martedì 2 aprile 2024

Il Castello di Calatamauro tra Storia e Leggenda, a cura dell'avv. Domenico Cuccia

Avv. Domenico Cuccia

IL CASTELLO DI CALATAMAURO TRA STORIA E LEGGENDA

Il Castello di Calatamauro si erge in territorio di Contessa Entellina, a circa 3 KM dal centro abitato, vicino alla strada che porta a Sambuca di Sicilia, su un rilievo roccioso a forma di piramide a 764 metri dal livello del mare. Esso è delimitato a sud e a ovest da pareti scoscese, mentre i versanti settentrionale e orientale presentano un lungo dislivello che ne rende difficile l’accesso. È presente nel catasto del Comune di Contessa Entellina al foglio 31, particelle 2 e 3. Il Castello, per gli arbëreshë Kastjeli, alimenta la fantasia degli abitanti di Contessa che sin da piccoli hanno sentito le storie dei rinvenimenti di cadaveri con apparato scheletrico gigantesco in contrada Scirotta, a testimonianza delle grandi dimensioni degli antichi abitanti della zona, ivi sepolti. E pur essendo gli albanesi arrivati nel territorio di Contessa in un periodo successivo rispetto a quello della deportazione degli ultimi saraceni rimasti a Lucera, in Puglia, effettuata nel 1246 su ordine dell’imperatore Federico II di Svevia, dopo la conquista e la distruzione di Entella, il ricordo di questi guerrieri giganteschi, probabilmente Berberi provenienti dall’Africa del Nord, era ancora vivo. Da piccolo sentivo la frase arbëreshe: “ Ishtë aq i madh sa një saraçenë”, in italiano: “È così grande quanto un saraceno”.

STORIA


Secondo gli storici Tommaso Fazello [1] e Rocco Pirri[2], il Castello è stato eretto dai saraceni. A riprova della loro tesi richiamano lo stesso nome che porta: Calat, che in arabo significa luogo erto e fortificato; e il termine Calat è stato adoperato dagli arabi per indicare vari altri castelli della Sicilia. Tale tesi è stata contestata da Michele Amari e da altri storici più recenti i sulla base della seguente considerazione: tra i castelli che vennero a patti coi Musulmani che volevano conquistare la Sicilia vi era quello di Mavr o Mavrù Mauro o Calatamauro. Secondo questi storici, pertanto l’origine del Castello è bizantina. Tale tesi è suffragata anche dal fatto che i Bizantini, per arginare l’avanzata degli arabi, costruirono in molti monti dei castelli fortificati. L’abbate Vito Amico [3] si limita ad affermare che ai suoi tempi l’origine del Castello veniva attribuito agli Arabi oppure ai Greci. Risulta certo, comunque, che nella zona pianeggiante sotto il Castello, denominata Scirotta sono stati trovati dei sepolcreti in muratura, monete, vasi che testimoniano una presenza umana antecedente alla conquista araba.  

Infatti, siccome l’uso degli arabi, almeno nei primi tempi, era quello di seppellire i morti avvolti in un lenzuolo bianco, disposti sul fianco destro e direttamente sulla terra, senza opere in muratura e altri oggetti, risulta evidente che quelle sepolture erano anteriori alla presenza araba.

Dello stesso avviso era lo storico contessioto Atanasio Schirò, che ritiene il Castello già esistente nel periodo bizantino [4]. Questa tesi non convince del tutto gli archeologi della Normale di Pisa che sull’area del Castello di Calatamauro hanno diretto una campagna di scavi effettuata nel 2006. Per loro non è certo che ci sia, tra le fortezze che secondo l’Amari si sono arrese agli arabi,[5] anche quella di Calatamauro, potendosi tale toponimo, riferirsi anche al Castello di Marineo. Quella dell’origine pre-araba del Castello di Calatamauro sarebbe, dunque, solo un’ipotesi da verificare.[6]

