giovedì 20 agosto 2020

21 Agosto

21 Agosto 1911

Furto della Gioconda al Louvre.

Vincenzo Peruggia - 30enne decoratore, originario di Dumenza, nel varesino - ha scelto di entrare in azione la mattina di lunedì 21, perché è il giorno di chiusura del Louvre. Si crea prima un alibi perfetto trascorrendo la sera prima in compagnia di amici, a suonare il mandolino al Cafè Rubichat (nel quartiere italiano di Parigi) e a simulare un’ubriacatura.

Avendo prestato servizio al museo e in particolare avendo assistito alle operazioni per sistemare il dipinto nella teca di vetro, Peruggia conosce nei minimi particolari le abitudini del personale e sa che troverà il custode immerso nel sonno.

Staccato il dipinto dalla cornice, se lo infila sotto il cappotto e si allontana lesto. Alle 8,30 il furto è compiuto e l'uomo si dirige in taxi all'appartamento che condivide con un cugino, dove nasconde con cura la preziosa refurtiva. Al museo si accorgono del furto soltanto il giorno dopo, dato che inizialmente si era avanzata l’ipotesi che fosse stato rimosso per fotografarlo. Gli investigatori brancolano nel buio, sui giornali, nei circoli letterari e nei bar non si parla d’altro che del furto della Gioconda. È in questa fase, come sottolineano diversi studiosi, che il mito della Monna Lisa diventa popolare raggiungendo le fasce più popolari, anch'esse incuriosite dalla storia di questa donna e del suo misterioso sorriso.Peruggia, nel frattempo, raggiunge Firenze, dove si mette in contatto con l’antiquario Geri, inviandogli una lettera firmata «Leonardo», nella quale sottolinea il valore “patriottico” del gesto: per lui l’opera appartiene all'Italia ed è disposto a restituirla alla modica cifra di 500mila lire. Viene organizzato un incontro segreto alla pensione "Tripoli" (tutt’ora esistente a Firenze con il nome “La Gioconda”), cui prende parte anche il direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi.


Ma è una trappola e il fuggiasco finisce agli arresti. 

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