Testi curati dall’avvocato
Domenico Cuccia
Devo dire che di particolare rilievo è stata la visita al Museo di Cruja.
Alcune conclusioni sono oggetto di ipotesi, altre sono frutto di verifiche documentali e, quindi, hanno un maggiore margine di certezza. I periodi maggiormente presi in considerazione sono quelli che vanno dal 1450 al 1550, e cioè quelli degli ultimi anni di resistenza contro l’invasione ottomana e l’emigrazione di moltissimi albanesi verso la Sicilia e l’Italia meridionale.
L’aspetto meglio documentato è quello derivante dalla consultazione di atti ufficiali quali i capitoli di fondazione delle comunità arbëreshe e i Riveli (cioè i censimenti) sulle popolazioni residenti nelle comunità, (l’analisi dei capitoli di fondazione è limitata alle comunità arbëreshe siciliane). Possono essere considerate anche abbastanza provate le tesi di quegli storici, albanesi e arbëreshë, che hanno studiato i singoli cognomi attraverso l’analisi dei documenti e dei luoghi di provenienza.
Nel testo sono pure riportate, per completezza, le citazioni di carattere letterario di alcuni autori che spesso sconfinano nell’ideologia romantica (vedasi le opere letterarie di Giuseppe Schirò). Anche se queste citazioni letterarie non hanno il rigore della ricerca storica, bisogna riconoscere che l’ideologia romantica ha contribuito a creare quel “nazionalismo“ albanese che ha consentito agli arbëreshë di essere fieri delle loro origini e delle loro tradizioni e di salvaguardarle per diversi secoli.
I risultati di queste mie indagini, quasi sempre con citazione delle fonti consultate, sono inseriti nei due paragrafi seguenti. Il primo è denominato “I Cuccia nell’Albania di Skanderbeg”; il secondo “I Cuccia in Albania e in Italia”.
È mia intenzione, successivamente, estendere l’indagine ad altri cognomi arbëreshë presenti nelle nostre comunità siculo albanesi, di cui faccio un breve accenno nelle note.
Il presente articolo integra e in parte modifica quello pubblicato su questo blog il 31 maggio del 2020.
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I Cuccia nell’Albania di Skanderbeg
Pal Kuka statua esposta nel Museo di Cruja. Fu un ambasciatore di Scanderberg |
Nel “Tesoro di Notizie su de’ Macedoni” di Nicolò Chetta, pubblicato nel 2002 a cura del Comune di Contessa Entellina e dell’Università degli Studi di Palermo, nelle pagine 264, 268 e 273, si parla diffusamente delle imprese militari e diplomatiche di Paolo Cucchia, inviato come ambasciatore di Giorgio Castriota presso il Papa e il re Alfonso di Napoli. Di Giorgio Cucchia si parla nelle pagine 295, 300. Anche Giorgio Cucchia, cappellano dello Skanderbeg, compì per conto del principe albanese missioni diplomatiche presso il Pontefice di Roma. Sempre nello stesso volume del Chetta, a pag. 309, si parla di un Giorgio Cucchia, valoroso ufficiale dell’esercito albanese, catturato e scorticato vivo assieme ad altri sette eroi i cui nomi sono: Musacho Angelina, Gino Mysak, Giovanni Perlato, Nicolò Elisio, Giovanni Manessi, Vladenio Giuriz e Moise, questi ultimi due nipoti dello Skanderbeg.
Il cognome Cucchia è presente in molte altre pagine dell’opera del Chetta. Oltre che alle pagine 511 e 512 del volume, al paragrafo 253 “Catalogo delle siciliote famiglie albane”, in cui si parla delle famiglie albanesi presenti in Sicilia, i Cucchia vengono citati alle pagine 258, 335, 345, 375, 453, 444, 445, 446, 453, 454 e 470.
