mercoledì 21 settembre 2016

Hanno detto ... ...

GILBERTO CORBELLINI filosofo ed epistemologo 

Viviamo, e alleviamo i giovani, in una cultura nazionale “antiempirica”, dove fatti e opinioni sono confusi prima di tutto da chi dovrebbe insegnar loro a saperli distinguere. Cercare di portare prove di quello che si dice non è costume degli intellettuali italiani, in generale.
Siamo il paese dove è stato descritto il familismo amorale e dove l’educazione cattolica ha un forte peso in età giovanile. Inoltre i programmi scolastici e il genere di cultura umanistica propinata ai giovani, carente di letteratura e filosofia anglosassone, non aiutano a capire il funzionamento del mondo moderno.


ETTORE LIVINI (Repubblica 19.9.16)

Il Grande fratello dei semi si prepara a ridisegnare il futuro dell’agricoltura mondiale. Il suo mantra ideologico — basta leggere i siti dei colossi del settore — è sempre lo stesso. «Una persona su otto va a letto affamata — recita quello della Dupont — . Se vogliamo garantire cibo a tutti nel 2050 dobbiamo aiutare i contadini a rendere più produttivi i campi». Come è sotto gli occhi di tutti: le 7mila aziende sementiere attive nel 1981 sono quasi sparite. Un’ondata di fusioni e acquisizioni ha concentrato il 63% del mercato nelle mani di tre colossi (Dow-Dupont, ChemChina- Syngenta e Bayer-Monsanto). Le stesse società — guarda caso — che controllano il 75% del business di pesticidi e diserbanti in un groviglio di conflitti d’interessi in cui «l’industria è costretta a vendere i semi assieme ai prodotti agrochimici per non fare harakiri», come accusa Vincenzo Vizioli, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologia. Ultimo e più famoso esempio: il discusso ed efficacissimo glifosato (unico neo, è un sospetto cancerogeno) promosso in rigorosa abbinata con i semi hi-tech modificati per resistere ai suoi effetti. L’era del seme unico — dicono i critici — ha già avuto effetti devastanti: la Fao ha certificato che nel ventesimo secolo, a forza di specializzare le colture, abbiamo perso il 75% della biodiversità e che un altro terzo se ne andrà entro il 2050. Uno scotto da pagare, dice l’industria: sviluppare un seme super efficiente (e spesso transgenico) può costare 136 milioni di dollari, un nuovo pesticida può arrivare a 250 milioni. «Solo le imprese di grandi dimensioni hanno i soldi per la ricerca necessaria alle sfide del futuro — spiega Lorenzo Faregna, direttore di Agrifarma, l’organizzazione degli imprenditori di settore — E la fanno con controlli rigidissimi. In Italia, per dire, siamo monitorati da tre ministeri: Ambiente, Salute e Agricoltura».
I risultati, assicura la European seed association, la potentissima lobby di settore, si vedono: incroci e selezioni usciti dai laboratori dei big dei semi «contano per il 74% degli aumenti di produttività in campo agricolo e hanno garantito carboidrati, proteine e oli vegetali per 100-200 milioni di persone aggiungendo 7mila euro di reddito agli agricoltori».
Chi lavora davvero la terra la pensa in un altro modo: «Stiamo creando un oligopolio pericoloso per contadini e consumatori — dice Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti — . Il modello proposto dai big del settore, semi standardizzati e omologati assieme ai fitofarmaci, non funziona più. Le grandi aziende controllano i prezzi, ovviamente a loro uso e consumo. E vanno controcorrente in un mondo dove le coltivazioni Ogm stanno calando e dove la tendenza è rilanciare la biodiversità e ridurre, come si fa con successo in Italia, l’uso di pesticidi e diserbanti».

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