lunedì 30 ottobre 2023

Riflessioni sul mondo e sull'uomo

 Riflessioni sulla Letteratura (4) 

A Guido Calvacanti,
Dante dedicò
 la sua prima opera
importante
“La Vita Nova”.

Guido fu averroista
Dante fu Cristiano di
 fede francescana, e
profondamente diversa
la loro concezione
dell’amore. Entrambi
 i poeti si dichiarano
 “fedeli d’amore”, ma
 mentre l’amore è per
 Guido una passione
travolgente, sottratta al
controllo della ragione,
 per  Dante che comunque
definisce Amore suo
signore,  “Amore è
“di sì nobilissima virtù
che nulla volta sofferse
che (…) mi reggesse
sanza lo fedele consiglio
de la ragione”..


Ne La vita nuova di Dante si rinvengono alcuni eventi utili sulla ricostruzione della sua vita: 

-il costituirsi del mito di Beatrice, a nove anni, nel 1274, 

- l'esordio poetico, intorno al 1283, 

-la morte dell'amata, nel 1290.

Significativo ed utile, per meglio capire Dante, è il ricordo che egli ha e fa dell'amico Guido Calvacanti, un'amicizia senza riserve, all'insegna di una piena identità di vedute artistiche.

Calvacanti è stato poeta e filosofo del Duecento. Esponente di spicco della corrente poetica del dolce stil novo, partecipò attivamente, tra le fila dei guelfi bianchi, alla vita politica fiorentina della fine del XIII secolo. 

Fu amico personale di Dante che lo menzionerà nelle sue opere

=   =   =   =   =   =   =   =

Il rifiutarsi di prendere in considerazione,

il non tenere in nessun conto, 

il "disdegno" di Guido.

(riflessione quella che segue

ripresa da Letteratura Italiana di Walter Pedullà

   Primo amico di Dante, Guido Calvacanti appare nell'Inferno come colui che "ebbe a disdegno" (X, 63), a causa della sua eterodossia (= scelte di vita o credenze non in linea con quelle dominanti), di farsi condurre a Beatrice, simbolo della scienza divina.

  Fiumi d'inchiostro sono stati versati su tale "disdegno"; e oggi qualche studioso, tornando parzialmente all'interpretazione tradizionale, ritiene che il rifiuto di Guido sia rivolto non solo a Beatrice, ma anche a Virgilio simbolo della poesia epica e della certezza religiosa, che la poesia calvacantiana, lirica e "laica", avrebbe respinto. 

  Più chiaro è l'accenno al "dolce lume", messo in bocca a Calvacante Cavalcanti, che interpreta l' "ebbe" di Dante come un annuncio della morte del figlio (...Come? / dicesti "elli ebbe? non viv'elli ancora? / non fiere li occhi suoi lo dolce lume?). Metafora cara alla lirica siciliana e stilnovistica, il "dolce lume" non ferisce più li occhi di Guido, la cui melanconica e funerea poesia ha rifiutato la luce della Grazia: per lui, la ferita dell'amore doveva necessariamente condurre alla morte. Lo stilemma del "dolce lume", dal quale il cieco Guido ha distolto lo sguardo, è ripreso nella conclusione del canto, quando Virgilio accenna al "dolce raggio" di Beatrice, colei che svelerà gli avvenimenti futuri "quando sarai dinanzi al dolce raggio / di quella il cui bell'occhio tutto vede / da lei saprai di tua vita il viaggio").

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