giovedì 28 gennaio 2021

Mondo Arbëreshe. Spesso, anche le “Miss Italia” parlano ...albanese .

 Se Alessandro Magno parlava in lingua albanese, se il Risorgimento italiano parlava ...Arbëresh, se il Risorgimento greco parlava ...Arvanita, beh, non meravigliatevi se, spesso, anche le “Miss Italia” parlano ...Albanese . 

di Ernesto Scura

Da bambino, durante i mesi estivi, trascorrevo le vacanze a Vaccarizzo Albanese, paese d’origine dei miei genitori. Un paesino arbëresh, come tanti, di albanesi provenienti dalla Morea, l’attuale Peloponneso, giunti in Italia oltre 500 anni orsono. Direte: Come? Dalla Morea che era in Grecia? Ma non siete giunti dall’Albania a seguito dell’invasione turca ? E poi parlate albanese, mica greco.

E allora occorre fare alcune precisazioni, specie rivolte agli attuali arbëresh che, inconsapevoli, sono convinti che il loro esodo è avvenuto dalle sponde dell’Albania per sfuggire ai feroci occupanti turchi, onde evitare l’islamizzazione. Partiamo dal fatto che giunti in Italia ci chiamavano greci, mica albanesi. Ciò era dovuto alla circostanza che eravamo di religione cristiana di rito greco bizantino, e il termine “greco”, specie in quei tempi di contrasti e le differenziazioni religiose, allora molto esasperate, (conflitto Roma-Bisanzio) caratterizzavano l’etnia, la cultura, la fede, l’indole, la morale e l’orgoglio dei popoli. E gli arbëresh non sfuggivano a questo impegno che ne rivelava origini e fede. Ed è per questo che, con una velata punta di disprezzo, il clero latino faceva sì che ci chiamassero “Greci”, per via del rito religioso, officiato dai nostri “papas”, tutto in lingua greca, essendo noi “ortodossi” di rito greco. E non crediate che noi arbëresh, senza reagire, ingoiassimo quel “rospo” e, di rimando, chiamavamo gli autoctoni “lëtira” cioè...”Latini”.
Ma che strano modo quello di poter credere che l’uso di due termini tutt'altro che offensivi potessero essere intesi come... offesa. Ma così andavano le cose, sull’onda di malcelate gelosie tra le due confessioni religiose, la Cattolica e l’Ortodossa, in spietata concorrenza liturgica che, soprattutto, coinvolgeva il potere spirituale e quello temporale. Esempi: Il più importante paese arbëresh, in Italia, si trova in Sicilia e, fino a non molti decenni orsono, si chiamava “Piana dei...Greci” (oggi Piana degli Albanesi). E ancora, l’unico Comune arbëresh della Campania, si chiama Greci, ma è abitato unicamente da albanofoni.
Dunque, venivamo dalla Grecia, però parlavamo ...albanese. Comunque, per essere molto più convincenti, invito il lettore, arbëresh che sia o no, a cosiderare il canto più struggente e malinconico della tradizione arbëresh, tutto pervaso di tragico pathos per il doloroso esodo dalla terra natia, e nel melodioso testo non fa mai cenno ad una patria “Albania”, ma ripete, con ossessiva reiterazione, il richiamo ad una “Oj e bukura Moré”, cioè “O mia bella Morea”, unica, vera, irrinunciabile Patria, a voler sancire il legame tra gli arbëresh e l’antica MOREA, come allora si chiamava l’attuale Peloponneso greco.
E allora bisogna fare un altro passo indietro, di altri ulteriori trecento anni, per capire cosa succedeva sulle opposte rive del mare Jionio e dell’Adriatico. Intorno alla fine del 1200 la Grecia faceva parte del favoloso e prospero impero bizantino la cui capitale era, appunto, Bisanzio. Avvenne che (allora era una calamità frequente) una pandemia micidiale colpisse la Grecia. Era la“Peste Nera”che, senza alcuna possibilità di prevenzioni e cure allora disponibili, seminava morte e desolazione. E la Grecia, la storica e gloriosa Grecia, pagò un prezzo enorme a questa catastrofe, con la decimazione della popolazione ridotta a pochi sopravvissuti che non avrebbero mai potuto assicurare continuità etnica e culturale a quella terra. E Bisanzio, onde scongiurare un innaturale ripopolamento da parte degli invadenti slavi, già tristemente insediati nei Balcani dove, in gran parte, avevano cancellate le vestigia illiriche, fu lungimirante, favorendo un più gradito insediamento di popolazioni albanesi, peraltro millenari vicini storici la cui cultura era anche affine a quella greca.
E fu così che la Grecia di Omero e di Socrate si albanesizzò pur conservando la sua interezza culturale, favorendo un bilinguismo tuttora in atto. Se siete arbëresh, provare a conversare con qualche arvanita delle migliaia di paesi albanofoni di Grecia, vi sembrerà di parlare con un Arbëresh d’Italia, tanta è la similitudine delle due parlate. E voi non vi saprete più capacitare se siete in Grecia o nella Arbëria italiana, e l’arvanita comincerà ad avere dubbi se è in Italia o in Grecia. Molti arbëresh hanno provato, almeno una volta, a parlare con un albanese d’Albania. Ebbene, non mi vengano a dire che il dialogo è stato sciolto e fluente, perché so benissimo che sarà stata una tortura, sia capire che farsi capire. Ma torniamo alla Storia. Bisanzio andava anche oltre. Consapevole delle capacità belliche degli albanesi, favorì la formazione di quelle scuole milltari di “Stradioti”, tuttte localizzate in Morea, che furono il maggior vivaio europeo di sodati di ventura, quei terribili “Stradioti” che furono presenti e determinanti in tutte le più famose battaglie d’Europa,ai quali furono riconosciuti onori e meriti e non fu mai negato il diritto di preda. E Venezia, la potente “Serenissima”, deve molto alle capacità belliche di quei mercenari di cui si servì costantemente e verso i quali fu copiosamente riconoscente conferendo titoli nobiliari e gratificazioni.
In tono minore, gli arbëresh pervenuti in Sud Italia, sempre da quella Scuola provenivano, e non arrivarono “sul gommone” inseguiti dai turchi, bensì su comode navi messe a disposizioni dei vari principi e baroni locali ansiosi di avere a disposizione soldati di provata capacità e lealtà, in cambio di insediamenti stabili. E non vestivano di stracci, e le loro donne, abbigliate con costosissimi vestiti ricchi di preziose guarniture dorate, facevano sfoggio di un’eleganza raffinata. E non stiamo, parlando di un vestito della festa, bensì dell’abbigliamento giornaliero, vero patrimonio sia per costo che per raffinatezza della confezione.
E avvenne che quegli arbëresh. col passar dei secoli, pur senza mai dimenticare le loro origini, furono di sentimenti talmente italiani, da doversi attribuire il maggior merito del risorgimento italiano, almeno nel Sud Italia. Non per nulla, nel primo governo provvisorio istituito da Garibaldi a Napoli, sui sette ministri che componevano la compagine, ben tre erano arbëresh: -Francesco Crispi, arbëresh di Sicilia, ministro degli Esteri; -Luigi Giura, giovane docente alla facoltà di ingegneria di Napoli, arbëresh di Maschito in Basilicata, ministro dei Lavori Pubblici. -Pasquale Scura, magistrato arbëresh di Vaccarizzo Albanese, guardasigilli (ministro di Grazia e Giustizia).
Ma il contributo degli arbëresh non si limitò soltanto al nostro Risorgimento, di cui furono “magna pars”, ma ebbe una stretta analogia con quello greco che, nella lotta contro il turco opppressore, vide impegnati, per la maggior parte, intellettuali e patrioti “arvanitii” che, poi, altro non erano che i nostri fratelli rimasti in Grecia. Primo, fra tutti Marco Botzaris, arvanita di Suli, paese tuttora albanofono dell’Epiro greco. E poi, come non considerare appassionatamente italiane quelle arberësh che con la loro bellezza contribuirono ad arricchire il favoloso albo delle “Miss Italia” che annovera ben tre splendide rappresentati della bellezza arbëresh:
-AnnaMaria Bugliari, di genitori arbëresh di Santa Sofia d’Epiro, acclamata Miss Italia nel 1950;
-Brunella Tocci, di genitori arbëresh di San Martino di Finita, acclamata Miss Italia nel 1955;
-Edelfa Masciotta, di genitori arbëresh di Greci, in Campania acclamata Miss Italia nel 2005;

