giovedì 22 luglio 2010

Il primo quadriennio della sindacatura Di Martino (1964-1968) -II-

Abbiamo in precedenza tentato di evidenziare che Di Martino, sindaco nel 1964, si muove con determinazione, avendo chiare le idee su come scardinare l’assetto semifeudale che regolava la vita del paese. Gli obiettivi erano quello di rompere l’assetto che alimentava -attraverso la secolare ed estensiva monocultura cerealicola- miseria socio-economica e quello di eliminare le briglie che si opponevano alla nascita di una migliore vivibilità complessiva. I segni della vecchia società, abbiamo visto, erano i rapporti di lavoro retribuiti ancora allora in natura (il baratto), l’isolamento non solo materiale ma anche culturale del paese, l’emigrazione quale unica valvola di sfogo per le tensioni sociali.
Il rimboschimento
I cantieri scuola, seppure aperti contemporaneamente a decine, in ogni luogo del centro abitato, non potevano, alla lunga, costituire la soluzione all’abbondanza di manodopera disoccupata. Il giovane sindaco inizia pertanto a buttare le basi di una ulteriore fonte di reddito, che ancora oggi a cinquant’anni dall’avvio dei primi passi costituisce una fondamentale risorsa di centinaia di famiglie: il “rimboschimento” delle aree agricole abbandonate e/o comunque di marginale utilità produttiva se destinate ad altri fini. Anche questa operazione, oggi ritenuta ovvia e giusta, in quegli anni al giovane sindaco portarono ulteriori inimicizie e tentativi di isolamento perché intaccavano poderi, seppure improduttivi, che erano tuttavia di privati. Le aree demaniali (sottoposte ad uso civico) erano già state inglobate nei piani di forestazione, ma non erano sufficienti per dare lavoro a centinaia di unità lavorative, servivano pertanto allo scopo, le aree limitrofe all’antico bosco di Santa Maria, inidonee alla coltivazione perché improduttivi, ma su cui i sentimenti di “proprietà” spingevano alcuni possessori ad opporsi. Di Martino puntò comunque sulla dilatazione il più possibile delle aree da rimboschire perché consapevole degli investimenti e delle potenzialità occupazionali che ne sarebbero derivate. Il rimboschimento per lui era supportato dallo spopolamento di quelle aree, dall’abbandono di ogni forma di coltivazione, e dal riassetto idrogeologico che ne conseguiva; accettò le conseguenze delle critiche e dell’isolamento da parte di taluni ambienti stimolati, in qualche caso ad arte, dagli avversari politici.
Di contro i risultati furono facili coglierli a medio termine nella rifondazione a Contessa Entellina della più forte Camera del Lavoro dell’intero Corleonese. I lavoratori forestali del luogo superano di gran lunga, prima ancora degli eventi sismici del gennaio 1968, quelli dell’intero corleonese: era nata una fascia di lavoratori retribuiti che aveva d'innanzi a sè un orizzonte reddituale in qualche modo meno precario di prima.
L’enfiteusi
Ciò che è facile cogliere nel Di Martino del primo quadriennio di sindacatura sono le “idee chiare” e la “determinazione”. Da cosa gli derivavano ? riteniamo noi dal bagaglio culturale. Abbiamo visto che aveva condotto studi di economia, era stato dirigente della Federbraccianti provinciale, era segretario regionale della Fgsi, era una persona che leggeva, che leggeva moltissimo, e che continuerà a farlo fino agli ultimi giorni di vita.
Si proponeva di scuotere il vecchio modo di vivere e lo farà senza esitazioni. Non tollerò, su questi presupposti, che sulle abitazioni del centro abitato continuasse ancora, nel 1964, a pagarsi il censo ai proprietari del suolo, ossia ai successori a vari titolo degli originari baroni “Cardona”. Sui terreni dei feudi Contesse e Serradamo concessi nel XV secolo agli arbërëshe in enfiteusi si continuava a pagare il canone della concessione; e non solo sui terreni agricoli dei due feudi ma anche sulle case del centro abitato, che insistevanlo pure esse sul feudo Contesse.
Di Martino vede l’istituto dell’enfiteusi come una briglia che inibisce la gente dall’accostarsi ad un mondo nuovo che col feudalesimo aveva chiuso, avrebbe dovuto chiudere, i conti da gran tempo.
L’enfiteusi non ha purtroppo, nella realtà degli anni sessanta, soltanto significato simbolico come accade per i due feudi di Contesse e Serradamo ma anche incidenze, parecchio più pesanti, su due ulteriori feudi del territorio comunale: Badessa e Costiere.