Un elemento certo è la citazione del geografo arabo Idrisi il quale, come afferma l’Amari, parla del Castello di Qal’Mawru come di una fortezza esistente nel XII secolo. Il Castello, per un periodo alle dirette dipendenze della Corona, aveva la funzione di controllare una vasta area di territorio tra il monte Genuardo, e i torrenti Vaccarizzo e Senore; controllava, inoltre, un tratto della strada Palermo-Corleone-Sciacca. Si ritiene, perciò, che nel periodo delle guerre tra Federico II e gli ultimi Musulmani di Sicilia (conclusesi, in un primo tempo, nell’anno 1221 e dopo, definitivamente, nell’anno 1246) il Castello di Calatamauro, posto di fronte ad Entella – dove secondo alcune fonti arabe vi era la sede di ibn ’Abbad, l’emiro ribelle –, abbia esercitato un ruolo molto importante per la risoluzione del conflitto. Pare, dunque, che sia questo ruolo chiave per il controllo del territorio che abbia fatto rientrare Calatamauro in quella serie di castra exempta , noti dal registro imperiale del 1239-1240, che la Corona gestiva in prima persona-

Diversi storici [7]parlano in maniera particolareggiata del ruolo che il Castello di Calatamauro ha avuto durante la rivolta del Vespro. I rappresentanti del Comune di Palermo [8], durante la rivolta del Vespro stipularono un patto di unione, fedeltà e alleanza col Comune di Corleone. In virtù di tale patto il Comune di Palermo prometteva a Corleone [9] uno speciale aiuto per distruggere il vicino Castello di Calatamauro. I corleonesi, pertanto, avevano fatto capitano del popolo un patriota di nome Bonifazio. Questi, si mise alla testa di tremila uomini e diede l’assalto al castello di Calatamauro e agli altri castelli dell’interno. La distruzione del Castello di Calatamauro era necessaria per i rivoltosi perché, se gli angioini fossero riusciti a rioccuparlo, da esso potevano dominare la zona circostante e mettere a rischio la città di Corleone che, in linea d’aria, non dista molto dal suddetto Castello. Secondo l’Amari, i corleonesi, dopo avere occupato con molte uccisioni il Castello, si impadronirono delle torme di cavalli, che stazionavano nell’area sottostante per essere utilizzati da Carlo d’Angiò per l’invasione del territorio dell’impero bizantino, e li utilizzarono per la lotta contro i francesi.

Non si sa con certezza se il Castello fu completamente distrutto a seguito degli avvenimenti dei Vespri siciliani o fu solamente molto danneggiato. Il Fazello e il Pirri dissero che ai loro tempi il Castello era deserto, ma non dissero che era distrutto. Vito Amico disse che il Castello conservava i tetti e le case ma non era destinato ad alcun uso ed era quasi deserto.

Sembrerebbe quindi che il Castello di Calatamauro più che una vera e propria distruzione da parte dei nemici abbia sofferto di un lento declino e di una perdita della sua funzione quale centro del potere baronale.

SIGNORI FEUDALI E FONDAZIONE DEL CASALE DI CONTESSA

Con la fondazione o la riedificazione del casale di Contessa da parte dei greco-albanesi, avvenuta intorno al 1520-1521 [10], quando era signore di Calatamauro e del casale di Contessa il conte don Alfonso De Cardona e Sanluzio, alias Peralta, il Castello perde gradualmente la funzione di centro del potere baronale a favore del casale di Contessa, dove erano presenti i rappresentanti del signore feudale.

Il castello di Calatamauro che, come abbiamo visto, durante il periodo del re di Sicilia e imperatore Federico II, rientrava nell’elenco dei castra exempta cioè tra quelli gestiti direttamente dalla corona, successivamente perse il suo ruolo di indispensabile presidio militare e fu dato in investitura a diversi signori feudali. Se ne citano solo alcuni per l’importanza che gli stessi hanno avuto per la storia del territorio[11].

Dopo il Vespro, nel 1300, riceve il feudo di Calatamauro Guillem Calcerand de Cartellà[12].

