mercoledì 18 settembre 2024

L’Italia che invecchia

 A quaranta giorni del decesso di France LoJacono,

la ultra centoseienne contessiota, ci piace riflettere sulla vecchiaia

Secondo le previsioni Istat, l’Italia avrà un
calo di 5 milioni di abitanti entro il 2050
;
gli ultrasessantacinquenni passeranno dal 25%
al 34% della popolazione, portando con sé
interrogativi su come invecchiare nel migliore
dei modi.


La vecchiaia dei nostri giorni rievoca
la generazione passata dai carretti trainati
da cavalli (o muli) alla quasi conquista
della luna.






  Oggi il 25% di chi vive in Italia ha più di 65 anni. Secondo l’Istat nel 2050 saranno il 36%. 

 L’aspettativa di vita media ai nostri giorni è di 84 anni. Dovrebbe crescere di altri 5 anni entro metà del secolo. Il che vuol dire che vivremo mediamente molto di più di quanto sia mai accaduto a qualsiasi generazione passata, ma molti -dicono gli esperti- di questi anni «extra» saranno in condizioni più o meno gravi di non autosufficienza. 

   Ai nostri giorni 3,9 milioni di persone vivono nell’impossibilità di svolgere autonomamente molte attività quotidiane. Chi non è da solo riesce a compierle grazie a oltre 7 milioni di caregiver, tra familiari e badanti, che garantiscono una cura continua a integrazione dell’assistenza pubblica, che però non coinvolge tutti.

 La vita degli anziani

=== La fascia degli anziani può essere scomposta in almeno tre fasi. La prima, 65-74 anni, comprende chi è ancora pienamente autosufficiente, accede poco ai servizi di cura e soprattutto, se si mantiene sano e attivo, può addirittura essere caregiver per altri. 

 ===  La seconda (75-84) include chi necessita più spesso di interventi esterni che aiutino la mobilità, favoriscano la socialità, evitino il decadimento psico-fisico. 

===   La terza (over 85) è composta da anziani a maggior rischio di non autosufficienza o già in tale condizione, che richiedono assistenza continuativa.

  Le esigenze di chi invecchia sono ampie, diversificate, mutevoli nel tempo. Richiedono un approccio che tenga insieme tante dimensioni. Non si tratta di doversi concentrare solo sui bisogni che si manifestano nella parte finale della vita, ma anche sulle azioni necessarie per prevenirli. Ed occorrerebbe migliorare la capacità dei sistemi di welfare di intervenire sui bisogni emergenti, e valorizzare le competenze di territori e comunità.
  Servirebbero veri servizi sociali, sanitari e culturali finalizzati al benessere delle persone anziane e alla loro partecipazione attiva a ciò che accade tutt’attorno a loro nel mondo civile.
   Serve un approccio integrale in grado di tenere insieme tutte le complesse dimensioni e specificità che dovrebbe coinvolgere gli anziani. 

   Un approccio integrale in grado di cambiare, soprattutto, la cultura intorno al tema dell’invecchiamento. Che, volenti o nolenti, prima o poi sperimenteremo tutti, compresi coloro che oggi ignorano la realtà della fascia degli anziani. Si dovrebbe decidere come affrontare insieme, in tempo, e sapendo indicare da prima l’assetto sociale e civile che dovrebbe e come dovrebbe essere.
 Le conquiste di civiltà richiedono sempre un prezzo di civiltà che politici e politicanti pare non mostrano allo stato di voler essere coinvolti.

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