venerdì 10 settembre 2021

Mondo contadino. Per non dimenticare una realtà umana che fu -6-

Stiamo, mese dopo mese, riportamdo pagine

de L'Almanacco del Contadino Siciliano.

 L’Almanacco, pubblicato nel 1924 come libro di lettura nelle scuole organizzate dall’Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, fu interamente opera di Francesco Lanza  e riuscì coerente con la sua fantasia popolaresca e con la sua visione epica della vita: “Nell’Almanacco è vivo il senso della terra, il senso della storia, la saggezza del tempo, il segno di un artista, la cui ispirazione, densa di lirismo ingenuo e arcaico, trascende i limiti delle letteratura documentaria regionalistica” (N. Basile).

Come è ovvio le pagine dell'Almanacco rispecchiano un mondo andato, una cultura più che conservatrice e mirante alla conservazione di un assetto sociale del mondo agricolo arretrato.

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 S E T T E M B R E 

Settembre fresco e tenero. 

  Finisce la gran calura: l'aere si fa dolce, e nei lunghi tramonti tutto a pecorelle. 

  Le montagne intorno hanno una chiarezza di cristallo. Sembra che il tempo, declinando, ritorni indietro in pr  imavera, e settembre somiglia ad aprile. 

  E un mese tutto pieno di frutti; già l'uva è pronta per la vendemmia, e di fichi, di pere, di fichidindia si empiono canestri e cofani. Si seccano al sole i fichi, si fa la prima mostarda. L’aria stessa sembra colar di miele. 

  Si cominciano a rompere le terre per le prossime sementi. Come tu odi dall’alto stridere la gru, che dà il segnale della stagione, appaia i tuoi buoi o le mule, e vattene ad arare i campi, con animo lieto. 

  E il tempo che ogni villano dall'uscio di casa scruta sera e mattina l’aere, e interroga le nubi; e come piove, allegrezza grande! C'è bisogno di acqua che addomestichi le terre. Si riprendono dai solai gli aratri e si armano; si raggiustano le zappe, i rastrelli, e le pale. 

  Alle marine si vendemmia, e per San Michele ogni uva s'avvia al palmento. 

  Si sconcano gli alberi che fecero frutto, e vi si prepara accanto il concime. 

  Feste di Santi Patroni e di Sante fervono in ogni punto dell'isola, e han luogo le ultime più famose fiere dell’anno. 

 I NEMICI 

  Perché ti fai dei nemici? Vivi in pace con tutti: sii prudente, rispettoso, non dire una parola che esca dal seminato. 

  Bada ai fatti tuoi, e non t’immischiare in quelli degli altri, se non per metterci una buona parola e un giusto consiglio. Fuggi le liti, passa largo dagli uomini che le cercano. 

  Se per disgrazia hai un nemico, non cogliere apposta l’occasione di rendergli male per male. Ma se puoi fargli del bene, fàglielo. Cristo perdonò ai suoi nemici. 

  Nel tuo cuore non serbare rancore a nessuno. L’odio nel cuore dell'uomo e come il verme in un frutto: lo infradicia. 

  LE ISOLE DELLA SICILIA 

  Nei mari siciliani, attorno all’isola, sorgono come una corona di stelle alcune piccole isole. 

  Nel mare Tirreno, dinanzi a Messina, è l’arcipelago delle Eolie, costituito da otto isole: Lipari, Salina e Vulcano che sono le più grandi, e quindi Alicudi, Filicudi, Stromboli, Basiluzzo e Panaria. 

  Di fronte a Palermo sorge l'isola d'Ustica. 

  Nel mare Africano, di fronte a Trapani, è l'arcipelago delle Egadi formato da tre isole: Levanzo, Marettimo e Favignana. 

  Di fronte a Girgenti è Pantelleria, famosa per gli asini e i vini; e il piccolo gruppo delle Pelagie, che si compone dell'isolotto Lampione, e delle isole Linosa e Lampedusa.

I MOTTI

  Il risoluto campa, il timido muore. 

  La lontananza è cara, la vicinanza è amara. 

  Finisce l'uomo e finisce il nome. 

  L'omu porta 'u beni, 'a fimmina 'u manteni. 

DAL VANGELO 

1. Il nuovo comandamento 

  Disse ancora Gesù: - Io vi do un piccolo comandamento: Amatevi gli uni gli altri. Com’io v'ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: dall’amore che avrete gli uni per gli altri. 

  Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessun amore è più grande dell’amor di colui che dà la sua vita per i suoi amici, e voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando. .. 

  Pace vi lascio; la mia pace vi do; io non do come il mondo sul dare; il vostro cuore non sia turbato né si sgomenti. 

