giovedì 7 novembre 2019

Italia in crisi. Nel Meridione crollano ponti e franano strade. Nel resto del Paese rischiano di chiudere aziende "simbolo"


 Troppi casi -simultaneamente- stanno dandoci l'immagine dell'Italia ridotta  in mano ai populisti.
Arcelor Mittal, Alitalia e Whirlpool ed altri 168 casi di grande aziende che da mesi cercano una soluzione di sopravvivenza sui tavoli del Ministero dello Sviluppo Economico, il cui ministro fino a due mesi fa era -niente di meno- che Di Maio, il leader del partito populista preferito dagli italiani alle ultime elezioni politiche.
Dagli stessi italiani che via via nelle elezioni locali -in più regioni- hanno ridotto la percentuale di consenso al M5S fino a porlo sotto il 10%.
Ovviamente, è finalmente preferibile accorgersi -a danni fatti- delle conseguenze recate dal populismo alla guida di un grande paese che non accorgersene mai. 
Gli studiosi sostengono però che il declino del Paese comincia con la seconda, terza e quarta repubblica. Da quando gli incompetenti si occupano di economia e di politica.

Cosa possiamo dire sullo stato dell'economia italiana dopo tanti mesi di permanenza al governo dei populisti, a cui un Pd -ormai privo di leaders- non riesce ad aprire gli occhi ? da quando lo stesso Pd -immaginando il peggio dell'estrema destra che corre a vele spiegate- si è alleato senza riuscire ad individuare ed imporre una linea di risanamento ?

Ciò che i media ci sottopongono all'attenzione non è altro che lo specchio del declino industriale dell’Italia.
Il PIL (ricchezza creata nell'arco di un anno) è sostanzialmente fermo da anni (oscilliamo infatti fra il -0,2 e lo 0,2) e  domina la cultura dell’emergenza, incapace di elaborare un progetto industriale. E non solo quello industriale !

Giuseppe Berta, docente di Storia contemporanea alla Bocconi, sulla rivista di Confartigianato-Prato, sostiene che siamo immersi «In un declino cominciato almeno 25 anni fa e diventato manifesto con la crisi finanziaria del 2008-2009. Da allora gli altri Paesi hanno recuperato le posizioni, noi abbiamo perso in modo sistematico, a partire dalle grandi imprese».

Sul caso dell’ex Ilva dice «Rappresenta il segnale del clima generale che stiamo vivendo. Siamo a un passaggio cruciale determinato non tanto dal tema dell’immunità penale rispetto a quel che è accaduto con le passate gestioni, ma dalla crisi dell’acciaio e dalle condizioni di uno stabilimento simbolo dell’Italia industriale che sta affondando nei suoi maggiori capisaldi mentre tengono le imprese medie e intermedie esportatrici e radicate in nicchie di mercato». 
E continua «Da quanti anni ci interroghiamo sulle sorti dell’Ilva? L’incertezza della politica non ha mai fornito una risposta alla domanda se questo tipo di siderurgia sia ancora fondamentale per il Paese o si possa farne a meno con un piano di riconversione. E oggi, con la crisi internazionale dell’acciaio, si temono 5mila esuberi». 

E Whirlpool? «Nel 1962, all’apice del miracolo economico, la produzione italiana di elettrodomestici era superiore a quella della Germania. Che cosa è successo dopo? Il nostro modello industriale non è evoluto nella direzione della qualità e siamo rimasti vittime della concorrenza verso il basso sul costo del lavoro e degli insediamenti». 

E l’Alitalia. «Negli anni Cinquanta e Sessanta era portata a modello, un vanto. Oggi le compagnie di bandiera non ci sono più. Qualche anno fa non si è voluto venderla ai francesi puntando sulla dimenticata cordata dei capitani coraggiosi. E ancora oggi non c’è la volontà di dire se abbiamo bisogno o no di una compagnia che erediti il vecchio modello o semplicemente che agli italiani servono solo ottimi servizi aerei. Senza averlo finora deciso affrontiamo sempre l’emergenza che diventa di lungo periodo con il risultato che ogni giorno perdiamo un pezzo di industria». 

 «Diciamo che dalla fine degli anni Settanta abbiamo perso quel modello economico che funzionava su due gambe: una privata e l’altra pubblica. E, salvo poche aree come Milano, la Lombardia, l’Emilia, non siamo stati capaci di creare il circolo virtuoso che unisce l’industria più avanzata con le punte più dinamiche del sistema dei servizi a ridosso della produzione». 

Allora ?
Se manca un governo che sappia governare è ovvio che chiudono le industrie e che franino le strade.

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