lunedì 6 aprile 2020

Cosa significa essere albanesi. Una lunga cronistoria

Dalla rivista Limes stralciamo alcuni testi

La scelta degli illirici quali antenati nazionali² risponde anzitutto al principio di autoctonia: che gli illirici siano descritti dagli storici dell’antichità³ come il popolo che prima dell’arrivo degli slavi occupava la metà occidentale della penisola balcanica – compresa l’attuale Albania – a nord della Grecia, permette di affermare che essi erano insediati «da sempre» su questa terra. 
La grandissima estensione dell’area illirica paragonata all’attuale Albania, inoltre, consente di introdurre il tema della perdita di territorio, che ha un grande ruolo nel discorso nazionalista odierno, come pure il tema degli albanesi «grandi sconfitti» della storia, incessantemente invasi e privati di una parte del loro territorio. 
Sul solo piano spaziale, passare dall’Illiria all’Albania dà effettivamente un senso alla storia, il senso di una continua regressione. Basta immaginare che fosse stato scelto l’Epiro per rendersi conto del vantaggio offerto dalla scelta dell’Illiria: l’antico Epiro, nonostante una localizzazione equivalente a quella dell’attuale Albania (il che preserverebbe il principio dell’autoctonia), nonostante un passato statale e un grande re (Pirro, potenziale eroe nazionale), non era abbastanza esteso per fronteggiare gli imperi vantati dai vicini serbi e greci. 
Soltanto l’Illiria permette di equilibrare la bilancia.


Che resta degli illirici nell’odierna Albania? 
Malgrado la presenza di siti archeologici sparsi in tutto il paese, la storia così come è raccontata dalla popolazione illetterata non risale affatto all’epoca degli illirici, anche se localmente certe colline o certe rocce sono chiamate «castelli» e associate a questo popolo. Gli illirici, in realtà, sopravvivono oggi soltanto in qualche nome imposto dai comunisti per sostituire nomi cristiani o musulmani, giudicati estranei alla tradizione albanese: si incontrano così, attualmente, nomi quali Ilir, Bardhyl (da Bardylis, un re illirico), Genc e Genti (da Genthios, un altro re), Teuta (una regina), e Enkeledë (dalla tribù illirica degli enchelei). 
Nessuna di queste figure dell’antica Illiria, tuttavia, è riuscita a imporsi nell’immaginario nazionale. Come in tutti i Balcani, infatti, è la figura di Alessandro il Grande (o Alessandro il Macedone) a dominare tutto il periodo pre-cristiano e gli albanesi non mancano di precisare che Alessandro «era albanese per parte di madre». 
In questo senso, attraverso la figura di Alessandro, gli albanesi sono gli eredi di una tradizione bizantina e ottomana assai più che gli eredi di una storia illirica costruita tardivamente.


Gli albanesi, d’altronde, celebrano proprio un altro Alessandro nella figura di Giorgio Castriota, detto Skënderbe (o Skanderbeg), che significa in turco «signor Alessandro». 
Questi è noto perché nel XV secolo si oppose all’avanzata ottomana nei Balcani. E Skënderbe, a differenza degli illirici, è conosciuto da tutti gli albanesi, molti dei quali sono in grado di raccontare un episodio della sua lotta contro i turchi, sia che si tratti di una battaglia, della sua infanzia presso il sultano, della sua forza, capace di troncare in due parti un bue con un solo colpo di spada, o del suo coraggio. 
Il nome Skënder, d’altra parte, ha un significato assai più preciso di quello dei nomi «illirici», i quali non corrispondono ad alcun particolare tratto di personalità. Tutti coloro che si chiamano Skënder, invece, sono detti bravi e coraggiosi come lo stesso Skënderbe, e questo nome può essere dato anche a chi ne ha ricevuto un altro, se gli viene riconosciuto da tutti un grande valore.


Skënderbe, contrariamente agli illirici, non ha dovuto essere reinventato da cima a fondo per diventare il fondatore della nazione, perché, mentre i primi scompaiono dalle cronache agli inizi del VII secolo, il secondo ha beneficiato a partire dalla sua morte, nel 1468, di una tradizione scritta e orale che ne ha fatto un eroe e un personaggio leggendario. Gli scrittori nazionalisti del XIX secolo dovranno soltanto dare a questa tradizione un senso nazionale, «nazionalizzando» Skënderbe. 
Già tra il 1508 e il 1510 apparve a Roma un’opera che riferiva i fatti e le gesta di Skënderbe, intitolata Historia de vita et gestis Scanderbegi, Epirotarum principis, di cui era autore un prete cattolico dell’Albania settentrionale, Marin Barleti, rifugiatosi in Italia nel 1470 dopo la presa di Scutari da parte degli ottomani. Parallelamente a questa tradizione scritta si sviluppò una tradizione orale.


Proprio gli albanesi d’Italia si interessarono per primi a questa tradizione e al suo rinnovamento, soprattutto grazie a Geronimo de Rada (1814-1903). 
In Albania, Naim Frashëri (1846-1900), promotore dell’indipendenza nazionale, pubblicò nel 1898 una sua Storia di Skënderbe, vasto poema ispirato all’opera di Barleti. Questo testo, apparso in pieno movimento nazionale, è un aperto appello all’unione degli albanesi e all’indipendenza dell’Albania. Skënderbe vi è presentato come un modello della lotta per la liberazione nazionale. 
Più tardi, Fan Noli (1882-1965), fondatore della Chiesa ortodossa albanese, scrisse uno studio storico su Skënderbe, organizzando e rafforzando la tradizione precedente. Da Barleti a Noli, il personaggio di Skënderbe si è evoluto: cristiano che lotta contro i musulmani, figlio che combatte per riconquistare il feudo perduto dal padre, a partire dal XIX secolo diventa un eroe portatore di una visione politica nazionale, simbolo della resistenza albanese di fronte agli invasori stranieri. 
Questa trasformazione offre all’Albania, paese a maggioranza musulmana, una bandiera con l’aquila bicipite ortodossa: la «bandiera di Skënderbe» (un’aquila nera su fondo rosso), reinventata nel XIX secolo, diventa quella della nazione albanese. Così, benché l’Albania sia relativamente più ricca di siti illirici che di vestigia dell’epoca di Skënderbe, l’immaginario nazionale albanese è più ricettivo al secondo che ai primi: la resistenza dell’eroe cristiano di fronte all’islamizzazione rappresenta il vero mito fondatore della nazione, perché offre una risposta alla scomoda situazione dei musulmani albanesi e dà a tutta la nazione un’origine cristiana.

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