Dell’episodio della cattura e della condanna a morte di Giorgio Cucchia e degli altri sette valorosi ufficiali dell’esercito albanese parlano anche le altre biografie dello Skanderbeg. Vedasi “Storia di Giorgio Castriotto sopprannominato Scanderbeg Principe dell’Albania” pagine 184 e 185. Il volume, pubblicato a Palermo nel 1847, dalla Tipografia di Domenico Oliveri, è stato ripubblicato in ristampa anastatica dal Comune di Contessa Entellina nel 1998. Sempre nello stesso volume, a pag. 242, viene riprodotto il diploma di Giovanni di Aragona, indirizzato al nipote Ferdinando, re di Napoli, con cui raccomanda i nobili albanesesi, consanguinei dello Skanderbeg: Petrus Emmanuel de Pravatà, Zaccarias Croppa, Petrus Cuccia e Paulus Manisis. L’ autore dice che il diploma si trova nella Memoria di Palazzo Adriano del prof. Crispi, stampata nel 1827.
Dei Cuccia e di altre illustri famiglie albanesi dei tempi dello Skanderbeg, si parla anche nel volume “I Castriota Principi d’Albania” – Origine della Famiglia Castriota - edita da Valletta Tipografia del “Malta” nel 1929, e precisamente nelle pagine 36, 37 e 38.
Dai documenti e dai testi consultati o citati quello che parla dei rapporti di consanguineità tra i Castriota e i Cuccia è il diploma del re Giovanni di Aragona dell’8 ottobre 1467. Tale documento della cancelleria di Barcellona è stato alla base delle ricostruzioni storiche successive ed era stato pacificamente accettato dalla storiografia arbëreshe e italiana. Nel 2007, il prof. Matteo Mandalà, docente di lingua e letteratura albanese nell’Università di Palermo, ha sostenuto, nel volume “Mundus vult decipi”, edito a Palermo nel 2007 da A.C. Mirror, che taledocumento fosse frutto di un falso [1]. In ogni caso, la mancata autenticità del documento della cancelleria del regno di Aragona non rileva ai fini della corrispondenza tra il cognome Kuka presente in Albania ai tempi dello Skanderbeg, di cui parlano diverse biografie del Castriota, e il cognome Cuchia o Cuccia presente nelle colonie albanesi della Sicilia[2].
I Cuccia e altre famiglie albanesi [3] del periodo di Skanderbeg sono presenti, oltre che nei saggi storici [4], anche nelle opere letterarie, del prof. Giuseppe Schirò, Direttore del R. Istituto Orientale di Napoli[5] . In tali opere di natura poetica, scritte sia in italiano che in albanese lo Schirò affronta il tema della loro emigrazione in Sicilia, dopo che era venuta meno in patria ogni possibilità di resistenza contro l’invasore ottomano in Albania.
[1] I primi dubbi sull’autenticità del documento in questione erano stati avanzati dal prof. Francesco Giunta, docente di Storia Medioevale nell’Università di Palermo.
[2] Con questo non si vuole sostenere la discendenza diretta tra le casate presenti in Albania ai tempi delle lotte antiturche dello Skanderbeg e quelle emigrate in Italia meridionale e in Sicilia. Per fare ciò occorre indagare sui luoghi di provenienza degli emigrati che formarono le varie comunità arbëreshe.
[3] Reres, Cropa, Pravatà, Paolo Manes, Skirò, Musacchia, Bideri, Masrek e altri.
[4] Giuseppe Schirò, Opere VIII Saggi, “Cenni sulla origine delle colonie albanesi di Sicilia”.
[5] Giuseppe Schirò, Opere III e IV, “Te dheu i huaj” (edizione del 1940). Volume III Canto V pagine 150 e 151; vol. IV Canto II “Gli Antenati”, pagine 60 e 61, pagine; Canto VII “Giovanni Kastriota”, pagine 290 e 291.
