domenica 21 marzo 2021

Contessa Entellina. Quella domenica di cinquantatre anni fa (16)

  Estratti dalla

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE 

D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE 

E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE 

COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968 

(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)  

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CAPITOLO IV 

LA PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE URBANISTICA 

AI VARI LIVELLI  — I TRASFERIMENTI DEGLI ABITATI 

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TABELLA N. 1. SUPERFICIE (MQ./ABITANTE) NELLE 

TRE FASI DI PROGRAMMAZIONE INDIVIDUATE 


A = prima fase - Commissione ex articolo 12 legge 241/1968; 

A' = prima fase - ISES; 

B = seconda fase; 

C = terza fase; 

D°/o'-r/Av100- 

D°/o"= C/BxlOO (se B è composta di due programmi il rapporto è individuato sul primo dei due).

— a) = superficie residenziale;

— b) = superficie urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, ecc.);

— e) = verde pubblico e servizi di urbanizzazione secondaria (scuole, asili, ecc.);

— d) = totale, comprese eventuali aree di consolidamento e servizi esterni allo abitato.






























 













Osservazioni sui programmi di trasferimento

  Come si è ripetutamente detto in precedenza, la struttura dei programmi redatti dall'ISES e approvati dalla Commissione ex articolo 12, ovvero (per i primi) redatti da quest'ultima, è sempre uniforme e costante. Non esistendo una precisa prassi di riferimento non è possibile stabilire a priori se i detti programmi sono « corretti » o meno, cioè se contengono o meno tutte e sole le indicazioni e le prescrizioni necessarie e sufficienti. 

  Per verificare la correttezza e la adeguatezza dei programmi si possono ricostruire e ripercorrere, in un certo senso operazioni che si sarebbero « logicamente » dovute effettuare e la loro successione, nonché la coerenza e la congruenza tra le diverse decisioni ed i risultati delle operazioni precedenti. Normalmente tutto ciò viene riportato, anche per lavori di modesta entità, soprattutto se realizzati a spese pubbliche, in apposite relazioni tecniche, che forniscono il supporto e la motivazione delle scelte effettuate. Nel caso del Belice e dell'ISES, che ha praticamente gestito e controllato l'intera operazione dei trasferimenti sul piano tecnico (1), come più volte accennato, questo tipo di elaborato manca del tutto. Ci si trova, in realtà costantemente in presenza di elementi numerici e planimetrici definiti. Sul modo in cui ad essi si sia giunti non si possono che formulare alcune ipotesi, mentre la congruità delle previsioni deve necessariamente essere verificata in base alle medie astratte e ovvi criteri di buon senso.

(1) Ciò nulla toglie, evidentemente, alle eventuali responsabilità dell'Ispettorato, che, comunque, aveva il dovere non solo di verificare e controllare l'operato dell'ISES, ma anche e soprattutto di impartirgli fin dall'inizio direttive precise. 

  Sembra comunque ovvio che, per giungere alla formulazione di un programma di ricostruzione, anche nell'accezione del tutto anomala, del « trasferimento », la prima operazione sia l'accertamento dei danni e dei danneggiati. Non a caso tale problema è posto tra i primi anche nelle convenzioni-studi, stipulate tra ISES ed Ispettorato. 

Il punto a) della fase « A » delle convenzioni-studi riguarda appunto la verifica del numero dei nuclei familiari rimasti senza tetto e che necessitano di un nuovo alloggio (2). 

La definizione, come si vede, è piuttosto generica e correttezza avrebbe voluto che l'ISES sottoponesse preventivamente all'Ispettorato almeno uno schema del modo in cui intendeva procedere, poiché una « verifica » di tal genere poteva (e può in generale) essere effettuata in molti modi diversi. Pur nella genericità della definizione, tuttavia, appare chiaro che il numero delle famiglie senza tetto, in linea di massima, non coincide necessariamente con quello delle famiglie « necessitanti di un nuovo alloggio ». Secondo logica, infatti, parte delle famiglie senza tetto si sarebbero dovute reinsediare negli uffici restaurati nel vecchio centro e solo parte di esse avrebbe tendenzialmente trovato posto in nuovi alloggi. Si ricorda, infatti, che la costruzione di alloggi a totale carico dello Stato, poteva avvenire anche nei vecchi centri, rimanendo pur sempre di competenza dell'Ispettorato, come il ripristino delle opere di urbanizzazione primaria e dei servizi pubblici, sempre nei vecchi centri, oltre che nei nuovi. Ciò indipendentemente dalla suddivisione tra proprietari (alloggi a contributo) e locatari (alloggi a totale carico dello Stato). Per quanto riguarda poi il terzo punto della convenzione-studi, fase « A », si usa il termine « stima », che indica evidentemente, o dovrebbe indicare, un procedimento più complesso che non la semplice identificazione tra il numero precedentemente individuato (famiglie senza tetto) ed il numero degli alloggi da realizzare. La prima parte della fase « A » delle convenzioni-studi (punti a, b, e), in sostanza, avrebbe dovuto consentire di raccogliere i dati secondo uno schema del tipo seguente: totale alloggi diviso in: 

