venerdì 30 agosto 2013

Organizzazione e funzionamento dei Comuni nell’ordinamento repubblicano (2)

L'Italia dei Comuni

Fino al 2001

Prevalenza della tendenza accentratrice di matrice napoleonica e poca considerazione per le esigenze delle realtà preesistenti all’unificazione.
Oggi l'80% della popolazione italiana risiede in aree metropolitane, eppure la cultura dei Comuni ancora oggi si contrappone a quella dello Stato.

Punteremo a delineare assetti e sviluppi storici dei Comuni a cominciare dallo Statuto albertino (1848).
Teniamo però presente che in Sicilia durante l'ancien regime (feudalesimo) i comuni, chiamati allora "Università"(=tutto), si distinguevano in demaniali (ed erano meno di cinquanta) ed in feudali (erano parecchi di più, anche se con popolazione più ridotta).
Nei primi la presenza dello Stato (il Re) era più percepibile, nei secondi lo Stato (ente, Re) non esisteva affatto se non per il prelievo fiscale, tutto era in mano al barone del luogo (potere esecutivo, regolamentare della vita, giustizia etc.). I giurati, ossia gli amministratori locali, il capitano di giustizia ed i giudici, ossia il capo della polizia e la magistratura, la gestione di terre, feudi e centri abitati, erano tutte funzioni svolte dagli uomini del barone, uomini di sua fiducia e da lui scelti. Costui era un monarca con controllo assoluto sui territori da lui posseduti e governati.
Fino al 1859, con Statuto albertino vigente, ed anche dopo ad Unita' d'Italia avvenuta (1861), i sindaci di tutti i comuni  erano di nomina regia e questo vuole significare che il radicamento culturale delle popolazioni ai territori di appartenenza era fortissimo e che creare l'identita' nazionale era impresa non proprio facile.
Il sindaco scelto dai prefetti, che proponevano al governo centrale l'emissione del regio decreto, si voleva che fosse  mezzo di collegamento ed espressione dello Stato. Egli era chiamato a svolgere un ruolo ben distinto dai consiglieri comunali, era -doveva essere- il guardiano dello Stato.
La figura del sindaco ci servira' come chiave di lettura per capire la "ratio" su come lo Stato intendesse comportarsi con le realta' locali.
 RATTAZZI1) La legge Rattazzi del 1859 assegna una forma di governo ai comuni che in seguito si evolvera', ma conservera' per lungo tempo gli aspetti strutturali di base:
-Sindaco -  di nomina regia
-Esecutivo - non coincide esattamente con l'attuale Giunta, tuttavia si tratta di collaboratori del sindaco
 -Consiglio Comunale
Ad Unita' d'Italia avvenuta il tessuto sociale del paese appare variopinto e per nulla unitario.
L'Italia era e restera' ancora per molti decenni un Paese di comuni con identita' specifiche locali. L'identita' nazionale appartiene, come fatto culturale, a ristretti gruppi sociali, estreme minoranze. "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani" era il convincimento dei ceti che avevano partecipato al moto risorgimentale.
Per dire quale fosse il livello culturale: era facile far scoppiare attriti, con conseguenze di atti di violenza, fra la popolazione di Bisacquino e Contessa, per vicende di confini territoriali fra comuni.
Inoltre ogni singolo Comune non esitava a contestare provvedimenti delle Prefetture (ossia con l'organo che rappresentava lo Stato). Le Prefetture non esitavano a sciogliere i Consigli Comunali con ricorrenza oggi ritenuta incredibile. I sindaci fedeli all'identita' nazionale non li si trovava con facilita' perche' l'orizzonte culturale e politico non andava oltre i confini del comune, ritenuti invalicabili agli influssi esterni ed guardati e custoditi come tali da secoli di dominio baronale.
A Contessa nei primi anni dell'Unita' la Prefettura non si fido' del ceto dominante locale, il ceto che da secoli forniva -e fornira' ancora- sacerdoti, amministratori del Municipio e dei feudi della baronia. Questa classe dirigente si era sviluppata nell'ambito del riformismo di Domenico Caracciolo, il vice-re borbonico di fine Settecento, era quindi si' anti baronale ma aveva fatto propria la vocazione filo borbonica.
