domenica 22 gennaio 2023

Alle radici dell'Umanità

IL MONDO ALL'ALBA DELL'UMANITA'

Il fine che ci siamo proposto è di aprire (acquisire) una visione completa sulle testimonianze archeologiche dello scorrere della Storia dell'uomo. Queste, infatti, frequentemente richiamano e rievocano le storie e le intenzioni bibliche, le quali a loro volta, per chi mostra interesse a voler conoscere, consentono o comunque aiutano ad interpretare e comprendere alcune delle nostre ragioni del vivere.

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  Da almeno due secoli gli studiosi di più parti del mondo concordano sulla convinzione che il primo libro della Bibbia (Genesi) non è altro che combinazione di tradizioni e visioni differenti che essi indicano come fonti "J", "E", "D" e "P".  Fonte principale viene ritenuta la "J", o Jawista, che individua Dio in YHWH (sui testi italiani Jahvè). 

  Le altre fonti come la E o Eloista (che individua Dio come El o Elohim) e la P o sacerdotale sono aggiunte di tempi successivi. Il racconto della creazione si propone di dare una classificazione logica ed esauriente degli esseri, creati secondo un piano  riflesso nel quadro di una settimana che si conclude col riposo del sabato. Gli esseri vengono all'esistenza su chiamata di Dio, su ordine crescente di dignità, fino ad arrivare al sabato con l'uomo.

 Gli studi, su basi scientifiche, più recenti asseriscono che Genesi è arrivato all'attuale formulazione nel VI secolo a.C.

Quali i primi spunti storico-archeologici?

Nell'ottica più prettamente storico-scientifica di cui fa cenno una tavoletta cuneiforme babilonese, il bel giardino dell'Eden vorrebbe rievocare la "pianua incolta" di certe epoche dell'umanità e che, attraverso quella tavoletta cuneiforme pervenuta sin dai sumeri, sappiamo identificata nell'area dell'odierno Bahrein.

Quando il testo della Genesi venne via via sempre più rielaborato e influenzato dal prosperare della civiltà persiana, il Giardino dell'Eden prese un nuovo nome: "paradiso", pardis.

Quel messaggio vorrebbe lasciar intendere che ci fu un tempo in cui l'essere umano era incoraggiato a vivere liberamente e a mangiare i frutti di ogni ramo con l'eccezione di quello del bene e del male. Questo riferimento nella cultura sumera/babilonese risulta in più bassorilievi assiri che, comunque, in Genesi è, e vuole essere, una metafora o -se si vuole- un racconto morale: l'uomo dell'inizio (individuato in Adamo ed Eva) è già caricato dalla spinta e dal desiderio di ... volere andare oltre, di voler conoscere, di capire. 

Andare oltre ... non sempre sarà, e non sempre è, per l'uomo, agevole. Quella volta ad Adamo ed Eva capitò di perdere fra i tanti benefici la fiducia di Dio e di godere dei frutti del pardiso.

  Riflessione:

Da quanto tracciato sopra non è semplicemente l'ottica letterale che aiuta a ritenere rilevante il testo della Bibbia. D'altronde Genesi non è -nè intende essere- un libro di Storia o un testo scientifico. Se l'intenzione fosse stata questa, i babilonesi potevano trasmetterci (e ci hanno trasmesso) ben altre immagini del loro "sapere: "possedevano il sistema sessagesimale (quello che sta alla base del ciclo giornaliero di 24 ore, 60 minuti), sapevano predire le eclissi solari, conoscevano grandi conoscenze di fisica e di matematica".

(Segue)

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 Il credente cristiano: 

OLIVER CLEMENT

Cristiani tra secolarità e liturgia

2. La Bibbia che ci fa amare il giornale e la Storia

La Bibbia non estrania dalla Storia, anzi è una forma inesauribile di interesse per tutto viò che è umano. E' la fonte dell'insopprimibile desiderio di un'umanità non umiliata, che aspira alla pienezza e alla divino-umanità.

E' Friederich Hegel che ha introdotto il giornale nella nostra problematica teologica. Per lui, lo Spirito, il divino, si realizza nella storia, una storia di cui il giornale è un simbolo. La lettura del giornale, diceva, ha sostituito oggi la preghiera mattutina (si potrebbe aggiungere che adesso la Tv abbia sostituito quella della sera ...). Da allora i teologi hanno cercato di sistemare le cose dicendo che un cristiano doveva tenere la Bibbia in una mano e il giornale nell'altra.