— A) alloggi sani o leggermente danneggiati; 

— B) alloggi danneggiati; 

— C) alloggi distrutti; 

— D) alloggi danneggiati divisi in:

Bl) - occupati e B2) - non occupati; 

Bla) e B2a) - recuperabili; 

Blb) e B2b) - non recuperabili da demolire); 

Bla) e B2b) - alloggi non recuperabili da demolire, occupati e non occupati, divisi in: 

Blb') e B2b'") - ricostruibili in sito;

Blb") e B2b") - non ricostruibili in sito;

C) alloggi distrutti divisi

in: CI) - occupati e C2) - non occupati;

Cla) e C2a) - ricostruibili in sito;

Clb) e C2b) - non ricostruibili in sito.

Per gli alloggi Bl e B2, CI e C2, l'indagine avrebbe dovuto essere estesa alle famiglie, alla consistenza degli alloggi ed al numero dei componenti i nuclei familiari (abitanti), nonché alle « convivenze ».

In base a questo schema, gli alloggi da trasferire sarebbero chiaramente risultati dalla differenza tra gli alloggi occupati, distrutti o danneggiati da demolire, non ricostruibili in sito, meno gli alloggi costruibili in siti utilizzabili su cui precedentemente esistevano alloggi non occupati, distrutti o danneggiati non recuperabili (da demolire), meno, ancora, gli alloggi non occupati, danneggiati, ma recuperabili. Su questa base, ovviamente, sarebbe poi stato sempre possibile stabilire opportuni criteri, per « migliorare » la situazione antecedente il sisma, sia lasciando libere alcune aree all'interno dei vecchi centri (per i servizi pubblici, il verde elementare e la viabilità), sia, se necessario, per ridurre l'affollamento e le convivenze nei vecchi centri, sia, in generale, per migliorare anche tecnicamente le condizioni abitative, sia, infine, nell'ipotesi di poter avanzare previsioni per il futuro.

Tali criteri, ovviamente, avrebbero dovuto essere proporzionati alle disponibilità finanziarie e concordati in un rapporto di stretta collaborazione con i Comuni interessati. Si può anzi dire che, se si fosse adottato un sistema del tipo di quello descritto, esso avrebbe costituito un incentivo non indifferente all'azione dei Comuni, necessariamente partecipi e corresponsabili dell'opera di ricostruzione. È ovvio, in realtà, che le cose sono andate ben diversamente: le scelte fondamentali ed i criteri della ricostruzione sono stati calati dall'alto, liberando di fatto Sindaci ed Amministrazioni comunali da ogni responsabilità in questo senso, e ciò considerando anche l'atteggiamento quasi rassegnato delle popolazioni che assistevano a qualche cosa che, nei fatti, si staccava da ogni riferimento con la realtà locale.

