venerdì 9 ottobre 2020

Accadde oggi: 10 Ottobre, in Sicilia

 10 Ottobre 1646

In Sicilia, nelle aree interne, compresa quindi l'area della Baronia di Kuntissa, le condizioni di vita non erano affatto agevoli. In teoria il lavoro gratuito presso le terre baronale era stato abolito da lungo tempo, ben prima del 1500, ed i canoni enfiteutici su Serradamo e Contesse si sarebbero dovuti pagare in contanti o -a preferenza- in natura con derrate agricole.

Era diventato davvero difficile nel Seicento per i coloni siciliani in generale e quindi per gli arbereshe  di Contessa assolvere con regolarità ai canoni dovuti al Signore. Su molte famiglie del Regno era incombente il sequestre delle attrezzature agricole, primo anello delle successive afflizioni che conducevano al dissesto e alla rovina familiare.

Il problema era diffusamente incombente  -e non costituiva neppure un’eccezione riferibile a questo o a quel barone-. Il 10 Ottobre 1646, un paragrafo della prammatica De seminerio, emanata dal sovrano in piena crisi agricola, aveva specificatamente dedicato alla «vessatione che alcuni titolati e baroni inferiscono alli loro vassalli, constringendoli a seminare per forza terre di loro stati e feghi, assignandocile doppo della qualità e modo che a loro pare», e impedendo loro direttamente o indirettamente di seminare al di fuori delle terre del proprio feudatario. 

Cosa accadeva di tanto grave fino al punto che è dovuta intervenire la Corte Regia?

I Baroni, che fossero Cardona o Gioeni o altri Signori di altre baronie avevano concesso terre di scarsa produttività in enfiteusi ai contadini, piccole porzioni, per legarli alla terra ed evitare -come  era accaduto a Contessa- che andassero altrove per cercare migliori condizioni. I contadini di Kuntissa dal momento che erano diventati "enfiteuti" di un fazzoletto di terra provavano ad evitare di spostarsi verso altre baronie o nelle città regie, ma per sopravvivere e mantenere le famiglie erano emotivamente "costretti" a lavorare, per uno scarso pezzo di pane, sugli altri cinquanta feudi della baronia locale, di Kuntissa, tutti gestiti dai "civili" per conto dei baroni. Non esistevano infatti alternative. Contrariamente si profilava localmente il rischio di finire nelle carceri baronali

Medesimo fenomeno -con i medesimi accorgimenti e trattamenti- accadeva in tutta l'Isola.

La prammatica regia sopra ricordata smentisce le asserzioni di certa pubblicistica secondo cui  le concessioni in enfiteusi siano state atto particolare di magnanimità nei confronti degli arbëreshe. 

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