mercoledì 9 novembre 2016

Latinizzazione delle comunità arbëreshë dell’Albania tarantina (VI) ... ... di Calogero Raviotta

Latinizzazione delle comunità arbëreshë dell’Albania tarantina (VI)

Alcuni soldati albanesi venuti in aiuto del re di Napoli contro i baroni filoangioini, cessate le ostilità, accettano di ricostruire e ripopolare le località di seguito riportate, avviando così la costituzione delle prime colonie albanesi nel territorio tarantino, di cui vengono riportate brevi notizie:.
L’esposizione sintetica di notizie sulle comunità latinizzate in provincia di Taranto, riportata nel precedente blog per le colonie albanesi di Belvedere, Carosino, Carosino, Civitella, Faggiano, S. Crispieri, Fragagnano, Monteiasi, Monteparano, di seguito viene completata con notizie su Montemesola, Roccaforzata, S. Giorgio Ionico, S. Martino e San Marzano.
Montemesola
Montemesola - Feudo abitato già dal secolo XIII (nel 1240 é Baronia della famiglia De Prete), viene successivamente abbandonato e rimane disabitato fino a quando nel 1520 viene ricostruito e ripopolato da alcune famiglie albanesi. Nel 1540 il feudatario Ludovico Carducci invita un prete greco-albanese per le funzioni religiose, che però viene presto sostituito con un sacerdote latino, essendo pochi i fedeli di rito greco. Nel 1575 conta 65 fuochi. Durante la visita del vescovo Brancaccio (1578) tutti i residenti seguono il rito latino (i pochi albanesi hanno già abbandonato il rito greco) ed è parroco latino don  Nicola Pellegrino Capone. Nel 1578 sono aperte al culto due chiese: una dedicata allo Spirito Santo e l’altra alla SS. Nunziata. Anche usi, costumi, lingua e tradizioni albanesi vengono meno entro la fine del secolo XVI.  Molti albanesi si trasferiscono altrove e attorno al 1600 il casale e completamente latinizzato.
Roccaforzata - Questo antico casale sorge su una collina tra S. Giorgio e S. Crispieri. Casale citato in documenti del 1300, è abitato almeno dal 1463 da alcune famiglie albanesi provenienti da Faggiano e da S. Crispieri. Il casale è concesso dal re Ferdinando II al capitano albanese Lazzaro Mathes per ripopolarlo all’inizio del secolo XVII. La chiesa parrocchiale, alla periferia del casale, é dedicata alla SS. Trinità. Durante la visita del vescovo Brancaccio (1578) sono presenti nel casale due sacerdoti di rito greco, Pietro Psatillo (parroco) e Demetrio Palumbo (cappellano di un’altra chiesa), ordinati in rito greco dal loro metropolita.
La chiesa é dotata di iconostasi a due porte, di suppelletili, paramenti, libri, messali e oggetti sacri della tradizione orientale per la celebrazione della liturgia in rito greco.
Nel territorio di Roccaforzata sorge la chiesa di S. Maria della Camera, dotata di iconostasi ad  una porta e ornata con affreschi (Pantocratore e apostoli), esistente già all’inizio del secolo XVI nel casale di Mennano, diruto ed abbandonato, quando vi si stabiliscono alcune famiglie albanesi. E’ custodita da un eremita e gli albanesi vi si recano il giovedì dopo Pasqua per assistere alle funzioni religiose.
Il vescovo Brancaccio dispone che nella chiesa vi celebri solamente un sacerdote latino e che sia tassativamente impedita la celebrazione ai sacerdoti greco-albanesi.
Nel XVI secolo la parrocchia greca è sostituita dalla parrocchia latina e nel 1710 la comunità risulta completamente latinizzata. Attorno al 1800 a Roccaforzata non si parla più la lingua albanese. 
San Giorgio Ionico

