domenica 6 dicembre 2020

Alle radici del Cristianesimo

 Dalla Filocalia:

Massimo il Confessore, è stato un monaco e teologo bizantino, venerato santo sia dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto di ogni anno.

X Non confrontarti con gli uomini più deboli, ma tendi piuttosto al comandamento dell'amore. Perchè se ti confronti con quelli, cadi nel baratro della presunzione, mentre se tendi a quel comandamento,  progredisci fino alla vetta dell'umiltà.

X Il denaro è divenuto per gli uomini oggetto di invidia non tanto per la sua utilità, quanto piuttosto perchè molti se ne servono per coltivare i loro piaceri.
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Stiamo estrapolando già da due settimane alcune pagina dal libro di Hans Kung: Dio esiste? 
Nelle prime pagine l'autore trattegia la figura di "Cartesio",  filosofo e matematico francese, fondatore della matematica e della filosofia moderna. Scopo del libro è di usare il metodo scientifico per la ricerca del fondamento della "fede".

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Io penso, dunque sono?: René Descartes

3) L'Individuo certo di sé

  Costituiva un sogno già per gli antichi pitagorici poter scoprire nell'intero universo l'ordine armonico  dei numeri. Quello però che un singolo pensatore, totalmente isolato, intraprende ora con audacia rivoluzionaria, appellandosi alla "libertà propria" dello spirito umano, è qualcosa di molto più grande. senza alcun riguardo per il pensiero che lo precede , per le tradizioni e scuole filosofiche e teologiche per le autorità statali o ecclesiastiche, egli si propone di indagare in piena libertà che cosa l'uomo possa realmente sapere  ed in che misura possa pervenire  a dei giudizi veramente  fondati. Insomma,  la radicale rifondazione della filosofia e del sapere umano in generale ad opera  di un solo individuo! Constatata l'esistenza tra i dotti, ma anche tra i popoli, di opinioni diverse persino in materia di morale e di costumi, egli si trovò "per così dire, costretto a cercare di guidarmi da me stesso". L'individuo deve orientare la propria vita con una responsabilità il più possibile sicura e guidata dalla ragione. In fondo le riflessioni  epistemologiche di Descartes perseguono un obiettivo: non soltanto la conoscenza per la conoscenza, ma -semplicemente e soprattutto la conoscenza per la vita, a vantaggio dell'umanità, di tutti gli individui. La teoria non è, quindi, come per Aristotele (ma anche per Tommaso d'Aquino) il fine supremo della vita, ma -ancora una volta in una prospettiva funzionale estremamente moderna - il mezzo per la realizzazione di una prassi (razionale!), la quale, a sua volta, deve rendere l'uomo più saggio e più abile.

  Dopo aver esplorato il mondo attraverso l'esperienza pratica -non è facile trovare un altro filosofo che abbia visto paesi, persone, grandi avvenimenti, e che abbia accumulato un così cospicuo patrimonio di conoscenze sul mondo e sugli uomini- Descartes si volge, dunque, a esplorare il proprio io. E anche questa volta, in piena solitudine;  egli infatti pensa che gli edifici progettati da un unico architetto sono di solito più belli e armoniosi di quelli attorno  ai quali si sono indaffarati in parecchi, sfruttandone le vecchie mura, costruite per altri scopi. Perciò si preoccupa poco di leggere. La sua indifferenza nei confronti della storia, delle stesse lingue antiche e in particolare della propria tradizione (scolastica), alla quale in realtà rimaneva legato più di quanto non pensasse, qualora venisse assunta come atteggiamento generale,  porterebbe a un'estinzione della memoria.

   Ma entrato in una nuova era, egli si proponeva di ricominciare tutto daccapo: voleva coscientemente deporre tutte le sue precedenti convinzioni, al fine di sostitirle con altre migliori o anche di riassumerle, dopo averle però esaminate con la propria ragione. Quello che occorre è una rottura con il passato, con gli stessi Aristotele e Tommaso D'Aquino, per "non  accogliere mai nulla per vero che non riconosca essere tale con evidenza", come afferma chiaramente la prima regola del Discorso, e per "non comprendere dei miei giudizi nulla di più di quello che si presenta così chiaramente e distintamente (si clairement et distinctement) alla mia intelligenza da escludere ogni possibilità di dubbio".  Ma una simile impresa non era destinata a provocare conflitti  con la teologia e la Chiesa, e forse persino con lo Stato ?