2. Il pane della vita 

  - In verità, in verità, io vi dico: chi crede ha vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto, e morirono. Il pane che discende dal cielo è tale, che chi ne mangia non muore. Io sono il pane vivente ch’è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che darò io è la mia carne che darò per la vita del mondo. 

 I FICHIDINDIA 

  Frutto caratteristico della Sicilia sono i fichidindia. 

  Se tu butti a terra una pala, l’indomani ha fatto le barbe, e l'anno non passa che è già una siepe fronzuta e gagliarda. 

  Di simili siepi se ne vedono ovunque, floride fra le pietre e le rocce, dove si crederebbe impossibile ogni vegetazione, e talvolta montagne intere ne son tutte ricoperte, come d'uno smalto al sole brillante.    A primavera gli strani alberi, che non han foglie né rami, s'incappellano alle pale più tenere di fiori giallicci, a cui son dietro frutti grinzosi e irti di spine, che man mano s'ingrossano, tutti verdi e che sanno di pala. 

  Ma alle prime pioggie di settembre i frutti maturano, e sotto la buccia spinosa s’empiono d'una polpa dolce come lo zucchero, delizia d'ogni siciliano. I fichidindia hanno nel loro succo l'ultimo sole dell’estate

VITA DI SAN CRISTOFERO

 (parte seconda) 

  Da quel giorno se ne andò vagando per ogni parte della terra, chiedendo a chi incontrava ove mai si trovasse il Cristo, ma nessuno sapeva dargli risposta, perché nessuno allora conosceva il vero Dio.            Giunto alfine sulla riva d'un fiume, vide una capanna di frasche e fango, e sulla porta un Santo Eremita, tutto magro dai lunghi digiuni e dalle continue preghiere. 

 - Chi sei tu? — domandò Reprebo. 

 - Io sono Cucufato, servo di Cristo.

 - Tu servo di Cristo? Tu dunque conosci il Cristo? 

 - O se lo conosco! Egli è il mio Dio, e il Dio del ciclo e della terra. 

  - Allora insegnami senza perder tempo ov'egli si trova, perché io voglio servirlo. È tanto tempo che lo cerco! Il Santo Eremita sorrise: 

  - Egli si trova dovunque. Egli è sempre dove tu lo cerchi. 

  - Dove io l'ho cercato non l'ho mai visto   - interruppe Reprebo. -Insegnami meglio a trovarlo. 

  - Per trovarlo - disse San Cucufato - bisogna aver fede in Lui. 

  - E come? - Amandolo e servendolo! Il gigante scrollò contento le spalle: 

  - Ma io lo cerco proprio per questo, per amarlo e servirlo, come un cane! Egli è il mio Signore, perché è il più forte di tutti. Ma è proprio vero che Egli è il più forte, e che nessuno può eguagliarlo? 

  - Ah Reprebo, Reprebo! - esclamò l'Eremita - e non lo sai tu stesso? non l'hai tu stesso provato? Guardati intorno: tutto è opera Sua, il ciclo e il fuscello d'erba che tu hai sotto i piedi, il tuono e il sereno; la montagna che tocca le stelle e il verme che striscia nascosto. Tu stesso non sei opera Sua? Non t'ha Egli fatto per essere da te glorificato? Non hai visto come Satana fuggiva al segno Suo, la Croce? 

  Il viso di Reprebo raggiava di gioia: 

  - Ebbene, io lo voglio subito servire, senza perderci in chiacchiere. Dimmi cosa devo fare. 

  - Prima tu sei stato il servo del Male, ora tu sarai il servo del Bene. Così solo potrai guadagnare Cristo. - Per vederlo io farò ciò che tu vorrai. Vuoi ch'io estirpi dalla terra le bestie feroci; ch'io svuoti il mare; ch'io uccida lo stesso Satana? 

  - Il Signore non vuole l'impossibile dai suoi servi. Egli pretende poco, e da ognuno secondo le proprie forze. Chi sa pregare, preghi; chi sa operare, operi. Tu che hai buone spalle e grande forza, mettiti qui sulla riva del fiume ove il ponte è crollato, e porta all'altra sponda chi vuoi passarlo. Io ti andrò intanto istruendo nelle cose di Cristo, e giorno verrà che tu lo vedrai in tutta la sua gloria. 

