo  edilizio ha omologato zone di capanne di paglia che per alcuni potevano contare infinitamente di più delle nuove case. Tuttavia l'umanità ha poi questa grande dose di cinismo, questa enorme capacità di dimenticare , questa maligna fantasia per cui omologa e all'interno dell'omologazione ricrea nuove differenze, differenze magari più forti di prima, più forti anche di quanto sarebbe necessario.


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