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I Cuccia in Albania e in Italia
I Cuccia o Cucchia, in albanese Ku¢i o Kuka, sono presenti in varie zone dell’Albania. Nel nord est del paese vi è la città e il distretto di Kukës con una popolazione di circa 48.000 abitanti. Nel museo nazionale di Kruja, nella sezione dei principali collaboratori dello Skanderbeg, è esposta la statua di Pal Kuka, con la didascalia che si trattava di un diplomatico; tale statua è stata da me fotografata. I testi di storia che parlano delle gesta di Skanderbeg riferiscono, oltre alle missioni diplomatiche di Pal Kuka, di un Giorgio Kuka cappellano di Skanderbeg, di un Giorgio Kuka, ufficiale dell’esercito albanese, caduto nelle mani dei turchi e da questi scorticato vivo, assieme ad altri sette eroi, di un Bajano Kuka. Un Oso Kuka è stato un eroe albanese di Scutari e la sua abitazione è in atto adibita a Museo.
Le notizie riportate sono state acquisite dalle tre biografie di Skanderbeg di cui sono in possesso. Per quanto riguarda Giorgio Cuchia i testi parlano di un cappellano dello Skanderbeg e di un ufficiale dell’esercito albanese, catturato e trucidato dai turchi (non so se si tratti della stessa persona).
Nicolò Chetta, rettore del Seminario Greco-Albanese di Palermo, nato a Contessa Entellina il 31/07/1741 e deceduto a Palermo il 15/11/1803, li ritiene originari della Macedonia, provenienti da un’area vicina all’attuale Albania. Il cognome albanese Kuça, Cuchia nei primi atti in latino volgare, redatti in Sicilia, si è trasformato in Cuccia ed è presente in tutte le comunità albanofone siciliane.
In Sicilia, nei documenti riportati in pubblicazioni da me consultate, per la prima volta si incontra un Luca Cuchia e un Petrus Cuchia nel 1501 tra i firmatari dei Capitoli di Mezzojuso [1]; a Contessa si ritrova ufficialmente il cognome Cuchia in un censimento (chiamato Rivelo) del 1593 [2]. Si incontra nuovamente il cognome Cuccia nel rivelo effettuato nel 1623, durante il Regno di Filippo IV di Spagna [3]. In epoca successiva si incontrano un Ioannis Cuccia, Iuratorum huius universitatis Terrae Comitissae, tra i richiedenti al notaio Ioseph Maria Fiorenza di Bisacquino di un trasunto dei Capitoli di Contessa del 1520, e un Leoluca Cuccia, magistro, tra i testimoni del Notaio [4]. Il trasunto è stato rilasciato dal notaio Fiorenza nel 1792.
Bisogna tenere presente che tutti i capitoli di concessione dei terreni agli albanesi furono scritti in latinis vulgaribus da notai non albanesi, che traducevano nel volgare in uso in Sicilia i nomi albanesi. I membri delle comunità arbëreshe, che conoscevano entrambe le lingue, si impegnavano a spiegare ai loro connazionali i contenuti degli atti sottoscritti.
Il cognome Cuchia lo ritroviamo, poi, tra gli albanesi che costruirono (o ricostruirono) la Chiesa Madrice di Contessa, dedicata alla SS. Annunziata e a San Nicolò di Mira[5].
Il suddetto cognome è, inoltre, più volte citato nel saggio storico “Cenni sulle origini delle colonie albanesi di Sicilia” del prof. Giuseppe Schirò, docente di lingua e letteratura albanese presso il Regio Istituto Orientale di Napoli nonché nelle opere letterarie composte dallo stesso.
Gli immigrati albanesi in Italia hanno dovuto lottare duramemente per non essere sottoposti a un processo di latinizzazione forzata e per mantenere un rito, quello bizantino, che in un periodo di controriforma religiosa veniva visto, soprattutto dai vescovi latini, quasi come ortodosso scismatico. Qualche volta i vescovi ci sono riusciti, vedasi San’Angelo Muxaro, in Sicilia, o Spezzano albanese, in Calabria, dove il prete di rito greco è stato arrestato - con l’accordo tra il vescovo e il barone del luogo- ed è morto in prigione, mentre tutto il popolo è diventato di rito latino.
