sabato 1 luglio 2023

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Nella Francia "incendiata" da vicende che hanno a che fare col razzismo, il Consiglio di Stato ha -in qualche modo- contribuito a buttare ulteriore benzina sul fuoco.

L’articolo 1 della normativa della Federazione calcistica francese, risalente al 2016, in nome della laicità dello Stato, vieta di scendere in campo indossando “simboli o vestiti che manifestino palesemente un’opinione politica, filosofica, religiosa o sindacale”.

Il Consiglio di stato ha -conseguentemente- stabilito che questa norma non è discriminatoria e pertanto l’articolo 1 non va cambiato: le calciatrici che indossano il velo continueranno a non poter disputare partite di calcio ufficiali.

 Founé Diawara, co-presidente del collettivo Hijabeuses che aveva promosso l’azione giudiziaria presso il Consiglio di stato, ha così commentato la sentenza dello stesso Consiglio di stato:

“Poteva essere l’occasione per porre rimedio a una norma sbagliata ed è stata un’occasione persa. La nostra non è una battaglia politica o religiosa, noi chiediamo che sia rispettato il nostro diritto di partecipare alle manifestazioni sportive. Molte donne, ogni fine-settimana, sono escluse dai campi di calcio solo perché indossano il velo”.

La sentenza del Consiglio di stato incoraggerà un gruppo di senatori che vuole fare del contenuto dell’articolo 1 del calcio una legge nazionale da applicare a tutti gli sport.

Il diritto internazionale dice chiaramente che la neutralità o il laicismo di uno stato non sono ragioni legittime per imporre limitazioni ai diritti alla libertà di espressione e di religione, quali ad esempio divieti generali riguardo a simboli culturali e religiosi. Ogni limitazione del genere dev’essere giustificata dai fatti, non da presunzioni e pregiudizi.

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