Nel 1336 il Feudo venne concesso dal Re di Trinacria, Federico III d’Aragona,[13] all’infante Guglielmo, suo terzogenito, e dopo la sua morte, nel 1338 il feudo andò al fratello di lui Giovanni[14]. Dopo, la baronia di Calatamauro fu concessa dal re Federico III, detto il semplice, al conte Guglielmo Ventimiglia.

Successivamente la suddetta Baronia fu concessa all’infantessa Eleonora d’Aragona, che la portò in dote nel 1373 a Guglielmo II Peralta. A causa della fellonia di quest’ultimo il Castello ritornò al regio demanio e poi, dopo alterne vicende, fu, per privilegio del 28 febbraio 1398, nuovamente riaffidato alla contessa Eleonora d’Aragona e da lei, per transazione controfirmata dal re Martino il 15 maggio 1405, fu assegnata a suo figlio Nicolò Peralta il giovane. Il 18 novembre 1434 se ne investì Alfonso Cardona che aveva sposato Caterina Peralta. Il 3 luglio 1543 si investì del feudo Antonino Cardona per la morte della madre Caterina Peralta. Il 18 giugno 1518 si investì della Baronia di Calatamauro il conte Alfonso II Cardona e Peralta, lo stesso che nel 1520 firmò i capitoli di fondazione di Contessa.

Successivamente le famiglie Feudali titolari della Baronia di Calatamauro e, quindi, del relativo Castello, cambiavano, come già era avvenuto per i Peralta, con l’estinzione del ramo femminile.

Così nel 1577 il Castello passa a Giovanni Gioeni, per la morte di Caterina Cardona, sua madre.

Il 15 maggio 1655 la titolarità della Baronia passò al Principe Onofrio Colonna, la cui madre, Isabella Gioeni, aveva sposato nel 1641 il Gran Contestabile Marco Antonio Colonna.   

Dai Colonna la titolarità del sito passò alla Baronessa Chiara Cammineci e Mulè la quale, a sua volta, la portò in dote al Barone Giovanni Mulè e, quindi, alla Duchessa Chiara Mulè e Sammartino.

Con l’abrogazione del Feudalesimo, avvenuta con la Costituzione siciliana del 1812, i feudi si trasformarono in allodi e diventarono, quindi, oggetto di proprietà privata degli antichi Baroni feudatari che potevano alienare a terzi i terreni. 

A seguito di questi processi di trasformazione dei feudi l’area in cui sorgeva il Castello di Calatamauro e i terreni circostanti furono, successivamente, acquistati dal signor Antonino Riggio, di origini siciliane ma residente a New Orleans, negli U.S.A.

I suddetti terreni furono, poi, venduti dal suddetto Riggio Antonino e dai suoi figli a Giuseppe Colletti e a vari esponenti della famiglia Cuccia, per atti del notaio Mirto stipulati a Corleone il 5 gennaio 1955. I terreni, in oggetto, sono oggi di proprietà degli eredi e aventi causa dei compratori del 1955, ad eccezione dell’area archeologica in cui sorge il Castello e del relativo sentiero di accesso, che sono di proprietà del Comune di Contessa Entellina, a seguito di procedura di esproprio.

STRUTTURA ARCHEOLOGICA E RESTI DEL CASTELLO

Il Castello era circondato da due cinte murarie. La prima, quella delle mura esterne, era di m 1,10 di spessore, e sbarrava l’accesso sul lato nord; la seconda, quella delle mura interne era di m.1,50 di spessore e sbarrava l’accesso alla parte sommitale del sito. Nell’angolo nord del sito esterno ci sono le tracce di un lunghissimo edificio (m. 11,40 x 5) che fa presumere l’esistenza di una vasta scuderia.[15]

Nela cinta interna, che in alcuni punti raggiunge i nove metri di altezza, sono presenti un’ampia feritoia e una finestra. Sotto il cortile interno vi è una grande cisterna sotterranea coperta, con una volta ad archi acuti rafforzata. Le dimensioni di questa cisterna sono di m. 6.80 x 11,30. Alla cisterna è collegato un pozzetto di attingimento delle dimensioni di m. 1 x 0,90.  Esaminando la struttura può essere individuata nel lato est una possibile porta di accesso al Castello, mentre nel lato sud ovest  può essere individuata una struttura molto stretta, forse i resti di una torre. La costruzione del Castello è stata fatta con pietre irregolari che non consentono di avere elementi certi per la datazione.  Secondo il citato volume sui Castelli Medioevali di Sicilia si potrebbe pensare a una datazione del XIII secolo per la Cisterna (simile a quella dei castelli di Agira e Calatafimi) mentre si potrebbe pensare al XII secolo come data di costruzione del Castello e al XIV secolo come data della ricostruzione dopo le devastazioni della guerra del Vespro.