  Per assicurarsi la tranquillità e l'indipendenza necessarie al grande compito cui sta per accingersi, Descartes lascia la Parigi di Richelieu, la cui aria lo predispone più alle  "fantasticherie" che alla meditazione filosofica, e nell'anno stesso della stesura delle  Regole (1628) fa ritorno nella pacifica, a lui ben nota, ricca e più libera Olanda "eretica", dove cambia spesso residenza, adottando a volte indirizzi convenzionali per sfuggire alle pressioni politiche-ecclesiastiche, e vive esclusivamente per i suoi fini scientifici. Se si eccettuano tre viaggi in patria, il gentiluomo benestante -insieme alla moglie e a una figlia che,  con suo grandissimo dolore, gli morirà cinque anni dopo -  rimane in Olanda per oltre vent'anni, in pratica fino al suo ultimo viaggio, quello per la Svezia. Con una vita estremamente regolata, dal pomeriggio fino a notte inoltrata - dopo aver abbondantemente dormito, pranzato, lavorato in giardino e cavalcato- egli si dedica intensamente a tutte le possibili questioni matematiche, fisiche, fisiologiche e filosofiche, oltre che a una vasta corrispondenza, alla realizzazione tecnica di molte sue idee (fabbricazione di occhiali, di sedie a rotelle, di pompe), alla visita e alla guarigione di ciechi, e persino,  con l'avanzare dell'età, allo studio delle possibilità di prolungare la vita. D'importanza capitale fu l'applicazione della moderna matematica algebrica  alla geometria antica: la geometria analitica  algebrizzata, con la quale, per la prima volta, veniva messo in mano al matematico uno strumento moderno. ç'algebra, quindi,  come chiave non soltanto per scoprire un singolo principio, ma anche per pervenire a qualsiasi teorema desiderato.

  Durante i primi cinque anni trascorsi in Olanda  (1628-33)  Descartes lavora  soprattutto alla vsua fisica . Però -pur non essendo codardo, bensì molto circospetto e spesso fin troppo diplomatico nei suoi rapporti con le persone- decide di non pubblicare il trattato postcopernicano su il mondo o òa òuce (Traité du monde ou de la lumière), già pronto per le stampe, allorchè nel 1633 viene a conoscenza  della condanna di Galilep da parte dell'Inquisizione romana: una delle innumerevoli conseguenze del caso Galileo, un caso che negli ambienti ecclesiastici si continua a minimizzare, ma che assieme ad altre gesta  del magistero (la più famigerata, al tempo di Descartes, furono la condanna al rogo di Giordano Bruno all'inizio del secolo, la condanna di Copernico nel 1616 e l'incarcerazione a vita del filosofo antiaristotelico Tommaso Campanella ad opera dello stesso Sant'Uffizio) doveva rendere difficile e avvelenare fino ai nostri giorni i rapporti della Chiesa e della teologia con i filosofi e gli scienziati.

  La condanna di Galileo da parte dell'autorità romana competente per la fede, approvata dallo stesso papa Urbano VIII e imposta alle università cattoliche con tutti i mezzi autoritari degli inquisitori e delle nunziature, soltanto in apparenza difende la Bibbia. In realtà essa voleva soprattutto difendere l'immagine greco-medievale del mondo, e in particolare l'autorità di Aristotele, con le cui dottrine fisiche, biologiche e filosofiche si identificava l'immagine biblica del mondo. Ma con tutto ciò si difendeva anche la supremazia, assicurata giuridicamente, della teologia nella gerarchia delle scienze, l'autorità della Chiesa in tutti i problemi vitali e, quindi, la pura e semplice sottomissione, ciecamente obbediente, al sistema dottrinale ecclesiastico. Questo pronunciamento romano, in teologia, venne considerato una decisione praticamente infallibile e irriformabile, che spense sul nascere ogni minimo tentativo dei teologi più aperti di riflettere sul messaggio biblico, come era già avvenuto bel XIII secolo, alla luce di una nuova visione del mondo. Si era perduto un appuntamento storico, e da allora fino ai nostri giorni la Chiesa cattolica (nonostante qualche timido tentativo di riavvicinamento) si presenta, in parte, come nemica soprattutto della scienza naturale; è quanto la Vita di Galileo  di Bertoh  Brecht ci fa rivivere come un dramma carico di una tensione scientifica, sociale, politica e morale estremamente attuale. Non a torto si è annoverata la condanna di Galileo, e quindi la perdita del mondo della scienza, fra le tre maggiori sventure della storia della Chiesa, assieme allo scisma orientale e alla frattura occidentale della fede cristiana. Per una parte essenziale, l'abisso che separa la Chiesa dalla civiltà modernas, e che è ancora lontana dall'essere colmato, è stato scavato proprio qui. Ma la tragedia personale di Galileo consistette nell'incapacità sua e dei molti che pensavano come lui a convincere il magistero ecclesiastico delle verità delle sue affermazioni e a coalizzare, come nel Medioevo, Chiesa e scienza nuova. "Equivale a usare la Sacra Scrittura per un fine per il quale Dio non l'ha affatto data, e quindi ad abusarne, se si vuole ricavare da essa la conoscenza di verità, che appartengono soltanto alla scienza umana e non servono alla nostra salvezza". Così scriveva Descartes nel 1638, mentre, nel nostro secolo, neppure il Concilio Vaticano II ha osato esprimersi con altrettanta chiarezza nella sua costituzione sulla rivelazione.

