venerdì 23 aprile 2021

Contessa Entellina. Quella domenica di cinquantatre anni fa

 Estratti dalla

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE 

D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE 

E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE 

COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968 

(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)  

Prima parte pubblicata Pigiare qui)   Seconda parte pubblicata (Pigiare qui)   Terza parte pubblicata (Pigiare qui)   Quarta parte pubblicata (Pigiare qui)   Quinta parte pubblicata (Pigiare qui)   Sesta parte  pubblicata (Pigiare qui)   Settima parte pubblicata (Pigiare qui)   Ottava parte pubblicata (Pigiare qui)   Nona parte pubblicata (Pigiare qui) Decima parte (Pigiare qui) Undicesima parte (Pigiare qui) Dodicesima parte (Pigiare qui) Tredicesima parte (Pigiare qui)Quattordicesima parte (Pigiare qui)Quindicesima parte (Pigiare qui)Sedicesima parte (Pigiare qui), Diciassettesima parte (Pigiare qui)Diciottesima parte (Pigiare qui), Diciannovesima parte (Pigiare qui).

CAPITOLO VI

LE REALIZZAZIONI A FRONTE DEI PROGRAMMI 

Urbanizzazioni primarie (opere stradali)

 Il settore delle opere stradali è forse quello di cui si è parlato di più sulla stampa quotidiana e periodica, nonché sulle non poche monografie e sui saggi che sono stati dedicati alla complessa vicenda della ricostruzione dei centri della Valle del Belice. Le opere realizzate sono quasi sempre state giudicate eccessive ed eccessivamente dispendiose rispetto al fabbisogno reale ed in rapporto a tali opere si è spesso usato l'aggettivo « faraonico » quasi a configurare l'inutile grandiosità. 

Alcune di tali opere, infine, come ad esempio lo svincolo a più livelli tra il vecchio centro e la zona di trasferimento di Partanna, oppure il cosiddetto « asse del Belice », sono addirittura diventate emblematiche secondo una certa pubblicistica di un presunto delirio di grandezza dei progettisti, nonché dell'incompetenza e della leggerezza con cui sono stati programmati, progettati, eseguiti e gestiti i lavori di ricostruzione. Si trascura volutanuente, in questa sede, di accennare ai sospetti più volte avanzati circa presunte compiacenze da parte degli organismi pubblici preposti alla ricostruzione verso questo o quel gruppo di interessi privati. Non è quindi per negare o per minimizzare la portata delle disfunzioni che si possono essere verificate o degli errori che possono essere stati commessi, ma al contrario per ancorare il giudizio a parametri il più possibile obiettivi, sottraendosi alla facile suggestione di un linguaggio tanto deprecatorio quanto generico, che si ritiene utile ed opportuno trattare questo particolare problema attraverso l'esame di alcuni dati di ordine prettamente quantitativo. 

a) I PROGRAMMI DI TRASFERIMENTO. 

Pur se tale materia è stata già esposta, in forma più dettagliata ed analitica, in un precedente capitolo di questa relazione, converrà ripercorrere le tappe dell'evoluzione delle previsioni, dei programmi e dei piani che hanno preceduto l'avvio dei lavori di ricostruzione. Verso !a fine del 1968, l'ISES aveva formulato una serie di previsioni (che : ci, in altri settori, sono state assunte quasi integralmente dall'Ispettorato) secondo le quali la rete stradale da realizzarsi nei nuovi insediamenti dei 14 comuni soggetti a trasferimento totale o parziale della popolazione avrebbe interessato una superficie complessiva di 1.262.560 metri quadrati. Tale misura era stata ottenuta applicando un non irragionevole « standard » di 20 metri quadri circa di superficie viaria per ognuno dei 67.700 vani previsti. Dopo i necessari aggiustamenti e le numerose varianti cui si è accennato in precedenza i programmi di trasferimento redatti in via definitiva dalla Commissione tecnica di cui all'articolo 12 della legge 18 marzo 1968, n. 241, indicavano in 79.785 il numero dei vani da costruirsi nei 14 Comuni, parte a totale carico dello Stato e parte da ammettere a contributo.  