Una circostanza, invocata dagli albanesi d’Italia a loro favore nei confronti di chi li guardava con sospetto, era il ricordo di Giorgio Castriota, definito dal Papa Atleta di Cristo, e i legami che legavano i profughi alle gesta dell’eroe albanese. Il re di Napoli era grato al Castriota per l’aiuto ricevuto nella lotta contro gli angioini e i nobili infedeli. Dopo il tentativo fallito, di Giovanni Castriota, di riaccendere la lotta in Albania (anno 1482) [6] e la caduta di Corone (anno 1532) vennero nell’Italia meridionale e in Sicilia, con gli altri profughi, i più stretti collaboratori dello Skanderbeg, moglie e figli compresi, e successivamente molti coronei.
Un documento, richiamato da alcune famiglie arbëreshë per tutelare la propria posizione, era una lettera del re Giovanni II d’Aragona al proprio nipote Ferdinando, re di Napoli, datata 8 ottobre 1467, in cui raccomandava alcuni nobili albanesi, definiti consanguinei dello Skanderbeg. L’autenticità di tale lettera, su cui si era basata tutta la storiografia arbëreshe a cominciare da Pompilio Rodotà, dal citato prof. Giuseppe Schirò, docente del Regio Istituto orientale di Napoli, dal prof. Alessandro Schirò, dal sacerdote Spiridione Lo Iacono e altri, è stata recentemente messa in dubbio dal prof. Matteo Mandalà, docente di lingua e letteratura albanese nell’Università di Palermo, in un suo libro intitolato: “Mundus vult decipi”. In tale saggio l’autore, sulla base di una ipotesi avanzata anche da altri[7], ritiene che il suddetto documento sia un falso. Lo stesso rilievo di falsità viene mosso nei confronti di un altro documento, sempre dalla cancelleria di Barcellona, e datato 18 ottobre 1467.
In ogni caso, la mancata autenticità del documento della cancelleria del regno di Aragona non rileva ai fini della corrispondenza tra il cognome Kuka presente in Albania e nel Peloponneso, ai tempi dello Skanderbeg, e il cognome Cuchia o Cuccia presente nelle colonie albanesi della Sicilia. Tale tesi è suffragata non solo da tutti gli storiografi arbëreshë ma anche dagli altri studiosi. Vedasi il saggio: “Sviluppi onomastico-toponomastico tribali delle comunità albanesi di Sicilia” del prof. Giuseppe Valentini S.J, titolare della cattedra di albanese dell’Università di Palermo nel secondo dopoguerra. In tale saggio il Valentini studia l’etimologia e la provenienza di 48 famiglie siciliane di origine albanese. Per quanto riguarda i Kuçi (e non Kuqi) il prof. Valentini ipotizza una antichissima origine nella località presidiata di Cucci, nel limite danubiano di Pannonia, nel secolo IV. Secondo il Valentini i Kuçi furono una forte tribù albanese del nord, verso la piana di Podgorica, nominati fin dal 1335 e poi nel 1416 e, come una vera comunità, nel 1455. Sempre il Valentini ci dice che il cognome Kuçi, per quanto con varia grafia, è largamente presente tra gli stradioti, dal 1482 al 1547, con almeno 19 nominativi. Per il prof. Valentini, che conosceva bene l’Albania avendovi vissuto a lungo, è ipotizzabile che i Cuccia che sono presenti in Sicilia siano venuti direttamente dalla Grecia. In ogni caso secondo il suddetto professore, considerata la vastità dei toponimi, è difficile rintracciare la precisa origine albanese.
Durante la mia permanenza a Tirana, nel luglio del 2017, ho letto l’annuncio funebre di un Kuqi.