  - È troppo poco - borbottò scontento Reprebo che s'aspettava chissà quali fatiche; ma poiché bisognava obbedire, obbedì. , 

  Scerpato un grosso tronco di palma se ne fece un bastone; e chiunque si presentava, egli lo passava sulle spalle all'altra parte, fendendo allegro la pericolosa corrente. Era con tutti umile e lieto, egli che aveva squartato i lupi e i leoni, e che con un pugno schiacciava un uomo. Se qualcuno gli dava un obolo in pagamento, lo buttava ridendo nelle acque, perché faceva ciò in servizio di Cristo suo Signore, per la sola speranza di vederlo. Si cibava senza lamentarsi, mentre meglio gli sarebbe voluto un bue intero, di dàttoli e d'erbe, come vedeva fare al Santo Eremita, e intanto si veniva rapidamente istruendo nelle cose della religione e nei misteri del Cristo. 

  Ciò durò assai tempo. Una notte infine che il ciclo era scuro, e lontano minacciava, Reprebo sentì all'altra riva piangere un bambino. Meravigliato, si fece sulla porta e ascoltò: la voce lo chiamò tre volte per nome: - Reprebo! Reprebo! Reprebo! perché non vieni a prendermi, ch'io non posso passare? 

  Un fulmine in quel punto squarciò il ciclo nero come la pece, e un tuono spaventoso rotolò fra le nubi facendo tremare la terra. Reprebo si buttò nel fiume, e fu tosto all'altra riva ove credeva trovare il bambino; ma cerca e ricerca, chiama e richiama, il bambino non c'era più. In una sosta del vento lo sentì gemere un miglio lontano; corsovi, la tenera vocina come un belato d'agnello gemeva al posto di prima; e quando fu qua, la voce di nuovo era là; e così tante volte sempre con lo stesso risultato. Stanco alfine, temendo che non fosse opera di Satana suo nemico, fattasi la croce egli stava per ripassare il fiume; ma chinati gli occhi, si vide tra i piedi un meraviglioso bambino, biondo e ricciuto, che diceva con pietosa voce: - Perché dunque, o Reprebo, non vuoi passarmi all'altra riva? - Credevo - rispose il gigante, incantato di vederlo così bello -che fosse Satana, il mio nemico che sempre cerca di nuocermi. Ma tu sei certamente un angiolello caduto dal ciclo. Vieni qua, ch'io ti porto. 

  Così dicendo se lo caricò sulle spalle, e appoggiandosi al tronco di palma entrò nelle acque. Subitamente il temporale si scatenò in tutta la sua furia; il fiume si gonfiò orribilmente, e Reprebo col suo carico fu sul punto d'essere travolto. A un tratto egli sentì che quel bambino lieve come una piuma si faceva pesante come una montagna. Il tronco di palma gli si torse in mano scricchiolando, ed egli stesso si piegava in giù come un arco. A metà del fiume la lena gli mancò; atterrito, facendo quanta più forza poteva, alzò il viso al bambino, e chiese sbuffando: - Il mondo porto che son così franto? Una voce celeste rispose: - Giusto dicesti, Cristoforo Santo, che porti Cristo con tutto lo mondo! 

  A queste parole il temporale passò; il ciclo rifiorì a grappoli le stelle, e una splendente luce circondò il Divino Bambino che reggeva nella sua piccola mano il globo terrestre. 

  Reprebo sentì centuplicarsi le forze; il peso sulle sue spalle tornò lieve come una piuma, e il secco tronco di palma improvvisamente gli fiorì e fece i dàttoli. Toccata a due passi la riva, depose il Bambino, e piangendo e ridendo di gioia senza mai fine lo adorò. - Tu sei il Cristo! — gridava — tu sei il Signore di Reprebo, che comandi ai tuoni e vinci le saette! - Alzati! - disse Gesù - e ascoltami: Tu non sei più Reprebo, ma Cristoforo che significa portatore di Cristo. E da oggi in poi tu sei entrato nella mia grazia, e votato alla mia gloria. Vattene per ogni dove, e annuncia il Verbo di Cristo. 

  Così dicendo sparì in un globo di luce. 

  E Cristoforo, ricevuto finalmente il battesimo, se ne andò per il mondo a predicare la parola di Nostro Signore Gesù Cristo; finché non ebbe anche lui il santo martirio.

I MOTTI 

Chi è vicino al sole non ha freddo. 

Pane con pane non fa zuppa. 

Amare chi non t’ama è tempo perso. 

La tartaruga non ha paura della grandine. 

Dove c'è boschi c’è lupi. 

Di ogni meglio il suo meglio, di ogni peggio c’è il peggio. 

LE ERBE 

  Non disprezzare le erbe selvatiche. Ricordati che fra esse ce n'è sempre qualcuna che può servirti. Fatti insegnare dai più vecchi il nome d'ognuna e le sue virtù; quelle buone per te, e quelle per le bestie quand'hanno piaga o malanno. 

  Impara a conoscerle una per una, perché al bisogno non ti possa sbagliare. In casa tua non manchino mai le buone erbe aromatiche, di cui ogni buona massaia conosce i secreti. 

