sabato 13 maggio 2023

Flash sulla nostra Storia

Feudalesimo a Kuntisa

In Sicilia il viceré Domenico Caracciolo, 
in carica dal 1781, lottò 
contro la feudalità,
combattendo i delinquenti protetti dai
nobili, colpendo il privilegio del porto
darmi, abolendo i diritti di pedaggio, le
 dogane interne, le  
corvées dei contadini.
Inoltre decretò che i magistrati - fino ad
allora di nomina baronale - venissero
scelti per elezione, anche nei comuni che
restavano "feudo" di qualche signore.
 Nella sua opera riformatrice Caracciolo
 incontrò l'
opposizione del Parlamento
 siciliano
, in mano ai nobili, che bocciò il
progetto di un nuovo censimento e di un
catasto di tutte le proprietà. 

Nel 1786 il vicerè fu richiamato a Napoli,
ma le riforme proseguirono, in parte,
 con il nuovo governatore Francesco
Maria Venanzio d'Aquino
, che nel
maggio 1789, proprio alla vigilia della
Rivoluzione francese, abolì in Sicilia
 ogni forma di servitù personale.
  




 Quando nel XV secolo gli arbëreshe cominciarono ad arrivare sui feudi dei Cardona, nella Sicilia Occidentale, il regime politico-sociale-istituzionale vigente nell'Isola  era quello feudale. Si trattava di un regime che ormai stava al confine tra il feudalesimo medievale ed il feudalesimo dell'età moderna. Il primo quadro presentava atteggiamenti flessibili alla crisi del potere pubblico (quello spagnolo) nel senso che nei casi di necessità si rendeva disponibile alle necessità della monarchia di cui si sentiva asservita, il secondo quadro vede invece il baronaggio siciliano molto più rapace e capace di compromessi (=collusione) col potere statuale ed anche, di volta in volta, persino capace di reazioni conflittuali (=collisione) con esso. 

 In pratica, alle origini della "modernità" in Sicilia e in tutto il meridione italiano non si impose lo stato centralizzato e si assistette al dominio -contrattato- fra il baronaggio da una parte e l'autorità statuale (spagnola). Si impose nella pratica una dialettica che permise al regime feudale continuità e persino significative mutazioni di potere incrementale per i baroni. 

E'     fondata la tesi che gli arbëreshe arrivati alle pendici del Castello di Calatamauro non seppero mai chi fosse, e dove stesse, il monarca della Sicilia. Loro unico interlocutore, che instaurò con loro -tramite la sua corte- intese e assetti che fossero di natura "pubblicistica" o di natura "privatistica" fu sempre ed unicamente un membro dei Cardona-Peralta (o meglio i loro rappresentanti). 

Andando avanti nella narrazione -molto semplificata sul blog- vedremo quale fu e come si svolse il ruolo della "corte", istituita per Kuntisa dai Cardona, fino ad arrivare agli ultimi baroni Colonna e finalmente all'imporsi dello Stato il 15 ottobre 1781 quando da Napoli arrivò a Palermo (ma proveniva da Parigi) il viceré Domenico Caracciolo

 Si trattò di un illuminista, uno spirito libero fra i più noti dell'epoca. Venne in Sicilia col preciso mandato di lottare contro i privilegi feudali e traghettare l'Isola nell' età moderna.

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