Si potrebbe innanzitutto imparare a criticare la Bibbia con la storia e la storia con la Bibbia! Criticare la Bibbia con la storia è infatti l'immenso compito dell'esegesi che studia la dimensione umana della rivelazione, la "produzione"  dei testi nelle strutture psico-sociologiche di un'epoca. Nelle strutture, e non testi prodotti dalle strutture, poichè il senso ultimo, la parte divina, come si potrebbe dire, sfuggirà sempre alla storia -e dunque all'esegesi-  per svelarsi nello Spirito Santo, nella Tradizione che non è altro che lo Spirito Santo all'opera nel Corpo di Cristo. Non è un caso che l'ultima edizione della "Bibbia di Gerusalemme" dà in calce alcune chiavi di interpretazione, spesso prese dai Padri della Chiesa.

In fondo ritroviamo gli stessi processi quando si tratta di criticare la storia con la Bibbia. Prima bisogna praticare la storia nel modo più onesto possibile, evitando ogni spiegazione ideologica, come ad esempio le infrastrutture e le sovrastrutture della volgata marxista, mentre tutte le strutture sono in un processo di interazioner continua fra di loro. Non c'è approccio che non sia necessario, da quello economico a quello sociale, da quello psicologico a quello religioso, senza che nessuno in una analisti attenta, possa pretendere di avere l'ultima parola. Per me, il modello in questo campo è l'antropologia storica e religiosa di Alphonse Dupront.

Anche qui, il senso ultimo, la "meta-storia" come diceva Nicolas Berdjaev, appartiene al campo spirituale, ed è allo stesso tempo visione globale e superamento,. Illuminazione escatologica, nel rifiuto di ogni "reificazione" da parte del millenarismo o del messianismo.

 Ma bisogna rispondere, non fuggire. Ama Dio con tutto te stesso, dice Gesù, e il tuo prossimo come te stesso. E questi due comandamenti risultano essere uno solo. L'uomo,  soprattutto il più povero, è il sacramento di Dio per l'uomo: così ci insegna la parabola del giudizio al capitolo XXV del Vangelo di Matteo. Ogni volta che fate concretamente del bene al più piccolo, lo fate a me ... Non si può "contemplare" senza servire il prossimo: vedere Dio nel viso dell'altro, in questo viso povero e nudo, così fragile (Emmanuel Levinas). Se mentre sei immerso nella preghiera, ha detto un mistico -Meister Eckhart,- un mendicante viene da te a chiedere un piatto di minestra, non esitare, staccati dalla preghiera, prepara e offrigli questo piatto di minestra.

Viceversa, non c'è servizio al prossimo senza apertura interiore ad un'altra luce che sola può evitare il logorio, la stanchezza, l'amarezza. L'unica che può dare l'immaginazione di iniziative inaspettate, che spesso gli altri credono impossibili.

Si può sempre pregare per gli altri, per una collettività in pericolo. L'eremo apre la storia a Dio, come faceva anche Gandhi quando digiunava. Meglio ancora, chi prega può ricevere la grazia della paternità spirituale. Ma generalmente bisogna lottare tra gli uomini, le forze e le strutture di morte all'interno della società. I profeti ebrei del settimo o ottavo secolo prima di Cristo, chiedevano in modo molto chiaro che fossero spezzate le catene della schiavitù e dell'ingiustizia. E' lì che si trova la verità delle "teologie di liberazione", sia violente che non violente. Preferirei di certo quelle non violente, come quelle che si moltiplicavano in Brasile alcuni anni fa. I teologi "della liberazione" hanno utilizzato alcuni elementi della critica marxista (perché no?)  nello sforzo, essenziale, di far prendere coscienza agli umiliati e agli offesi della loro dignità e della loro fraternità, senza rinunciare a un afflato evangelico, nel complesso. Nelle comunità di Sant'Egidio, grazie a una sintesi di amore per i poveri e per la preghiera, non ci sono ambiguità o tentazioni ideologiche: la preghiera fonda il servizio ai poveri e la ricerca della pace.

L'illusione da evitare è senza dubbio quella di una società perfetta, anche se fosse, come dicono gli ultimi papi, una "civiltà dell'amore", governata paternamente da un Dio diventato il grande "manager" del pianeta. Ammesso che si riuscisse a risolvere tutti i problemi economici e sociali,  -a quale prezzo? ma proviamoci lo stesso- l'angoscia dell'uomo di fronte alla morte susciterebbe quello che Nietzsche prevedeva come " le grandi guerre dello spirito". Nell'immediato, un immediato che durerà, la tremenda disparità tra ricchi e poveri, la rivolta dei poveri che trovano un'arma nella religione e i rischi ecologici che minacciano l'esistenza stessa della vita sulla terra, faranno della "fine della storia" di Fukuyama uno scherzo da intellettuale americano (è stato dimostrato, o quasi, che il nostro pianeta, con tutte le sue risorse, non sopporterebbe un altro punto del mondo tanto avido di risorse e di consumi insostenibili quanto gli Stati Uniti). Bisognerà anche tener conto in tutto ciò, dell'affermazione della Cina e dell'India che avanzano nel mondo. Ecco perché ai due temi della fede e della storia, bisogna aggiungere quello della pazienza ...

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