Non avversa gli istituti giuridici feudali solo sul piano intellettuale; ma avvia l’impegno politico sulla problematica, alimenta la nascita di un movimento per l’abolizione, raccorda il movimento locale con movimenti di altre realtà, scrive relazioni e disegni di legge che fa firmare ai deputati e/o senatori a lui più vicini. I risultati iniziano ad arrivare con nuove leggi sia regionali che nazionali che -inizialmente- recano drastici ridimensionamenti dei canoni. Ma l’obiettivo non era la riduzione bensì l’estinzione dei canoni. In questa battaglia, costellata di manifestazioni, scioperi, ingiunzioni giudiziarie, instaurazioni di cause etc. è stretta la sua collaborazione col senatore palermitano Cipolla (pci) che in Parlamento si intesta i disegni di legge. L’obiettivo verrà raggiunto finalmente nel 1972: il rapporto di enfiteusi sui due feudi di Badessa e Costiere viene estinto con un irrisorio compenso di affrancazione.
E’ interessante, dal punto di vista di chi scrive, riportare qui un giudizio del principe Gaetano Starabba di Giardinelli, proprietario dei due feudi, su Di Martino, a pochi mesi dalla morte dell'ex-sindaco -2001-: “l’onorevole Di Martino si è sprecato con tutte le sue risorse per l’estinzione dell’enfiteusi, danneggiandomi nei miei interessi patrimoniali, ma la stima e l’ammirazione per la sua intelligenza in me non è mai venuta meno. Nel portare avanti la sua battaglia non è mai stato sleale”. Almeno in questa vicenda Di Martino trova avversari che pur non condividendo la battaglia politica non lo ricambiano con l’inimicizia.
Politico
Era sindaco, ma le iniziative che portava avanti non rientravano nell’elencazione delle funzioni di sindaco contenute nell’ordinamento degli enti locali. Era sindaco, ma lo faceva da uomo politico, con una visione complessiva che incasellava gli obiettivi prefissati nell’interesse del suo paese e della comunità in generale.
Era politico e puntava all’introduzione dei nuovi punti di vista che emergevano dal dibattito nazionale. Di tutte le cose che abbiamo riferito egli mai si intestò merito o protagonismo, anzi era assolutamente refrattario. Ogni risultato raggiunto -nelle Assemblee Cittadine che avevano cadenze quasi mensili- veniva presentato come conseguenze della mobilitazione popolare: delle manifestazioni, degli scioperi, delle politiche sindacali e partitiche.
Si, era anche un pedagogo. Spiegava il perché bisognava archiviare i residui di feudalesimo, il perché bisognava creare opportunità di lavoro di lungo termine con l’ampliamento delle terre da destinare a rimboschimento, spiegava il perché bisognava scendere a Palermo per partecipare alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, spiegava il perché i primi anni di centrosinistra erano risultati deludenti e perciò il suo partito avrebbe dovuto esigere un cambio di indirizzo politico (periodo di adesione alla sinistra lombardiana).
Di questo primo quadriennio, sotto l’aspetto partecipativo-democratico-pedagogico, ci restano la memoria delle frequenti Assemblee Cittadine e dei frequenti pullman colmi di gente, da lui sollecitata, a partecipare alle manifestazioni a Palermo di quel fine degli anni-sessanta e l’introduzione anche, su un piano più culturale, dei valori e dei principi della “sinistra”.
Era e teneva ad essere una persona comune. Un uomo politico che credeva nelle cose che portava avanti, un figlio del suo tempo in cui, più di altri, sapeva riconoscersi, sia incontrandosi che scontrandosi con le realtà che via via si presentavano. Si muoveva sulla scorta di una bussola, cioè il bagaglio culturale ben radicato, che lo indirizzerà sempre in una sola direzione (creare una società migliore) e non lo farà smarrire mai per presunte accorciatoie, e soprattutto non lo farà ritrovare mai sulla sponda opposta a quella che consapevolmente aveva scelto negli anni giovanili, come invece capitò a tanti, tantissimi, suoi compagni di partito dopo che il Psi -nel 1993- fu sciolto.
La sua formazione culturale non accettò mai che potessero venire meno la coerenza delle idee, dei valori, in favore dell’opportunismo (trasformismo) che la vita politica offre ad ogni piè sospinto ai meno dotati di valori di fondo. Tutto ciò pur essendo un uomo pragmatico.
(Continua)

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