martedì 24 luglio 2012

Sicilia. Come il rito greco fu estirpato -dalla politica- dall'isola

 Un fatto unico: La Legazia Apostolica di Sicilia

Pantocratore, nel Duomo di Monreale
In uno dei post su questo Blog -di pochi giorni fà- sulla storia dell'isola abbiamo evidenziato come con l'arrivo dei Normanni in Sicilia e la cessazione (relativa) del dominio mussulmano la Sicilia torna ad essere una terra "greca" sia per l'uso millenario della lingua greca che per la pratica del Cristianesimo orientale, Cristianesimo che faceva riferimento al Patriarcato di Costantinopoli.
Tutte le diocesi siciliane erano infatti in comunione con quel patriarcato.
La sede papale di Roma ovviamente non apprezzava la situazione, anche perchè proprio in quell'XI secolo era stata sancita la separazione fra Roma e Costantinopoli (anno 1054), che fino ad allora avevano convissuto nell'unica ed indivisa Chiesa di Cristo sotto il regime della "pentarchia", ossia della parità di rango delle sedi di Roma, Costantinopoli, Alessandria d'Egitto, Antiochia e Gerusalemme.
Il Papa Urbano II inviò nell’Isola un proprio Legato, per occuparsi della gestione economica del vastissimo latifondo posseduto dalla Chiesa, denominatopatrimonium ecclesiae, e soprattutto per dare rappresentanza ai pochi fedeli a Roma, in contrapposizione alle masse cristiane che si riconoscevano nel Patriarcato di Costantinopoli, in quella fase assolutamente preponderanti.
La politica degli Altavilla (i duci dei Normanni) in Sicilia era ovviamente orientata a favorire la Chiesa Bizantinae Ruggero I, per mantenere l'unità dei domini, aveva affidato ad essa il compito di rappresentare su gran parte del territorio, il potere della Corona.

Mosaico nel Duomo di Cefalù
La scelta, squisitamente politica, era determinata dalla circostanza che i Canoni Bizantini prevedevano la possibilità di subordinare gli istituti ecclesiastici al sovrano, purchè questo fosse di religione cristiana.
Per garantire la sopravvivenza delle poche realtà minoritarie cristiane di osservanza Romana, a fronte della preponderanza delle comunità di rito bizantino, Urbano II pensò bene di eccezionalmente adeguarsi alle regole bizantine, e concesse a Ruggero I l'amministrazione dei fedeli cattolici dell’Isola, fatto unico nella storia della Chiesa Romana, nominandolo Legato Apostolico pontificio per l’Isola.
Papa Urbano II conferì in questo contesto -tutto "nella logica di potere"- a Ruggero prerogative veramente straordinarie: questi poteva creare Diocesi e nominare vescovi di sua fiducia attraverso l’"investitura laica", amministrare, raccogliere e conferire al Papa le rendite della Chiesa, ed aveva il diritto di approvazione sulle decisioni dei tribunali ecclesiastici: una facoltà di straordinaria rilevanza politica e sociale, che quando i papi successivi tentarono di retrocedere non riuscirono nell'intento.
Si tratta infatti di un’eccezione nella storia della Chiesa di Roma, che per la prima volta concedeva questi poteri ad un sovrano laico. Quando la Legazia di Sicilia venne istituita si era nell'anno 1096
Cappella Palatina
-Palermo-
Il titolo ereditario di Legato Apostolico di Sicilia, venne prima attagliato a quello di Conte di Sicilia e in seguito alla formazione del Regno, a quello di Re di Sicilia.
Giuridicamente, negli atti della Chiesa Romana, che possedeva un vastissimo feudo nell’Isola sin dai tempi di Leone Magno, la corona siciliana rimase sempre identificata come “Regia Monarchia di Sicilia”,anche se il titolo della sovranità sull'Isola è stato espresso nel tempo con diverse denominazioni. 
Mosaico - Chiesa della
Martorana

La Legazia Apostolica, ovvero il fatto che il Re di Sicilia, svolgesse la veste di legato Apostolico, rappresentante del Papa nel Regno e quindi di Capo della Chiesa nell'isola, fu una prerogativa ereditaria che la Corona siciliana non perderà mai e la cui ultima propaggine giungerà fino al re d’Italia (Vittorio Emanuele II), come successore dei re normanni, e che verrà rigettata proprio da questi nell'ottica cavouriana "libera chiesa in libero stato".

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