I Cuccia, assieme ad altre famiglie albanesi (Musacchia, Reres, Schirò, Lala e altri) hanno assunto un ruolo di rilievo nelle nostre comunità e, in atto, sono presenti in tutte le comunità albanofone della Sicilia. Ci sono, inoltre, altri Cuccia le cui famiglie provenivano dai centri albanofoni della Sicilia, presenti a Palermo e in altre città della Sicilia e d’Italia. Nell’ambito dei comuni di origine gli stessi hanno svolto nel passato, e continuano a svolgere, ruoli rilevanti nella comunità. Molti sono stati avvocati, notai, medici, insegnanti, dirigenti della Pubblica Amministrazione, sindaci, papàs. A Palermo una via è dedicata a Simone Cuccia, avvocato e noto giurista, docente di diritto penale dell’Università di Palermo e per diversi anni membro della Camera dei deputati. A Enrico Cuccia, di origine siculo albanese e uno dei più importanti banchieri dell’Italia del secondo dopoguerra, è dedicata una piazza di Milano.
I testi richiamati descrivono pure le altre famiglie albanesi presenti in Sicilia, chi vuole approfondire la storia e l’etimologia dei cognomi delle altre famiglie lo può, pertanto, fare attingendo alle opere degli autori citati. Fornirò qualche notizia su alcune di queste famiglie, i cui nomi sono ancora presenti in Albania come ho potuto personalmente constatare, in uno scritto successivo[8].
Avv. Domenico Cuccia
[1] I nomi di Luca Cuchia e Petro Cuchia, quali firmatari dei Capitoli di Mezzoiuso, sono riportati nel volume I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di Sicilia, raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia, a pag. 51.
[2] Il rilevo (censimento) del 1593, riportato nel volume di Alessandro Schirò “Guida Illustrata delle Colonie Albanesi di Sicilia”, registra la presenza tra la popolazione di Contessa di Antonina La Cucchja, vedova con due figli, a pag. 21.
[3] Vedasi il volume di Francesca Di Miceli Contessa Entellina-Per una Storia attraverso cronache e documenti, pag.36.
[4] Il nome di Ioannis Cuccia, quale richiedente del trasunto dei Capitoli di Contessa del 1520, e di Leoluca Cuccia quale testimone del Notaro, sono riportati nel volume I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di Sicilia, raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia, a pag. 52 e 57. Il La Mantia ci informa, inoltre, che l’originale dei capitoli, in pergamena, si conservava nell’Archivio della famiglia Colonna, che sono stati signori feudali di Contessa.
[5] Vedasi il volume di Francesca Di Miceli Contessa Entellina-Per una Storia attraverso cronache e documenti, pag. 46, in cui si parla di un Lorni Cuchia i Liut, di un Lionardo Mustacchi e dei Plesci, provenienti da Mezzojuso, come degli albanesi che più si prodigarono per la costruzione della chiesa Greca intitolata a san Nicolò di Mira.
[6] Secondo il prof. Giuseppe Schirò, dopo il fallimento della riconquista dell’Albania nel 1482, attuato da Giovanni Castriota figlio dello Skanderbeg, molti profughi provenienti dalla città di Himarë, nella prefettura di Vlorë, emigrarono in Sicilia, fondando la colonia di Piana degli albanesi. La tesi è stata fatta propria da alcune guide turistiche dell’Albania. Vedasi “Conoscere l’Albania”, testo in italiano pag. 103.
[7] I primi dubbi sull’autenticità del documento in questione sono stati avanzati dal prof. Francesco Giunta, docente di Storia Medioevale dell’Università di Palermo.
[8] Durante il mio viaggio in Albania nel 2017 ho potuto constatare l’esistenza di cognomi presenti tra le colonie siculo albanesi. A Gjon Muzaka è dedicata una via della città di Berat; ai Manali è intitolato un intero quartiere di Argirocastro; alcuni soggetti di nome Lala sono titolari di diverse attività commerciali in varie località dell’Albania; al Croppa, a cui è intitolata una via di Contessa Entellina, è dedicata una statua nel Museo di Kruja, con la didascalia che si tratta di un diplomatico dello Skanderbeg.
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