lunedì 19 gennaio 2015

Sapori di Sicilia (11)

17 GENNAIO SANT'ANTONIO ABATE

Per scrivere queste brevi note abbiamo atteso per constatare quanto interessino ai contessioti di oggi le tradizioni di un tempo. Abbiamo potuto constare che non interessano a nessuno.
E' il caso quindi di registrare, a futura memoria, cosa accadeva in tempi andati.
Erano quelli a cui ci riferiamo tempi di povertà, lavori pesanti, feudalesimo imperante e poi latifondismo senza pietà. Il nostro territorio era esclusivamente abitato da contadini nelle due figure di burgisi (pochi) e braccianti (tantissimi). Meno dell'2% della popolazione era composta da professionisti (pubblici impiegati, farmacista, preti ..).
Tutti, ma non proprio tutti, compresi i professionisti avevano almeno un animale da accudire: un cavallo, due muli, una capra, dieci galline, un asino, un maiale. Nessuno aveva biciclette o motori fino agli anni venti/trenta del Novecento.

Nel giorno di Sant'Antonio abate nella mattinata, ma già dagli anni cinquanta in poi nel pomeriggio, tutto il bestiame dei burgisi e dei braccianti (non quello della ex-baronia o dei latifondisti) di Contessa veniva portato nello spiazzo Greco per essere benedetto.
Cerimonia di benedizione degli animali in piazza matrice, a Contessa Entellina, il 17 gennaio 1930
Con l'aiuto di chi allora c'era abbiamo individuato:
1) Il parroco Papàs Gassisi, il celebrante
2) a sinistra Papàs Kola LoIacono (padre di Evmenio)
3) a destra Papàs Pietro LoIacono (villusa)
4) fra il parroco e Papàs Pietro c'è don Luca Schirò, quello con la barba,(nonno di Luca Schirò)
La tradizione è da ritenere fosse di impronta siciliana perchè aveva analoghi svolgimenti a Bisacquino e altrove. Pur non possedendo riscontro, è da ritenere che la stessa cerimonia avvenisse davanti la Chiesa della Favara.
In un libro del 1832 (autore Cacioppo) risulta che pure a Palermo si svolgeva il rito di benedizione del bestiame.
Lo stesso Goethe nel suo viaggio in Sicilia (1787) scrive "Sant'Antonio abate è il patrono delle creature a quattro zampe e la sua festa diventa, in città, un saturnale delle bestie normalmente addette a portare la soma, nonchè dei guardiani e dei conducenti. Tutti i padroni, in quel giorno, devono starsene in casa oppure girare a piedi".

Il significato verosimilmente doveva essere quello di purificare, in attesa della primavera, animali e terra. Valore fecondante in vista della primavera che in Sicilia la si fà annunziare dal mandorlo in fiore.

Dietro la festa religiosa di Sant'Antonio si cela qualcosa di paganeggiante, quindi. Questo aspetto potrebbe spiegare quanto adesso le varie Pro Loco operano in senso contrario sostituendo con le sagre paesane, dal cacio alla salsiccia, dalla ceramica al nostro grano le feste religiose cristiane.
L'antica festa propiziatoria dei tempi pagani, in Sicilia fu quindi riciclata in chiave cristiana con la festa di Sant'Antonio e rischia di tornare, con le Pro Loco nuovamente paganeggiante.

Popolarmente la festa è conosciuto come Sant'Antonio del "porco" per via del maialino che il santo nell'iconografia occidentale si porta sempre dietro. Per gli etnologhi quel porcellino prova il legame sotterraneo che lega questa festa cristiana ai culti pagani dell'inverno: pare che pure Cerere veniva rappresentata con un maialino al seguito.

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Come tutte le feste popolari pure quella dedicata a Sant'Antonio trova in Sicilia le soddisfazioni gastronomiche. Il povero maiale paga le abbuffate.
Nelle case dei ricchi di un tempo il maiale finiva tutto intero nei forni, ben farcito. Nelle cucine più modeste dei burgisi alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento cominciarono a spuntare le cotiche e la testa messa a cuocere a fuoco lento in un grasso e seducente sugo fatto con l'astratto di pomodoro asciugato al sole d'agosto. 
La salsiccia unificava sia la cucina dei ricchi che dei poveri.
Per i braccianti che erano i poveri dei poveri il Santo veniva festeggiato con i "cunighia"; si trattava di fave secche lessate e innaffiate con un filo d'olio d'oliva e tanto origano. Si prendevano direttamente dal piatto tra due dita e poi con gli incisivi si sfilava la fava dalla scorza. Da quest'operazione nasceva l'idea del "coniglio roditore".  
Non mancavano, per la festa, i dolci. L'etnoantropologo Giuseppe Pitrè scrive: " ... sotto la tutela di Sant'Antonio il popolo ha messo il maiale e per tutta la città di Palermo, qualche giorno innanzi la Festa, si vendono paste dolci in forma di maiali, di grandi e piccole dimensioni".

La ricetta
Bucatini con olive e cavolfiore

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