sabato 13 febbraio 2021

Tempi passati. Sfogliamo un libro scritto da un siciliano (5)

Riflessioni su Dante e La Divina Commedia di G.A. Borgese

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I miti di Roma

  Un sognatore, un poeta, un uomo -la cui vita pratica fu un completo fallimento- fu il fondatore della nazione italiana. I beni che egli diede in dote alla figlia della sua mente sono quattro: un monumento di poesia, una mitologia religiosa, una profezia politica e una lingua comune.

  Il monumento, La Divina Commedia, ebbe maestà e grandezza insuperabili. Fin dal primo giotrno dominò l'orizonte; segno di riverenza e di rispetto per le generazioni successive.Era impossibile pensare di superare o anche soltanto eguagliare le proporzioni e l'altezza di un tale monumento. Il suo incanto, come quello di un monte solitario dentro uno scenario naturale, crebbe insieme con il suo distacco, e dominò i secoli. Fu spesso difficile per gli Italiani tracciare una linea di separazioner fra il valore estetico della Divina Commedia e la sua autorità teoretica e pratica. Molti inclinarono a credere, perchè l'opera di Dante era bella, che quanto vi diceva era parimenti vero e buono. La forza della sua poesia soccorreva alla sua religione e alla sua scienza politica.

  La sua religione era la cristianità organizzata in un perfetto sistema logico e mitologico.  I motivi cristiani dell'umiltà, carità, amore ed ispirazione estetica non sono fra i più familiari allo spiritpo di Dante; il suo mondo anche nei momentio d'entusiasmo mistico, è sottoposto all'intelligenza e alla ragione. La mitologia e la struttura architettonica dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, la combinazione di storia, leggenda e profezia, possiedono una tale compattezza da costituire una sfera, fuor della quale nulla rimane. E' una religione conclusa e assoluta, insuscettibile di mutamento o progresso.

  Dante reclamava la stessa assolutezza e finale perfezione nell'organizzazione politica del mondo. Aveva cercato d'essere fiorentino, membro della comunità naturale nella quale era nato, e non c'era riuscito. Non poteva farsi cittadino di qualunque piccola città o dei principati presso i quali si trovò ospite e profugo. Nè poteva per motivi personali e impersonali, consentire con le intenzioni teocratiche del Papa, che aveva conosciuto da vicino, e si sentiva autorizzato ad odiare come un suo proprio nemico, dopo averlo odiato come avversario della sua città natale. Anche sotto questo aspetto il fallimento della carriera naturale lo spinse a vagheggiare un disegno universale nel quale trovassero distesa sistemazione  tutte le sue angustie dimore. Il desiderio represso e gli affetti familiari distrutti, avevano trovato la loro sublimazione nel fantasma della celeste Beatrice. Non diversamente il suo famelico istinto politico e la sua sconfitta brama d'armonia e pienezza di vita collettiva, si congiunsero per lanciarlo verso qualcosa di molto lontano, puro, certo quanto il cielo. L'Impero romano soddisfece quest'ispirazione.

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Giuseppe Antonio Borgese è stato uno scrittore, giornalista, critico letterario, germanista, poeta, drammaturgo e accademico siciliano; antifascista si è visto toglierte la cattedra d'insegnamento universitaria. Nel dopoguerra rientrato in Italia, ha riottenuto la cattedra.

(Continua)

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