S. Giorgio Ionico - Il territorio dove sorge oggi S. Giorgio risulta abitato già dal sesto secolo a. C. e tali insediamenti sono presenti sia nel periodo ellenistico sia nel periodo di dominazione romana sia nel Medioevo, quando (sec. X) alcuni abitanti di Taranto, saccheggiata dai Saraceni, si ristabiliscono in detto casale. Verso la metà del secolo XV, dopo la distruzione di Civitella e Belvedere, viene  popolato da Albanesi venuti  in aiuto del re Ferdinando per sedare la rivolta dei  baroni  filoangioini.  
Nell’Archivio di Stato di Napoli il casale di S. Giorgio è citato nel 1524 e durante  la visita pastorale (1577) del vescovo di Taranto  risulta abitato da Albanesi (11 fuochi), che seguono la tradizione cristiana orientale nella chiesa di S. Giorgio, affidata al sacerdote greco Luca Papocchia, ordinato da Pafnunzio di Corone. 
La chiesa di S. Giorgio é dotata di iconostasi a due porte, libri liturgici, paramenti e suppellettili della tradizione greca ed ornata con  immagini tipicamente orientali (Pantocratore e  la Madonna). 
Rito greco e lingua albanese non sono più presenti dalla fine del secolo XVII (attorno al 1675), tuttavia qualche testimonianza di tradizioni liturgiche bizantine rimane fino al secolo XIX.
S. Martino - Di questo antico casale medioevale rimangono oggi pochi ruderi tra Roccaforzata ed il cimitero. E’citato in documenti riguardanti immunità fiscali o altre imposizioni. Tra Civitella e Mennano, esiste già dal XIII secolo. E’citato anche in documenti angioini e dell’arcidiocesi del secolo XIV. Il Re Martino nel 1507 assegna il feudo di S. Martino all’albanese Lazaro Mathes per ripopolarlo con altri albanesi. La successione baronale albanese dura fino al 1670. Durante la visita di Brancaccio (1578) é presente il sacerdote greco Demetrio Savino, che amministra i sacramenti e celebra la divina liturgia in rito greco nella Chiesa di S. Martino, che ha le pareti affrescate con immagini sacre. Fino al secolo XVIII nel casale vengono celebrati ancora alcuni santi orientali ma ogni testimonianza del rito greco scompare completamente nel 1859,  quando, soppressa la parrocchia per la morte dell’ultimo parroco,  l’antico  casale é abbandonato dai suoi ultimi pochi abitanti
S. Marzano di S. Giuseppe - Antico casale,  ripopolato nella prima metà del secolo XVI da circa 70 famiglie albanesi. I suoi abitanti conservano alcune tradizioni e parlano ancor oggi l’antica lingua  degli antenati albanesi. Della tradizione religiosa bizantina degli antenati albanesi invece non sono rimaste testimonianze significative: il rito greco, praticato nel secolo XVI, è stato progressivamente sostituito dal rito latino già dal XVII secolo: nel 1617gli abitanti del casale di S. Marzano, chiedono  di abbracciare il rito latino per l’assenza di preti di rito greco e nel 1618 viene nominato il primo parroco latino (Donato Caloiro).Cessata ogni pratica religiosa secondo il rito greco, viene cambiata anche la dedicazione della chiesa: Santa Venera, tipica Santa orientale, è sostituita da un santo latino, San Carlo Borromeo.
A S. Marzano sono ancora vive alcune testimonianze della comunità arbëreshe riguardanti lingua, religione, canti, tradizioni e costumi degli antenati albanesi. 

P.S. – Può risultare utile, a conclusione dei testi dedicati alla latinizzazione dell’Albania tarantina, riportare brevi notizie sui due principali protagonisti di tale evento. 

Mons. Lelio Brancaccio - Nato a Napoli nel 1537, arcivescovo prima a Sorrento e poi a Taranto (1574), sostenitore delle direttive del Concilio di Trento, dedica particolare attenzione e impegno all’azione di riforma del costume del clero, all'organizzazione della chiesa locale ed alla prassi liturgica, come emerge dai documenti che riportano l’energica azione svolta sia durante la visita pastorale nelle parrocchie dell’Albania tarantina (1576-78) sia nel Sinodo diocesano del 1595. Muore nel giugno 1599 a Napoli. 
Pafnunzio - Nato a Cipro (non si conosce la data di nascita), jeromonaco del monastero di Santa Caterina del Monte Sinai, è ordinato sacerdote ortodosso attorno al 1545. Giunto a Venezia, si trasferisce ad Ancona nel 1546, nella locale chiesa greca di Sant'Anna, dove nel 1548 viene eletto vescovo ed Eparca d'Italia. L’arcivescovo di Ochrida, da cui  nel XVI secolo dipendeva  l’ Eparchia d'Italia,  lo consacra vescovo col titolo di Arcivescovo di Agrigento e Metropolita d'Italia e d'Occidente. 
Pafnuzio ordina alcuni sacerdoti ortodossi nell’Albania tarantina già dal 1550 e nel 1557 nomina vicario dei Greci e degli Albanesi di Puglia e d'Abruzzo l'arciprete di Faggiano Papas Pietro Pigonati. Muore nel 1566.

(Latinizzazione dell’Albania tarantina VI – fine) 

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