   A causa della condanna di Galileo, quindi, l'opera di Descardes è rimasta incompiuta per i contemporanei. Soltanto quattordici anni dopo la sua morte oò trattato sul mondo veniva pubblicato a Parigi (assieme ai trattati sull'uomo e sulla formazione del feto); un nuovo modello, certamente molto diverso da quello della Bibbia, di un mondo che ora non viene più spiegato in base ad una tradizione sacra, ma piuttosto indagato con l'osservazione  esatta e l'esame della natura  e dei suoi fenomeni. La nascita del Sole, delle stelle, della Terra, della Luna, viene spiegata mediante la teoria dei vortici: la Terra gira attorno al Sole! Da principio, subito dopo la condanna di Galileo, Descartes non volle più pubblicare nulla. Sperava però in una revisione del giudizio della Chiesa: invece soltanto cent'anni dopo la sua morte -troppo tardi!- verrà tolta la condanna di Copernico (1757), mentre soltanto nel 1822 l'opera di Galileo verrà  radiata dall'Indice  dei libri proibiti. "Pensiamo in secoli", si ripete a Roma.

   Alla fine comunque Descartes pubblicò il suo Discours de la Méthode, senza grande successo, se si eccettuano le già ricordate appendici sulla geometria e l'ottica (sèoegazione del telescopio e la celebre legge della rifrazione). Originariamente il titolo del Discours -si ricorda la notte di novembre in Germania -doveva suonare: Progetto di una scienza universale per elevare la nostra natura al suo più alto grado di perfezione. Soltanto le latine Meditazioni sui fondamenti della filosofia (1641), nelle quali Descartes, come fisico e metafisico insieme, con l'ausilio del suo nuovo metodo esatto, intende arrecare una soluzione indubitabile ai problemi dell'esistenza di Dio e della natura dell'anima umana, provocano la violenta opposizione dei teologi e filosofi tradizionalisti, sia cattolici che protestanti. Sono però esse a permettere alla sua filosofia a fare breccia. Per completarne l'esposizione, in seguito Descartes pubblica in latino -coltivando la grande ambizione di vederli usati nelle scuole - i Principi della filosofia (1644). Essi sono dedicati alla tanto intelligente quanto bella principessa Elisabetta di Boemia (oriunda del Palatinato), alla quale, negli ultimi anni della sua vita, Descartes si sentì legato e al cui incitamento risale risale anche il suo ultimo trattato su Le passioni dell'anima, pubblicato immediatamente prima del viaggio in Svezia (1649).

  Neppure nella protestante Olanda, dove alti protettori  impedirono che fosse arrestato e che i suoi libri venissero bruciati, gli furono risparmiate le accuse di ateismo, pelagianesimo, e persino di scetticismo, benchè egli  si fosse espressamente opposto agli scettici, i quali dubitano per dubitare" eamano rimanere sempre indecisi: "Anzi, tutti i miei propositi erano di raggiungere la certezzam e se scansavo la terra mobile e la sabbia era solo per trovare la roccia o l'argilla".

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Alle radici del Cristianesimo sta l'Ebraismo.

Alcune riflessioni

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