lunedì 9 gennaio 2023

Storia Culturale


Come veniva letta l'esistenza (14)

Il lungo cammino per l'affermarsi ell' Io

Nello stesso periodo di Montaigne -di cui ci siamo soffermati nella precedente pagina-, altri pensatori avanzarono l'idea che il movimento della mente è sempre diretto ad uno scopo. Sostenevano che l'uomo non deve mai accontentarsi dell'esistenza terrena ma aspirare a ciò che sta al di là degli stessi sensi. Un qualcosa che non conosciamo ma che la vita pretende e a cui chiede di aspirare. Si trattava di una versione "puritana" secondo cui la mente è sempre diretta ad uno scopo non misterioso bensì più militante contro l'empietà e contro il peccato.

Bacone, da parte sua identificò il proprio personale obiettivo nel "progresso" da conseguire attraverso la Scienza.

Quello del Rinascimento era in verità un tempo in cui si impone una concezione dinamica  dell'Io. Si trattava di un "Io"  privo di sovrani esterni, di un "centro", del cuore. Questo infatti comincia ad apparire via via più esigente e più forte della stessa "ragione": non esige di imporsi o di pretendere, ma di dover influenzare gli aspetti della personalità umana. 

Cominciò -in breve- col Rinascimento l'Io che si impone e si adopera per influenzare ogni aspetto della personalità.  Accade da allora che la volontà, le passioni, e lo stesso corpo, che pure continuano ad essere richiamati, vengono sostituiti nelle discussioni dall'Io. 

Nell'Io confluirono tutte le qualità che provenivano dal cuore.

A muovere critiche alla "ragione" e alle sue pretese di conoscenza ed etiche fu Montaigne, il quale sostenne che nulla era "così evidente che ad essa sia evidente ... il facile ed il difficile per essa sono una cosa sola... tutti gli argomenti sono uguali, e la natura rifiuta la sua giurisdizione e la sua intromissione". Dubitava, quindi Montaigne, che la ragione potesse discernere l'ordine dell'universo e che la conoscenza fosse a monte della saggezza, della felicità o delle virtù. Addirittura non vedeva nel "sapere" (che pure era in grado di dare soddisfazione) la capacità di poter discernere l'ordine dell'universo.

Bacone, in quell'alba del Rinascimento,  definì l'intelletto uno "specchio ineguale" che "mescola la propria natura nella natura delle cose". Lo stesso Hobbes evidenziò che "i più abili, i più attenti e i più pratici" tendono ad ingannarsi se si lasciano guidare dalla ragione.

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Erano ancora da venire i tempi e le visioni dell'Illuminismo.

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