Riflessione sulla scorta di un testo di
Gianfranco Ravasi: "Fino a quando Signore?".
Sta a ciascuno di noi saper cogliere il dolore altrui,
piuttosto che starcene lontani e addirittura fuggire e
volgerci altrove..
A primo approccio risulta difficile immaginare come si possa esaltare uno strumento di sofferenza e di morte, quale è sempre stata la Croce.
Il Cristianesimo vuole di contro trasmettere il messaggio che sta proprio nella "via crucis", nell'esperienza della solitudine (gli amici che abbandonano: "non siete stati capaci di vegliare..."), nel silenzio del Padre (..perché mi hai abbandonato?), nella sofferenza massima della crocifissione e morte di quell'innocente, perche' lì sta invece la vittoria.
Non v'è dubbio che c'è dell'assurdo nel vedere in queste situazioni apparentemente irragionevoli, la salvezza e che ci sia -persino- motivo di esaltarle. L'unica voce che si sente non è altro che il silenzio di Dio!
Allora la processione o la meditazione per l'esaltazione della Croce che annualmente si sono svolte per le vie di Contessa Entellina o in Chiesa il 14 Settembre ?
La Chiesa, per quanto ci è dato di avere capito, vuole farci intendere che proprio in quel processo farsa ed ingiusto, in quella crocifissione, ed in quella morte va colto l'amore e la fraternità del Cristo per l'uomo e la natura stessa dell'uomo. Su questo proposito va ricordata quella frase evangelica: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti".
Quindi?
Il dolore di quell'uomo in croce diventa il "segno" supremo d'amore e di fraternità di Cristo nei confronti dell'uomo.
Giuseppe Ungaretti così interpreta quello che per tanti noi uomini continua ad essere un mistero:
Cristo pensoso palpito,
astro incarnato nell'umane tenebre
fratello che t'immoli
perennemente per riedificare
umanamente l'uomo.
Santo, Santo che soffri,
per liberare dalla morte i morti
sorreggere noi infelici vivi,
d'un pianto solo io non piango più,
ecco, ti chiamo Santo,
Santo, Santo che soffri!
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