  Ma non diventare superstizioso; non credere alle femminucce che per ogni male hanno l’erba tocca-sana. 

  Se hai la malaria, prendi il chinino, e lascia stare gl’infusi e i decotti di radiche e foglie che t'imbrogliano le fattucchiere. 

  Se hai una piaga, lascia stare le erbe, e va’ dal dottore. 

I MIRACOLI DI SANTO SANO 

Stu bonu Santu gluriusu e piu 

sàcusu l'arma di cu' lu sbintrau! 

l’ura e lu puntu di quannu nasciu! 

Nascennu patri e matri cci annurvau! 

    E cc'era un puvireddu muraturi 

    ca fabbricava un’ astracu ‘ccillenti: 

    prijannu a Santu Sanu di cuntinu 

    s’allavancò di l’àstracu appinninu.

  E cc'era ‘n’autru travagghiaturi 

  cu 'u jiditu ruttu e ‘un putia travagghiari; 

  prijò divutamente a Santu Sanu: 

  cci sanò 'u jiditu e cci cadiu la manu. 

    ‘N’autru puvireddu carzaratu 

    nesciri pi li spisi non puteva: 

    prijannu a Santu Sanu a letu visu 

   cci arrinuvò la causa e jiu 'mpisu. 

  'N'autru puvireddu tunnarotu 

  di la tunnara sua si nni prijava; 

  prijannu a Santu Sanu pi stu munnu 

  si rumpi la tunnara e cala a funnu. 

    E cc'era un puvireddu bruccularu ca 

    lu sceccu cci cadiu malatu: 

    prijannu a Santu Sanu addinucchiuni, 

    campau lu sceccu e morsi lu patruni. 

MALANIMO E SUPERBIA 

Se passi, non sporcare il pozzo degli altri. Avrai anche tu sete. 

Non disprezzare nulla in questo mondo; il fuscello che calpesti è utile a qualcuno; e così le minime cose. 

Non insuperbire. 

Sii umile e buono, sopratutto con quelli da meno di te. Il sorcio servì al leone. 

 Ricordati che la superbia partì a cavallo e tornò a piedi. Si dice anche: - Chi sputa al cielo, lo sputo gli torna in faccia. 

I PORTI DELLA SICILIA 

La Sicilia ha numerosi e importanti porti, in cui fervono continuamente i commerci e gli scambi. 

Essa ha una situazione commerciale privilegiata che dà un grande contributo, in tutto attivo, al bilancio totale dello Stato. 

Ciò è dovuto principalmente alle sue ricche esportazioni di agrumi e derivati, di zolfo grezzo e raffinato, di cereali, mandorle, noci, nocciuole, olio, conserve di pomodoro, sommaco, vini e della pesca. 

I porti più importanti sono quelli di Palermo e di Catania, che si contendono fra di loro il primato, con un tipo diverso di traffico. 

Vengono poi Siracusa, che è lo scalo naturale dei traffici mediterranei, Messina, Porto Empedocle, Trapani, Augusta. Minore importanza, e del tutto interna, hanno i piccoli porti di Termini, Cefalù, Milazzo, Riposto, Avola, Terranova, Licata, Sciacca, Marsala.

 LE PECORELLE

 Quando il cielo è a pecorelle, l”acqua è vicina.

Il Signore apre la porta alle sue pecore, e le manda a pascere. 

E si dice: - Cielo pecorino, se non piove oggi, piove al mattino. 

I LAGHI DELLA SICILIA 

A 12 km. da Castrogiovanni è il lago di Pergusa. 

Esso non è alimentato da alcun fiume, e le sue acque sono salate come se provenissero direttamente dal mare. 

É ricco di uccelli acquatici, e dà alla vallata un aspetto incantevole. 

Ogni anno, a maggio, ha luogo sulle sue rive una festa, ch'è detta del lago, con grande concorso dai paesi vicini. Lieta e pittoresca è in autunno la caccia alle gallinelle d”acqua. 

Il Biviere di Lentini, ch’è llaltro lago della Sicilia, si trova a 29 km. da Lentini. Dalle sue acque fangose, che variano ad ogni stagione, s’alimenta la malaria, che infesta i campi; e il sangue del contadino s'infebbra come ammorbato. 

In grande quantità vi si trovano gallinelle d'acqua, colliverdi e trampolieri, e nel fangume guizzano anguille e tinche famose. 

ALLORO E PIOPPO 

Figghiu miu pedi d'addauru, 

non fai fruttu, ma fai lu sciauru 

figghiu miu pedi di chiuppu, 

non fai sciauru e mancu lu fruttu.

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