giovedì 22 ottobre 2020

Umanità e Modernità. Cosa succede nei Balcani (3)

Non abbiamo finora affrontato organicamente come ed in quali condizioni umane, giuridiche e religiose, gli arbëreshe arrivati nei territori dei Peralta-Cardona lavorassero all'interno della baronia dal Cinquecento al Settecento -periodo feudale-. Per farlo stiamo preliminarmente provando a capire come, gli altri -quelli che rimasero nel Balcani- vivessero nella patria di origine.

Ci avvaliamo ovviamenti di studi attendibili e di alto profilo.

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I Balcani del Quattrocento erano rotte commerciali tra Europa ed Asia, le città e le realtà urbanizzate erano protette da fortezze ed amministrate da ordinati organismi imperiali al fine di garantire uomini all'esercito e derrare alle popolazioni. Abbiamo già riferito che nelle campagne nulla cambiò nel passaggio dall'Impero Romano d'Oriente all'Impero Ottomano. I nuovi dominatori, pare, non cercassero terre da coltivare.

Secondo NikolaÏ Todorov (1921-2003)  si ebbe nei Balcani un processo di unificazione ed omogeneizzazione etnico e religioso che tuttavia passava per le città nel tentativo di influenzarne lo sviluppo. All'inizio del Cinquecento in tutta l'area del Balcani più di duecento località vennero classificate come città  nei registri catastali ottomani. Di questi tre quarti rientravano nella categoria dei piccoli centri urbani con meno di quattrocento nuclei familiari. Ai primi del Seicento il numero delle località tra le 8mila e le 10mila unità divenne predominante sul resto dei piccoli centri agricoli. L'unica vera e grande città, con gli Ottomani, rimase Istambul; Sarajevo, Salonico, Atene etc.  rimasero comprese tra le 2000 e i 5000 nuclei familiari. Nel Settecento la popolazione delle città crebbe consistentemente. In quest'ultimo periodo, fermo restando l'ordinamento agrario bizantino, si pose il problema di rifornire le città di derrate agricole: 1) acquisto di merci dai produttori, 2) trasporto nelle grandi città (soprattutto Istambul, ma anche tante città della costa dalmata) 3) immagazinamento, 4) lavorazione delle materie prime 5) distribuzione ai rivenditori, 6) vendita ai consumatori. Gli obblighi dei produttori dei campi per garantire le provviste rimasero sempre quelle del XV secolo, che non si discostarono da quelle precedenti bizantine.

Se la campagna rimase con i suoi ordinamenti e assetti (pure religiosi) nelle città l'ordinamento ottomano previde la nascita delle corporazioni (esnãf) che accanto alla tutela economica dei partecipanti serviva per  l'assetto ed il controllo "politico" delle città. Servivano, venivano usate dalle autorità, ovviamente per la crescita culturale, che ovviamente veniva curata in chiave mussulmana. Nei limiti in cui riuscivano ad autofinanziarsi le l'edificazione ed il funzionamento delle chiese cristiane non venivano ostacolate.

L’Impero ottomano ha dominato i Balcani per oltre cinque secoli, influenzando notevolmente la cultura e la religione del posto, più nelle città che nelle campagne.

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