 Applicando lo stesso « standard » indicato dall'ISES, la rete viaria a servizio delle aree di trasferimento avrebbe dovuto occupare una superficie di 1.600.000 metri quadri circa, pari a 160 ettari. Non può allora non destare la più viva meraviglia di dover constatare che la superficie complessiva per le opere di viabilità prevista dai programmi di trasferimento all'interno dei centri assommi a ben 3.080.835 metri quadrati, per uno sviluppo lineare che può essere stimato pari a circa 260 Km. (1). Si tratta di un valore quasi doppio rispetto a quello che avrebbe potuto essere considerato ragionevole, e che non può in alcun modo essere giustificato con i pur prevedibili incrementi di superficie che possono essere intervenuti in fase di progettazione esecutiva, dopo aver compiuto una più accurata ricogni- ::ione delle caratteristiche meccaniche e geo-morfologiche dei terreni. I fattori che possono aver determinato il surdimensionamento della rete stradale, la precedenza accordata a tali opere all'atto dell'esecuzione dei lavori ed i rilevanti incrementi delle superfici viarie, sia attraverso le successive formulazioni e revisioni dei programmi di trasferimento, sia in corso d'opera, sono certamente molteplici e di natura composita, sì da rendere molto arduo il compito di individuare singole cause e precise responsabilità. Anche in questo, così come negli altri settori esaminati le carenze dell'Ispettorato e la mancata integrazione orizzontale e verticale tra i vari protagonisti e le varie fasi del processo di ricostruzione possono aver giocato un ruolo determinante. Ciò è confermato dalla circostanza, più volte rilevata nel capitolo: « la gestione degli appalti », che molte volte si è proceduto alla redazione dei progetti definitivi, o addirittura all'apertura dei cantieri per la costruzione di opere stradali o di altre opere prima ancora che fossero completati i rilievi geognostici preliminari. 

(1)  Mentre le previsioni ISES ed i programmi  di trasferimento si riferiscono in genere alle superfici, i dati relativi alle opere realizzate trasmessi con note ispettoriali dell'I e 2 ottobre 1980, indicano sia la superficie che lo sviluppo lineare della rete viaria dei diversi comuni. In base a tali dati si deduce che la larghezza media del manufatto stradale (comprensiva dell'area occupata dai riporti, sterri, muri di sostegno e contenimento delle terre e di ogni altra opera d'arte) è pari ad 11,8 metri. La stima dello sviluppo lineare della rete viaria è stata ottenuta dividendo per tale valore la superfìcie totale.

Tuttavia, nel campo specifico, possono aver agito anche altri fattori, che vale la pena di considerare brevemente. Ancora una volta, occorre riferirsi al clima prevalente nella cultura architettonica ed urbanistica della seconda metà degli anni sessanta, che aveva formulato un severo giudizio sull'esperienza dei quartieri INA-CASA prima, e sulla attività della GESCAL poi. È noto infatti che, per il particolare meccanismo di finanziamento di questi due Istituti, non era possibile alcun effettivo coordinamento tra la realizzazione degli alloggi e quella delle infrastrutture, nemmeno per quanto attiene alle indispensabili opere di urbanizzazione primarie. Per tali categorie di opere, infatti, non era previsto uno speciale capitolo di spesa ed esse avrebbero dovuto essere realizzate dai Comuni, che spesso non erano in condizione di ottemperare a questi compiti con la necessaria tempestività. Come conseguenza di questo stato di cose, si sono spesso visti ^quartieri privi di servizi ed anche di strade d!i accesso o di distribuzione interna praticabili. 

