sabato 28 dicembre 2019

28 Dicembre

Terremoto di Messina
Il 28 Dicembre 1908 alle 05,20 si verificò nello Stretto di Messina una violenta scossa di terremoto di magnitudo 7.1.  
L'intensità raggiunta dal terremoto fu valutata intorno al XI° della Scala Mercalli.

I giornali di allora scrisser di 120 mila morti e il 90 per cento degli edifici rasi al suolo dal terribile sisma che sconvolse Messina e Reggio Calabria all'alba di quel 28 dicembre.  Metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella della città calabrese perse la vita.

Le cronache dell'epoca riferiscono:
"Il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena partirono per la città distrutta, dove arrivarono la mattina del 30. Mentre il sovrano sbarcò, a bordo della nave Slava la regina approntò un ospedale dove furono ricoverati moltissimi superstiti. Anche diverse navi straniere che si trovavano nel Mediterraneo per motivi militari e commerciali si diressero verso lo stretto per prestare aiuto. Inglesi e russi furono i primi ad arrivare, anche prima degli italiani. Poi fu la volta di tedeschi, americani, francesi e spagnoli.
Nei giorni successivi al sisma, il mare dello stretto si riempì di centinaia di navi che portavano viveri, coperte, legname, generi di conforto di ogni tipo e braccia per scavare sotto le macerie, dove erano ancora intrappolate centinaia di persone. Dalle zone terremotate i feriti furono trasportati nelle città vicine, ma anche a Napoli e a Roma.
Le città più vicine, come Catania e Siracusa, ospitarono nei propri ospedali, ma anche nelle scuole e nelle case private, centinaia di feriti. Furono in molti, personaggi noti e persone comuni, a partire alla volta di Messina per prestare il loro aiuto. Lo fece come crocerossina Constance Hopcraft, moglie inglese del patriota Ricciotti Garibaldi (figlio di Giuseppe). Già madre di 13 figli, volle adottare tre bambine rimaste orfane. Partì per Messina anche il piemontese don Luigi Orione, filantropo e fondatore del Cottolengo di Torino. 
In pochi giorni, a Messina, apparvero le antenate delle baraccopoli cui ci hanno abituati i terremoti italiani del secondo dopoguerra”.



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