mercoledì 1 marzo 2017

Cristianesimo. Storie, ricorrenze, fatti, personaggi ed Ecumenismo di oggi n. ''011

La morte.
Non è la fine di tutto ?
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Da sempre, sicuramente dall'Illuminismo in poi, l'umanità sulla morte è divisa su due fronti: per i credenti non è altro che il passaggio nell'aldilà, nella vera vita, per i non credenti è la fine di tutto.
I credenti di qualsiasi fede, anche non cristiani, sono convinti che la vita prosegue, anche se essi si differenziano fra di loro sul come ciò avvenga e in vista di cosa.

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La divergenza fra una vita che continua oltre la tomba ed una che cessa con la scritta che gli amici e parenti appongono sulla lapide cimiteriale è di portata enorme e dalle conseguenze altrettanto enormi.    
L'uomo che non ha fede religiosa ha una concezione della vita differente perchè il significato e lo scopo di essa è tutta ristretta agli anni della vitalità corporale, oltre la quale esiste il vuoto. Non mancano -in ogni caso- grandissime personalità non credenti che hanno riempito di altruismo, solidarietà, meraviglia e amore per il bello gli anni della loro vita, che hanno dato all'umanità grandi valori e modelli di buon convivere che lasciano impallidire tanti presunti buoni cristiani. Sono tantissimi, troppi, i grandi benefattori dell'umanità che hanno dichiarato di non essere credenti.

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La tradizione cristiana ritiene che la vita terrena è per intanto un valore assoluto di per sè, ed inoltre è punto di origine, o presupposto, di una ulteriore "vita eterna". 
I cristiani -in linea di principio- stanno attenti alla qualità della vita che conducono più che alla quantità  di anni che desiderano vivere. 
Prescindendo da ciò che avviene in termini di splendori, sfarzi e stili di vita di tanti dichiarati credenti, il cristiano punta a vivere bene ma comunque a non lasciarsi vivere (dominare) dai beni materiali. Per lui dovrebbero avere più influenza nella vita i beni spirituali che "nè tarma nè ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano" che i beni materiali. Dovrebbero.

38)
Una simile divergenza culturale e di approccio fra credenti e non alla vita influisce nei confronti della morte e in tutto ciò che ad essa si accompagna ? 
La cronaca di queste ore -in Italia- in materia di eutanasia, aborto etc. lascia intendere che si è in presenza di due visioni del vivere e del morire.
Il non credente ritiene che la morte improvvisa, o comunque la morte senza sofferenza, senza strazio sia quella auspicabile.
Il credente invoca di poter avere il tempo per ben prepararsi alla morte, all'accesso all'altra vita. La sofferenza -in un certo senso- è un incentivo a pregare e a prepararsi alla dipartita. In alcune tradizioni cristiane le malattie che poi conducono alla morte sono considerate delle prove per il giovamento spirituale prima di passare ... all'altro mondo.
In ogni caso i cristiani di tutte le confessioni non si ritengono proprietari nè della propria nè dell'altrui vita. Essa è dono di Dio che solamente Lui può riprendersi quando e come ritiene.

39)
Per il cristiano la morte non è comunque una catastrofe. La tradizione orientale, bizantina, più che di morte parla di "dormizione", una temporanea separazione dal corpo in attesa della definitiva ricongiunzione.
Il cristiano, viene detto, vive nella speranza della resurrezione.
Essendoci  inoltrati su terreni non alla nostra portata, -a questo punto-, ci fermiamo con la citazione di uno dei Padri della Chiesa delle origini: "Deve temere di morire chi già in vita non è nato a nuova vita e chi non è contrassegnato dal sigillo della croce e della passione" che è come dire che dal dolore e dal male non bisogna fuggire bensì bisogna dargli un senso accogliendo il significato della "passione, morte e resurrezione del Cristo".    

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