martedì 23 giugno 2020

Storia contemporanea. Perchè i nostri giorni sono questi e non altri

Perchè non esistono alternative all'Unione Europea

Nel discorso che stiamo portando avanti su questa pagina della Storia contemporanea abbiamo tratteggiato  poche settimane fa l'affermazione del giolittismo nel primo decennio del Novecento e con essa il sorgere e l'ulteriore affermarsi dei movimenti socialisti in tutti i paesi europei.

Sull'odierna pagina ci concediamo un passo indietro per ragioni, forse, un pochettino di ordine familiare. Chi scrive nel proprio albero geologico ha parecchie generazioni -lungo i secoli- di antenati "mugnai" e, pertanto nella disamina della seconda metà dell'Ottocento, ritiene quasi doveroso soffermarsi sull'intervento fiscale che la Destra storica al governo nel post-unità volle imporre al Paese nell'intento di conseguire il pareggio di bilancio introducendo, o meglio re-introducendo, l'imposta sul macinato (1868). Quell'odiosa imposta che verrà abolita nel 1884.

La tassa sul macinato
Fu una imposta da obbligatoriamente pagarsi al momento della macinazione dei cereali, introdotta secondo la versione curata dal ministro delle Finanze Cambray-Digny sotto il governo Menabrea; l'intento fu quello di assolutamente sanare il grave disavanzo del bilancio dello Stato.
La legge del 7 Luglio 1868 imponeva, a partire dal primo gennaio successivo, una tassa sulla macinazione dei cereali nella misura di
--Lire 2,oo al quintale per il grano
--Lire 1,20 al quintale per l'avena
--Lire 0,80 al quintale per il granoturco e la segala
--Lire 0,50 al quintale per tutti gli altri tipi di cereali (dalla veccia alle castagne).
L'imposta veniva applicata mediante un contatore montato alle macine dei mulini che registrava la quantità di cereali macinati e conseguentemente permetteva di calcolare l'importo dovuto. Importo dovuto oltre al compenso spettante al mugnaio per il servizio reso della molitura.
Erano i mugnai, (e nella fattispecie locale di Contessa il padre del bisnonno di chi sta scrivendo queste righe), a riscuotere il denaro della tassa che poi, periodicamente, veniva rimesso agli esattori dello recentemente costituito Stato unitario.

Questa tipologia di tassazione, nei tempi precedenti l'Unità del Paese, era vigente in vari stati della penisola ed era stata abolita con la proclamazione del Regno d'Italia (1860).
Fu inevitabile che il provvedimento causasse l'immediato aumento del costo del pane e che fosse all'origine del malessere sociale che immediatamente si trasformò in rivolte, in più parti del Paese e soprattutto in Emilia.
I così detti "moti del macinato", che peraltro erano sommosse spontanee,  furono ovunque represse con violenza e mediante l'intervento di truppe autorizzate a sparare.
Nel Paese i morti fra coloro che oggi chiameremmo scioperanti furono 257, un migliaio i feriti e 4000 gli arrestati.

Gli introiti per le casse pubbliche furono ingenti e costituirono per le casse statali uno dei cardini fondamentali della politica finanziaria durante i governi della Destra storica il cui obiettivo di fondo fu l'equilibrio del bilancio dello Stato.

Con l'avvento al governo della Sinistra storica e specificatamente col secondo ministero Cairoli fu disposta l'abolizione dell'odiosa imposta a decorrere dall'1 luglio 1879, solamente per i cereali inferiori (avena, granoturco etc.), non per il grano.

Nel luglio successivo (1880) il ministro Magliani (terzo governo Cairoli) si adoperò perchè il Senato approvasse il suo disegno di legge di riduzione a lire 1,5 a quintale la macinazione del grano e la sua totale abolizione a decorrere dall'1 gennaio 1884.
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Perchè ci è venuto in mente di ricostruire la vicenda della tassa sul macinato ? Tassa che in forme diverse in Sicilia, nei regimi feudali e quindi nello Stato feudale di Kuntissa, vigeva quasi ininterrottamente, sia pure con modalità diverse, lungo tutto il periodo della "modernità" (1520-1812 per Contessa).
Ci siamo ricordati della "tassa sul macinato" perche' in queste ore apprendiamo attraverso i media che i partiti di Governo e quelli di opposizione, a Roma, discutono sulle modalità per rimettere in moto il sistema economico del Paese-post coronavirus. 
Fra le leve di finanza pubblica su cui si dibatte c'è pure l'eventuale intervento sull'Iva (Imposta valore aggiunto) che noi tutti cittadini paghiamo al momento di qualunque acquisto, compreso i beni di prima necessità (pane, latte etc.).
Su pane, latte, olio, pasta etc. attualmente paghiamo il 4% del prezzo che ci viene proposto.

E' ovvio, e va tenuto presente, che le condizioni umane e sociali delle popolazioni fino all'Ottocento erano piuttosto miserevoli e le politiche governative non erano affatto sensibili a quegli aspetti. 
Oggi le manovre -eventuali- sull'Iva sono guidate da obiettivi e approcci suggeriti dalla scienza economica che mirano a stimolare la ripresa dell'economia dopo il lungo lockdown a causa del coronavirus. Fra gli stimoli  adottabili c'è l'abolizione (o riduzione) delle aliquote su alcune tipologie di beni, al fine di incrementare i consumi e nel contempo garantire posti di lavoro.
Conclusione: Tassa sul macinato e Iva dei nostri giorni non sono per nulla comparabili: quella era una tassa sui poveri. L'Iva -se si vuole- è una leva per stimolare il sistema economico se rimodulato non tanto, o non solamente, sui generi di primo consumo ma su un ventaglio ampio e meditato di generi. Certo, il medesimo ruolo di "stimolo" al sistema produttivo può averlo l'alleggerimento delle tante voci "fiscali e previdenziali" che gravano sulle retribuzioni. E pare che il Pd, forza di governo, propenda su questo versante.

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