Basto' comunque la nomina per alcuni mesi di un sindaco savoiardo fatto venire da Salaparuta perche' il ceto dominante locale si allineasse pure esso alla volonta' della Prefettura e si riappropriasse, anche formalmente occupando la carica di sindaco, della guida del Municipio.
 Antica Stampa del Ponte VecchioNel 1865 la Capitale del Regno viene trasferita da Torino a Firenze ed il governo centrale impone l'unificazione amministrativa, ossia la decadenza delle legislazione sorta sotto gli stati preunitari e l'applicazione della legislazione piemontese.
 Una novita' consiste nella circostanza che i Comuni hanno l'unico interlocutore nelle Prefetture (decentramento dalla Capitale al capoluogo di provincia delle funzioni statali).
Le funzioni dello Stato che prima avvenivano nella Capitale adesso vengono svolte in periferia, ma pur sempre da funzionari statali (prefetti). Nulla a che vedere, quindi, col concetto di autogoverno locale, che in qualche modo le popolazioni conoscevano da secoli sia pure sotto l'egida baronale.
I comuni hanno perso tutte le loro antiche funzioni e lo svolgimento dei servizi tipicamente locali sono proposte alla Prefettura dal sindaco, che non e' altro che "ufficiale del governo" di nomina regia.
I comuni quindi non hanno piu' funzioni proprie ma "competenze derivate" da quelle dello Stato (mediante la prefettura) come ancora oggi, per esempio,  restano le funzioni di Stato Civile o dell'Anagrafe.
 Nel 1888 viene varata una nuova legge sulle amministrazioni locali (Legge Crispi). Nei comuni di grosse dimensioni demografica il sindaco viene eletto dai Consigli Comunali, quindi rappresenta finalmente oltre allo Stato anche i cittadini. E' un primo labile segnale in direzione dell'autogoverno locale; tuttavia i comuni restano enti di derivazione statale (centralismo statale) ed il sindaco continua a svolgere le funzioni non per conto del comune ma dello stato (ufficiale dello stato) e quindi, in questa veste,  giura dinanzi al Prefetto. Essendo eletto dal Consiglio egli puo' essere -adesso- revocato sia dal Consiglio che dalla Prefettura, che rappresenta lo Stato Centrale.
La Giunta, in seguito alla ulteriore riforma del luglio 1896, diventa pure essa "organo di governo", da semplice "collaboratore del sindaco" che fino ad allora  era stata.
Essa deve essere formata, per intero, da esponenti che emanano dal Consiglio Comunale. Inoltre, a prescindere dalle dimensioni demografiche, la normativa del 1888 si applica a tutti i comuni, quindi anche a Contessa.
Il Sindaco puo' essere revocato dal Prefetto se non si attiene a quanto sufficiente per degnamente rappresentare lo Stato, mentre dal Consiglio con una mozione:
-con voto dei 2/3 dei componenti e la deliberazione diventa immediatamente esecutiva,
-che se non si raggiungono i 2/3 dei voti ma la semplice maggioranza assoluta fa passare la decisione al Prefetto.
Nel contesto finora illustrato alle province spettava -pure ad esse- il ruolo di circoscrizione del decentramento dello Stato. Al vertice di esse era il Prefetto, rappresentante del governo centrale,
Come si puo' cogliere a colpo d'occhio un ruolo, quello delle province, ben diverso da quello odierno sancito dalla Costituzione del 1948 e dalla revisione costituzionale del 2001 che ne fa, appunto-
-ente previsto in Costituzione
-munito di autonomia politica, normativa, amministrativa e finanziaria.
(aggiungiamo noi, i-n-u-t-i-l-e).

Anche dopo la riforma del 1896 rileviamo che i comuni non dispongono di alcuna reale autonomia. Essi sono organizzati da disposizioni che arrivano dallo Stato centrale e sottoposti a controlli sia sugli organi (sindaco, giunta e consiglio) che su qualsiasi provvedimento questi adottano (ordinanze, deliberazioni etc.).


(segue)

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