 E' quindi comprensibile che, in occasione della ricostruzione delle zone terremotate della Valle del Belice (nell'ambito delle quali la progettazione edililio-urbanistica delle aree di trasferimento presentava non marginali analogie con la progettazione dei quartieri) si siano volute cogliere le occasioni offerte dal sistema di finanziamento previsto dalla legge 18 marzo 1968, n. 241 per far procedere di pari passo la costruzione delle infrastrutture stradali con quella degli edifici residenziali, o addirittura anticipare la prima rispetto alla seconda, seguendo una prassi ormai collaudata nei Paesi dell'Europa del Nord. Si deve tuttavia riconoscere che, nel tentattivo di correggere gli errori del passato, si è assai spesso caduti nell'errore opposto: quello di dare uno sviluppo eccessivo alla rete stradale e di ordinare l'inizio dei lavori non solo con considerevole anticipo, ma addirittura prima che vi fosse la certezza dell'imminente apertura dei cantieri per la costruzione degli edifici residenziiali. Come si vedrà nelle pagine seguenti, il caso del Comune di Calatafimi è emblematico di tale situazione. Un secondo ordine di considerazioni, necessariamente più sottili e sfumate, investe gli aspetti politici ed anche psicologici dell'opera di ricostruzione. Così come i disordini del traffico rappresentano il sintomo più evidente, pur se non sempre il più significativo, di alcune disfunzioni presenti negli insediamenti urbani, la costruzione di nuove opere stradali assume tutte le connotazioni gratificanti connesse alla immediatezza della percezione della fruizione collettiva dell'opera stessa, che viene interpretata come il segno tangibile di una volontà politica in atto. Sarebbe certamente un errore sopravvalutare l'influenza di simili fattori. Ma forse si commetterebbe un errore ancora più grave sottovalutandola, poiché il generale favore — e addirittura il compiacimento — con cui l'opinione pubblica accoglie la realizzazione e l'apertura al pubblico di nuove infrastrutture viarie, nelle più diverse situazioni urbanistiche ed ambientali, testimoriia l'importanza di queste opere sul piano psicologico, prima ancora che su quello tecnico e funzionale. Oltre al notevolissimo aumento della superficie destinata alle opere stradali, intervenuto durante la formulazione dei programmi di trasferimento, si deve anche registrare una marcata irregolarità della distribuzione di tali superfici tra i diversi Comuni, in rapporto al numero dei vani previsti. La Tabella III permette di rendersi conto agevolmente di tale mancanza di uniformità.


 Come si può notare, nei 4 comuni a trasferimento totale degli abitati si ha un valore medio di 51,5 metri quadri di superficie viaria per ogni vano, un valore cioè di ben 2,6 volte superiore allo standard proposto dall'ISES che, come si è già osservato, poteva ritenersi accettabile. Per i 10 Comuni a trasferimento parziale, l'incidenza media delle opere stradali si riduce a 32,4 metri quadri/vano mentre, per l'insieme dei 14 Comuni, il valore medio è di 38,4 metri quadrati per vano di alloggio, pari a quesi due volte quello inizialmente previsto. All'interno di questi valori medi si devono registrare punte eccezionalmente elevate, come quella di 71,4 metri quadrati/vano del comune di Camporeale (1) e punte minime di 22,7 metri quadrati/vano, ossia un valore solo di poco superiore a quello indicato dall'ISES, nel comune di S. Margherita Belice. Nell'insieme si ha quindi un'accentuata variabilità della misura delle superfici viarie in rapporto ai vani programmati: una variabilità che non sembra potersi giustificare solo in base alla diversità delle situazioni geo-morfologiche esistenti nei diversi comuni. Già in base ai dati sommari fin qui esaminati, pare di poter legittimamente affermare che le opere stradali configurano uno degli aspetti più sconcertanti dell'intero processo programmatico e decisionale che ha presieduto all'opera di ricostruzione.

(1) Curiosamente il comune di Camporeale detiene anche il primato assoluto per quanto riguarda il numero di vani per alloggio. 

Segue -154

b) LA FASE DI REALIZZAZIONE DELLE OPERE STRADALI. 

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