Comunque elementi precisi sulla datazione del Castello ancora non ce ne sono. Il Comune di Contessa Entellina ha avviato nel 2006 i lavori per il restauro e la restituzione a pubblica fruibilità del complesso fortificato.  Il Servizio per i beni Archeologici della Soprintendenza per i beni Culturali e Ambientali della provincia di Palermo, nell’ambito della convenzione in corso con la Scuola Normale Superiore di Pisa per ricerche nel sito e nel territorio dell’antica Entella, ha affidato alla Scuola Normale Superiore di Pisa il coordinamento scientifico dei lavori di scavo. Ma l’abbondante materiale rinvenuto è ancora in corso di studi e non ci sono allo stato, quindi, ipotesi precise, dal punto di vista scientifico sulla datazione del Castello. Dai reperti raccolti lo stesso potrebbe essere, quindi, datato nel periodo arabo, in quello normanno o, addirittura, nel periodo dell’imperatore Federico II, quando fu inserito nella serie di castra exempta noti dal registro imperiale del 1239-1240.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il Castello di Calatamauro resta, al di là delle ipotesi storiche da dimostrare e delle ricerche archeologiche da completare, uno dei più importanti monumenti di Contessa Entellina. Non ci sono allo stato elementi certi per stabilire in quale periodo storico il castello sia stato costruito. A favore dell’origine Bizantina vi sono le tesi di Michele Amari e di Atanasio Schirò, che comprendono il Castello di Calatamauro tra quelli che si sono arresi agli arabi e che quindi dovevano necessariamente preesistere alla loro venuta. A favore dell’origine araba, invece,  vi è lo stesso nome del castello e qualche reperto di origine araba ritrovato durante gli scavi archeologici diretti dalla Normale di Pisa. Tesi sostenuta da Fazello e Rocco Pirri. Per la Normale di Pisa, inoltre, il termine: «… MARW (Ibn-Atir) o MRX?A (al-Nuwayri)  potrebbe essere letto non solo come Qal’at Mawru, la Rocca del Moro, ma anche  come  Marineo (Vedasi nota n. 6), con conseguente superamento della teoria della preesistenza del Castello all’invasione araba della Sicilia. Un’altra ipotesi è che l’origine del Castello sia successiva e che esso faccia parte del sistema difensivo normanno e federiciano, e proprio per questo è stato inserito in quella serie di castra exempta noti dal registro imperiale del 1239-1240 che la Corona gestiva in prima persona. A tal fine sicuramente il Castello sarà stato un’importante fortificazione militare del territorio, quando Federico II dovette assediare i musulmani asserragliati a Entella. A questo periodo storico risale qualche reperto archeologico ritrovato negli scavi a Calatamauro della Normale di Pisa. A prescindere, comunque, dalle varie ipotesi sulla fondazione del Castello, è certa l’importanza militare che lo stesso ha avuto durante certi periodi storici quali: la Rivolta dei Musulmani asserragliati a Entella e la Rivolta del Vespro.

Sorge spontaneo, pertanto, il desiderio di conoscere meglio questo luogo ricco di storia. Per visitarlo, prima, bisognava animarsi di buona volontà e affrontare un’irta salita, magari con la compagnia di qualche amico appassionato di archeologia. Dall’alto del monte si ammira uno splendido panorama delle campagne e dei paesi circostanti, con vigneti, uliveti, terreni coltivati a grano e giardini. La visione del panorama, se le condizioni atmosferiche sono favorevoli, può arrivare sino al mare Mediterraneo. Negli ultimi anni è stata costruita una strada di accesso pedonale più favorevole e la visita e la visione del Castello è stata organizzata, periodicamente, dall’Associazione “Vivere Slow”, che si pone il fine di valorizzare i beni culturali e ambientali di Contessa Entellina.