E poco mancò che non si aggiungesse, nel 1998, un’altra perla alla collana delle “Miss Italia” arbëresh, con la splendida ANNA TAVERNISE con discendenze materne da Vaccarizzo Albanese. Di Edelfa Masciotta, sconvolgente l‘intervista subito dopo la sua proclamazione: < sono nata a Torino da genitori originari di un paese della Campania in cui si parla... greco>. Aveva confuso, in totale disinformazione, il nome del paese, Greci, con l’etnia.

Ernesto SCURA
NOTA:
Uno dei più grandi storici tedeschi, Theodor Mommsen, premio Nobel per la letteratura, nella sua imponente “Storia di Roma Antica,” a proposito degli albanesi, dalla cui compagine riconosce la storica estrazione di molti imperatori romani, a cominciare da Diocleziano, scriveva:
UNA VIGOROSA RAZZA D’UOMINI. GENTE SOBRIA, TEMPERATA, IMPAVIDA, ALTERA. ECCELLENTI SOLDATI.
E se lo dice il MOMMSEN...
E noi, che Mommsen non siamo, osiamo aggiungere ALESSADRO MAGNO, figlio di Filippo il macedone, si, però, pur sempre ,figlio di Olimpiade, principessa d’Epiro, albanese scaltra ed ambiziosa che, di quell’ALESSANDRO albanofono, accortamente allevato nella cultura e nella tradizione albanese, nel mito degli eroi omerici, fece uno straordinario e degno conquistatore di gran parte del mondo fino ad allora conosciuto, cioè un MEGALOS ALEXANDROS. .

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