 Da alcuni indizi e testimonianze sembra accertato che un primo, sommario, accertamento delle famiglie e delle persone senza tetto, nonché dei danni provocati dal sisma al patrimonio abitativo, sia stato effettuato dagli Uffici del Genio Civile, in collaborazione con la Prefettura e, in alcuni casi, con le Amministrazioni comunali. Tale operazione era intesa da un lato a predisporre gli interventi di prima necessità (baracche, rifornimenti, ecc.)  dall'altro a determinare le zone da sottopporre a trasferimento. Il tempo trascorso dal terremoto non ha peraltro facilitato l'acquisizione dei documenti relativi a questa fase. Si sono reperiti solo una « tabella » redatta dal Genio Civile di Trapani per il comune di Vita, due planimetrie (senza relazioni) per Partanna, sempre redatte dal Genio Civile. Per Partanna si sono reperite anche planimetrie redatte certamente dagli uffici dell'Ispettorato (non dall'ISES), posteriori alle precedenti. Essendo tuttavia il caso di Partanna molto particolare, non è possibile appurare se questo tipo di elaborato sia stato prodotto per tutti i Comuni o straordinariamente solo per quello di Partanna, né se sia stato prodotto (anche dall'ISES) in altri casi. Alla vicenda di Partanna, tuttavia, si vuole qui fare riferimento, non solo perchè risulta più documentata delle altre, a causa, probabilmente, dei conflitti tra Ispettorato, Amministrazione comunale, nonché all'interno della stessa Amministrazione comunale, ma anche perchè se non i singoli elementi della vicenda, sembrano estendibili alla generalità dei casi il « clima » del momento ed i modi di procedere. A Partanna, subito dopo il sisma, erano stati accertati n. 7.800 « sfollati » (probabilmente dal Genio Civile) ed una zona marginale da sottoporre a trasferimento (certamente dal Genio Civile), in quanto prevalentemente distrutta e situata all'estremità dell'abitato, in zona estremamente scoscesa e probabilmente instabile, come risulta dai grafici elaborati appunto dal Genio Civile. Naturalmente il vecchio centro presentava numerosi altri edifici lesionati e/o distrutti, sparsi un po' dappertutto, ma la zona da sottoporre a trasferimento, nel complesso, non superava in estensione un quinto o un sesto dell'abitato, né risultava avere una densità di case o abitanti superiore alla media del centro stesso. È da notare, che il comune di Partanna aveva in tutto, al 1961, poco più di 13.000 abitanti, quasi tutti residenti nel centro capoluogo, ed un tasso di decremento demografico di circa lo 0,4 - 0,5 per cento medio annuo. Al momento del sisma, in sostanza, aveva una popolazione certamente inferiore a quella del 1961 (orientativamente di 12.650 abitanti).

In proporzione all'area gli abitanti da trasferire, quindi, erano presumibilmente compresi tra 2.100 e 2.550, mentre la cifra di 7.800 rappresentava oltre il 60 per cento della popolazione totale (1). Il primo e secondo programma di trasferimento tuttavia, assumono senz'altro tale cifra, riferendola all'area da trasferire e quindi al nuovo insediamento. Successivamente, l'Amministrazione comunale, opponendosi con una prima deliberazione consiliare (n. 29 del 12 aprile 1969) al programma approvato dalla Commission ex articolo 12 (verbale n. 6 del 21 marzo 1969) (2), manifesta la preoccupazione di « svuotare » il vecchio centro ed identifica in circa 2,000 il numero degli abitanti da trasferire, quantunque in assoluta mancanza di accertamenti probanti. Dalla lettura delle deliberazioni successive (n. 58 del 26 luglio 1968 e n. 2 del 17 gennaio 1970) emergono tuttavia la preoccupazione di non poter attingere ai finanziamenti statali, se non accettando il programma predisposto dall'ISES e dall'Ispettorato; la richiesta di suddividere il programma stesso in due parti successive; infine l'accettazione completa del programma e della sua localizzazione, nonostante la riflessione che i finanziamenti statali avrebbero in realtà potuto e dovuto essere impiegati anche nella ristrutturazione del vecchio centro. Nel frattempo l'Ispettorato aveva dichiarato di ritenere congrua la stima di 2.000 abitanti da trasferire, « arrotondabili a 3.000 » (ufficialmente senza consultare la Commissione ex articolo 12 o servirsi dell'ISES), ma si era anche adoperato perchè il Ministero dei lavori pubblici dichiarasse da trasferire un'altra zona, di superficie superiore alla precedente. Nella planimetria redatta dall'Ispettorato, oltre alla prima e seconda zona di trasferimento, entrambe perimetrali e marginali rispetto al centro abitato, sono indicati numerosi lotti interni all'abitato o compresi in isolati non tutti da trasferire. È evidente che, per questi, non è possibile invocare gli abusati « motivi di ordine geologico », presumibilmente essendo identica la situazione geologica di due lotti interni e confinanti. In altre parole, sembra intendersi che sia stato deciso il trasferimento di tutte le famiglie precedentemente al sisma residenti in alloggi distrutti o gravemente danneggiati, senza prendere minimamente in considerazione la possibilità di ricostruire in sito (3). Attraverso questa operazione, si è arrivati, infine, a determinare una specie di compromesso, con l'assenso dei progettisti del Piano Comprensoriale, sul numero di 5.500 abitanti da trasferire, che tiene conto anche nella « necessità » di prevedere i futuri sviluppi della situazione, in relazione soprattutto al previsto e promesso « sviluppo socio-economico » della zona.  

                                                                                                                                                    (Segue) 118

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