[1] Tommaso Fazello nato nel 1498 e morto nel 1570.

[2] Rocco Pirri nato nel 1577 e morto nel 1651.

[3] Vito Amico nato nel 1697 e morto il 1762.

[4] Vedasi Atanasio Schirò “L’Antico Castello di Calatamauro”, Palermo tipografia dello “Statuto”, 1887.

[6] Calatamauro 13. Indagini Archeologiche al Castello (Scavi 2006) In “Annali Della Scuola Normale Superiore di Pisa” Classe di Lettere e Filosofia Serie IV Vol. IX, 2

[7] Costantino Bruno, “Relazione sulla Animosa città di Corleone” pag. 59 Palladium editrice Rotary club di Corleone; Michele Amari, “Racconto Popolare del Vespro Siciliano”, pag. 57 Edizione Epos; Atanasio Schirò “L’Antico Castello di Calatamauro” pag. 12 e ss. Ristampa Anastatica Palermo 1995, a cura del Comune di Contessa Entellina; e in epoca più recente Francesco Renda “Storia della Sicilia volume 1, pag.450 ed. Biblioteca della Repubblica. Vedasi anche “Castelli medievali di Sicilia” a cura della Regione Siciliana, pag. 298.

[8] Essi erano Ruggiero Mastrangelo, Arrigo Baverio (o Barresi), Niccolò d’Ortilevo Militi e Niccolò d’Ebdemonia tutti e quattro capitani del Popolo di Palermo, il Giudice Iacopo Simonide baiolo della città e gli altri consiglieri i cui nomi sono dettagliatamente indicati nel testo di Michele Amari.

[9] I rappresentanti del Comune di Corleone erano: Guglielmo Basso, Guillone de Miraldo e Guglielmo Corto.

[10] Della presenza di soldati albanesi nel territorio di Contessa intorno al 1450 si ha notizia dai citati storici Fazello, Rocco Pirri e Amico. I suddetti soldati, dopo essere stati presenti per due anni nel castello di Bisiri, presso Mazara del Vallo, su incarico dei re aragonesi, per prevenire le scorrerie degli Angioini, passarono nel feudo dei Cardona Peralta. La concessione dei capitoli di Contessa avviene nel 1520, a favore di coloni greco-albanesi provenienti dal Peloponneso da parte del conte di Chiusa don Alfonso Cardona, Sanlutio alias Peralta, mentre è del 1521 l’atto di enfiteusi a favore dei greco-albanesi provenienti dall’Isola di Andros. Nei capitoli del 1520 vengono ricordate anche le concessioni fatte a favore dei coloni albanesi dal conte Don Antonino Cardona Sanlutio Peralta, padre del conte don Alfonso Cardona Sanlutio Peralta.  

[11] Per un elenco più completo dei signori feudali che hanno avuto la titolarità della Baronia di Calatamauro e del relativo Castello si rimanda alla citata opera di Atanasio Schirò pag.18 e 19.

[12] Castelli Medievali di Sicilia, voce Calatamauro pag. 298.

[13] Federico d’Aragona non volle assumere il titolo di Federico II, perché si sentiva erede e continuatore del suo grande avo, l’imperatore Federico II di Svevia. A seguito della pace di Cartabellotta che metteva fine alla guerra contro gli angioini e per l’intervento del Papa Bonifacio VIII fu costretto a cambiare, a decorrere dal 1302, il titolo di re di Sicilia, in Re di Trinacria

[14] Giovanni, Duca di Atene e di Randazzo, che nel 1340 diede in dote la Baronia di Calatamauro a sua figlia, l’infantessa Eleonora d’Aragona.

[15] Come detto prima, Michele Amari, opera citata, sostiene che i corleonesi che attaccarono e occuparono il Castello di Calatamauro si impadronirono di torme di cavalli.

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