sabato 16 giugno 2018

L'uomo e la Storia


Cambiano i costumi
Quei primi anni del Novecento davvero segnarono una svolta nella Storia e soprattutto nei costumi e nel modo di essere degli uomini e ancor più delle donne. 
Sui giornali e nei teatri con libertà si inizia a parlare di crisi della famiglia e soprattutto al Sud di delitti d'onore.
Spunta la dattilografia e pure la lametta Gillette.

Iniziano, o meglio proseguono, gli scandal dei politicanti: un ministro, Pietro  Rosano  (Napoli, 25 dicembre 1846 – Napoli, 9 novembre 1903) viene accusato di aver accettato 5.000 lire da un anarchico per fargli ottenere la libertà dal carcere. Muore suicida.

Si consolida nel Sud la Mafia e la malavita
Entrano nella leggenda due personaggi: Joseph Petrosino, acerrimo nemico della malavita di matrice mafiosa negli Stati Uniti e il bandito Musolino. 
Joseph Petrosino
Petrosino era figlio di migrati italian, originari da Salerno, era il tipico poliziotto forte  con grinta che si batte contro la "Mano Nera", omologa della Mafia in America. Era venuto in Sicilia per scoprire  legami Mafia-Mano Nera e però viene ucciso con tre colpi di rivoltellate, a Palermo, a piazza Marina.  
Nei primi anni del '900, la mafia è ormai una sinistra realtà in pieno sviluppo, che affonda le proprie radici in Sicilia ma estende già i suoi tentacoli nelle comunità di italiani emigrati negli USA. Nemico di Petrosino, il poliziotto italo-americano, fu don Vito Cascio Ferro, nato a Palermo nel 1862. Il padre, Accursio era campiere dei baroni Inglese, motivo per cui Don Vito si era trasferito a Bisacquino dove si occupava della tenuta di Santa Maria del Bosco. 
Molto giovane aveva sposato la maestra elementare Brigida Giaccone che gli insegnò a leggere e scrivere. All’inizio si era occupato di attività di compravendite per conto del barone Inglese. Le sue passioni però erano il gioco delle carte, le donne ed i rapporti con i politici ed personaggi alto locati protettori dell'onorata società.

  “Era a cena da me”, dirà l’onorevole deputato Domenico De Michele Ferrandelli che scagionerà don Vito dall'assassinio di Petrosi<qano, e fornisce anche il menù: olive al forno, fagioli alla menta, triglie ai semi di finocchio, agnello in salsa di latte, cassata. 
Disegno sull'arresto, avvenuto occasionalmente
il 17.10.1901 da parte di due carabinieri del
ricercatissimo brigante Giuseppe Musolino
E se don Vito si fosse assentato, tra le triglie e la cassata? Possibile, ma non si saprà mai. Sarà il prefetto Mori a metterlo dentro, nel 1926 (il fascismo aveva fatto di Petrosino un suo eroe) e a condannarlo all’ergastolo, ma senza prove. Don Vito morirà nel carcere di Pozzuoli nell’agosto del 1943, sotto le bombe degli Alleati. Se ce l’avesse fatta un altro mese, sarebbe stato sicuramente liberato dal compare mafioso Vito Genovese, il pusher di cocaina di Galeazzo Ciano nominato plenipotenziario campano dell’esercito alleato dal governatore Charles Poletti.

Giuseppe Musolino, un calabrese, fu accusato ingiustamente di omicidio. Dopo aver ascoltato la sentenza scoppia: "Zoccoli, sono condannato a ventuno anni. Se non muoio uscirò di prigione a quarantadue: ti ucciderò. E se sarai sposato e avrai avuto dei figli berrò il loro sangue". Scappa da prigione sull'Aspromonte ed è sempre ricercato da oltre 1500 agenti. Si vendica di tutti coloro che avevano, falsamente testimoniato contro di lui e dei loro familiari. 
Viene arrestato dopo oltre cinque anni occasionalmente da due carabinieri, comandati dal brigadiere Giuseppe Mattei, padre di quello che sarà il presidente Eni, Enrico Mattei. 

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