Dietro
il voto del Parlamento sui giudici costituzionali si intravede, in filigrana,
quello per l’elezione del presidente della Repubblica. L’ipotesi che Giorgio
Napolitano possa ritenere conclusa la sua missione di qui a gennaio sta
assumendo i contorni di una previsione, seppure da verificare. E pone con forza
e preoccupazione il tema di quanto potrà accadere di fronte al vuoto che
lascerebbe. Il «sì» di ieri al giudice costituzionale designato dal Pd, Silvana
Sciarra, e a quello del Movimento 5 Stelle, Alessio Zaccaria, per il Csm, è un
primo elemento di riflessione; e di tensione nella maggioranza. Il «no» a quello
di Forza Italia è il secondo, anche perché rimanda a contrasti tutti interni al
centrodestra.
La somma dei due episodi
riconsegna un patto del Nazareno asimmetrico. Forse è
azzardato sostenere che il coinvolgimento del movimento di Beppe Grillo nelle
votazioni per la Consulta sia la prima pietra di un «secondo forno» che il
premier può utilizzare per raggiungere i suoi obiettivi. Per quanto vada
accolto come un segnale positivo, non cancella l’imprevedibilità di una
formazione che segue le dinamiche imperscrutabili della Rete e del suo leader.
Certamente, si tratta di un risultato che rafforza Renzi nella trattativa con
un Silvio Berlusconi più subalterno di lui alla logica dell’accordo sulle
riforme istituzionali. Il «forno» di Forza Italia appare inutilizzabile innanzi
tutto per il suo proprietario. L’ esito disastroso della votazione per Stefania
Bariatti alla Consulta conferma infatti che l’ex premier non è più in grado di
garantire l’appoggio di tutti i suoi parlamentari. La falcidia dei candidati
del centrodestra riflette e dilata la crisi della leadership berlusconiana. Al
contrario, il Pd attraversa le barriere della maggioranza di governo e di
quella istituzionale con una disinvoltura e una facilità da perno del sistema.
Può rivendicare di avere fatto uscire il Movimento 5 Stelle dall’isolamento. E
prefigura anche per il Quirinale un gioco a tutto campo che potrebbe superare
lo schema di un capo dello Stato concordato tra Renzi e Berlusconi: quello che,
almeno finora, appariva il più accreditato.
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