venerdì 20 gennaio 2023

Storia e Cultura


 

La liberazione del "sapere"la critica alla filosofia

Montaigne (1533-1592), filosofo del Rinascimento francese, noto per aver reso popolare il saggio come genere letterario, riferendosi alle dispute fra i filososi accusò gli stessi filosofi di "povertà di spirito" e dell'inutilità pratica dei loro argomenti. In breve sostenne che la Filosofia non possedeva nessuna rilevanza per la vita pratica. La sua convinzione partiva dal dualismo della filosofia. Questa sarebbe come "la bambina quando si alza sui tacchi per predicarci che è un'unione crudele quella di maritare il divino col terrestre, il raggionevole coll'irragionevole, il severo all'indulgente, l'onesto e il disonesto" ed ancora "che il piacere è una cosa brutale, indegna di essere assaporata dal saggio: il solo piacere che esso tragga dal godimento di unas bella giovane sposa, è il piacere della sua coscienza, di compiere un'azione secondo la legge, come di calzare gli stivali per un'utile cavalcata".

Montaigne considerava, in buona sostanza, accusava la tradizione filosofica e insisteva: la cultura deve essere al servizio della vita attiva....E' gran caso che le cose del nostro tempo stiano al punto che la filosofia sia, perfino per le persone d'ingegno, un nome vano e fantastico, e non serva a nulla e non abbia alcun pregio, e in teoria e in pratica".

Ad essere attaccato era, in particolare l'aristotelismo. Galilei attaccò "i filosofi peripatetici (=tradizione filosofica antica, a indirizzo prevalentemente erudito e naturalistico, facente capo all'insegnamento di Aristotele) ai quali non grava il filosofare per desiderio del vero e delle sue cause" e proseguì che si cercava di "più presto imparare da lui quello ch'egli né seppe né potette sapere".

(Segue)

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