sabato 4 marzo 2023

Capita

Vicenda Covid. Dopo tre anni dai fatti la 

magistratura notifica "omissioni"

  In 83 pagine curate dal microbiologo Andrea Crisanti, nella veste di consulente della Procura di Bergamo, sono contenuti tutti gli addebiti dell'inchiesta per epidemia colposa da Covid-19 con 17 indagati. 

  Tra gli indagati, ci sono l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza (per loro gli atti sono stati trasmessi al tribunale dei ministri di Brescia), il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare Giulio Gallera.

  Il piano pandemico nazionale era fermo al 2006, ma secondo il consulente Crisanti, benché datato, conteneva indicazioni dettagliate su come affrontare una malattia a diffusione respiratoria. Crisanti, scrive ancora che quel piano «era stato scartato senza essere letto, esaminato e valutato da coloro che avevano la responsabilità di coordinare la risposta dell’Italia alla pandemia» in quanto  per il  Cts non era adatto per arginare un virus diverso dall’influenza. Per Crisanti la giustificazione «è stata confezionata e coordinata a posteriori» poiché «dai documenti acquisiti e dalle dichiarazioni spontanee rese alla Procura di Bergamo è emerso che né Brusaferro, né Miozzo, né Urbani avessero letto il piano prima di maggio-giugno 2020 nonostante ne avessero ricevuto copia a febbraio 2020». 

 Sulla mancata applicazione del piano pandemico Speranza spiegò che «fosse necessario avvalersi di quel tavolo di confronto e di strumenti nuovi e diversi, più specificamente adatti al nuovo virus che ci si trovava a dover affrontare». 

  Nella sua relazione, consegnata un anno fa e passata al vaglio del pool di pm dell’inchiesta, Crisanti attribuisce la responsabilità della mancata attuazione del piano pandemico a cinque persone: 

=Claudio D’Amario, direttore della Prevenzione del ministero della Salute; 

=Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di sanità; 

=Agostino Miozzo come coordinatore del Cts; 

=Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero 

=Luigi Cajazzo, direttore generale della Sanità di Regione Lombardia. 

Vengono anche citati il ministro Sapienza e il presidente del Consiglio superiore della sanità Franco Locatelli.

La zona rossa doveva costituire misura per contenere il virus, nel caso di un indice di trasmissione uguale o sopra il 2, e peperaltro il sistema sanitario italiano sarebbe stato «totalmente impreparato». «La drammaticità delle previsioni indusse il Cts e il ministro Speranza a segretare il piano stesso», scrive Crisanti.

Ad Alzano e Nembro, il 27 febbraio, l’indice era arrivato a 2, ma la zona rossa non scattò e la responsabilità sarebbe da attribuire sia al  livello nazionale che regionale: 

1) Speranza, Brusaferro, Miozzo e D’Amario sapevano del piano Merler e delle previsioni, così come Fontana, Gallera e Cajazzo. 

2)  già dal 27 febbraio sapevano dell’indice di trasmissione maggiore di 2. 

3) nonostante il livello del contagio, «per 10 giorni non vennero prese azioni più restrittive». 

 Scrive Crisanti: Conte nella riunione del 2 marzo, affermò che «la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico».

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