domenica 31 maggio 2020

Tutti siamo chiamati a capire. Strumentazione per leggere la Storia del passato, compresa quella locale

N. 4
Attraverso alcune parole-chiave ci proponiamo di contribuire a risolvere alcune circostanze mai chiarite e spesso eluse sul triangolo Santa Maria del Bosco, Peralta/Cardona, arbëresh di Contessa. 
Ci piacerebbe se alle nostre chiavi di lettura venissero aggiunte ulteriori precisazioni e aggiunte/collaterali a cura di chi lo desideri.

IL CASTELLO
di Calatamauro


Quando si parla di Castello, a Contessa, tutti ci riferiamo al Castello di Calatamauro, ad appena 3 Km. ad ovest del centro abitato e a 764 m s.l.m.
Più autori e storici che di esso si sono occupati lo attribuiscono al Bizantini.
Secondo fonti arabe nell'anno 839 il castello venne a patti con i musulmani. 
Con le vicende successive, egemonizzate dai normanni e poi dagli Svevi, Calatamauro in quanto fortezza situata in area a forte presenza mussulmana -nel Vallo di Mazara- risulta elencato fra i presidi (1229-30) da rilanciare militarmente e coordinatamente all'impresa di Federico II intesa a liberare l'area del corleonese e del Belice dalla consistente presenza mussulmana.

 Tornò ad un ruolo di rilevanza, ancora, nel corso della guerra del Vespro (1270-72) e negli anni successivi. I corleonesi, alleati della città di Palermo, assediarono gli angioini che si erano asserragliati proprio a Calatamauro (1282). 
Successivamente Calatamauro fu al centro di tanti passaggi di mano a cagione degli incessanti conflitti che si succedettero nell'Isola. 
Negli anni trenta del '300 esso, con tutti i feudi ad esso collegati, passò ai Peralta.

Saranno appunto i Peralta e successivamente i Cardona a doversi misurare in termini di prestigio e forza "politica" con l'Abazia di Santa Maria del Bosco, che proprio contestualmente, dal 1300 in poi, crescerà in influenza e potenza. 
I Peralta/Cardona, potentissimi  anch'essi perchè legatissimi alla corona spagnola,  possedevano domini feudali vastissimi lungo tutta la fascia meridionale dell'isola e nella sola area di Calatamauro assommavano poco meno di 20mila ettari di terreni, e tuttavia (è l'ipotesi che stiamo studiando) erano in qualche modo insidiati (in termini politici) dall'espansionismo terriero-feudale non solamente dalla potente Abazia di Santa Maria ma anche dall'altrettanto potentissima Diocesi di Monreale -il cui arcivescovo era di nomina regia- che esercitava la propria baronia feudale su molte realtà comunitarie, compreso il vicino centro feudale di Bisacquino.
L'Arcidiocesi, in termini di signoria feudale contava allora 72 feudi (con una superficie di 27.590 salme, pari a circa 50.000'ettari) che andavano da Bisacquino ad Alcamo all'attuale territorio di Piana degli Albanesi.

Sulla base di quanto abbiamo finora spulciato su quel contesto storico, c'è -riteniamo noi- in quell'inizio di XVI secolo la volontà e l'impegno dei Peralta/Cardona di bloccare l'espansionismo feudale delle due confinanti baronie ecclesiastiche 
(1) dell'Arcidiocesi di Monreale 
(2) di Santa Maria del Bosco 
entrambi confinanti con le propaggini della loro baronia sui feudi di Calatamauro.

I Peralta/Cardona (per dirla in altri termini) non intendevano che Calatamauro (ed i feudi facenti parte di quella baronia) facesse la stessa fine di Batellaro, il cui territorio finì in parte all'Abazia e in parte all'Arcivescovato di Monreale. Da qui la disponibilità a consentire la fondazione di un paese per gli arbëresh sui feudi di confine di Serradamo-Contesse, a ridosso  dei confini di pertinenza dei due enti ecclesiastici. Il tutto al fine di bloccare l'espansionismo altrui ai danni della baronia di Calatamauro.

Lo stato di bisogno degli esuli arbëreshe di avere una nuova patria trovò alleata, almeno in quel frangente, l'accortezza dei baroni Peralta/Cardona interessati a trasformare gli oltre 60 feudi rustici facenti capo a Calatamauro in feudi aggregati ad una "Università", uno schermo alle pretese altrui.
Concludendo: quando i Cardona vanno a raccogliere altre famiglie albanesi nell'altra sponda dell'Adriatico per arrivare a 80 fuochi, numero minimo di famiglie per creare lo "Stato feudale di Kuntissa", non lo fanno per bontà d'animo. Applicavano la logica e gli interessi propri del regime feudale.
Ipotesi che necessita
di ulteriori ricerche.

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