martedì 21 novembre 2017

Zef Chiaramonte: nel dialogo più chiara è l’identità dei dialoganti, maggiori saranno i frutti dell’intesa.

          a OTTONE I, primo re della Grecia, gli alunni del Collegio Greco

L’amico VIRGILIO AVATO, in ex Alunni del Collegio Greco, recupera un articolo di un giornale greco dal titolo “GLI ALUNNI DEL COLLEGIO GRECO [si rivolgono] AL RE OTTONE.
Si tratta di Ottone I (1815-1867), re di Grecia dal 1832 al 1862.
Come si vede, la sua data di morte non coincide con la data di cessazione del servizio regale.
Infatti, spacciata la Repubblica capeggiata da Capodistria, le grandi potenze imposero alla Grecia una monarchia e, nel 1832/33, assegnarono il nuovo regno al principe di casa Wittesbach, Ottone di Baviera.
Il quale, per aver privilegiato la camarilla bavarese nelle principali leve del potere, provocò lo scontento delle classi dirigenti greche, tagliate fuori dalla direzione politica del paese.
Così, una prima rivolta dei militari nel 1843, costrinse Ottone a concedere una costituzione che non fu mai applicata, mentre una seconda insurrezione, nel 1862, lo costrinse ad abdicare.
A questo personaggio, dimentico delle aspre lotte che il popolo greco – con al centro tanti valorosi capi arvaniti – aveva sostenuto per l’indipendenza dai turchi ottomani, si rivolgevano gli alunni del Pontificio Collegio Greco per avere protezione.
Da chi? Da cosa?
È risaputo che italo-greci e italo-albanesi, non potevano contare su molti appoggi per la loro sopravvivenza.
La stessa Santa Sede usò una politica diversa per i due gruppi.
Per i primi fu decretata la latinizzazione. Già stati assegnati a Costantinopoli con la crisi iconoclasta, insieme all’Illirico, essi tornavano al Patriarcato romano con la reconquista normanna. Conferito il titolo regio ai Normanni, il Papa li ingaggiava a “normalizzare” la situazione degli Italo-Greci.
Per i secondi, invece, la S. Sede usò una politica diametralmente opposta, spesso scontrandosi con i signori feudali e i vescovi latini nei cui territori si erano stanziati gli Arbëreshë.
Nella sua inesauribile sagacia politico-religiosa, la Sede romana proteggeva le comunità italo-albanesi di rito bizantino (molti continuano a chiamarlo “greco”) perché non aveva mai cessato di sognare l’unità dei Cristiani e la sconfitta degli Ottomani, ritenuti allora il male assoluto.
Fu, quindi, normale che venuta a libertà la Grecia, essa venisse vista come una vittoria del Cristianesimo sull’Islam e si appuntasse su di essa il desiderio di riscatto delle minoranze religiose di tradizione bizantina (molti continuano a dire “greca”) sparse in Italia e altrove.
Ma la tradizione bizantina (molti continuano a chiamarla “greca”) degli Arbëreshë non li fa greci e neppure le suppliche rivolte a Ottone I di Grecia anche dagli alunni arbëreshë del Collegio Greco li trasforma, per incanto, da arbërori a elleni.
Nihil novi! Non si rivolgevano agli Czar di Russia tanti nostri papades ( ne cito uno: papas Giuseppe Musacchia +1910) ogni qualvolta si avevano screzi con gli Ordinari latini?
Infine:
- una considerazione: la legge italiana di salvaguardia delle Minoranze linguistiche è equamente estesa a “greci” e “albanesi” , due distinti gruppi linguistici storici;
- una domanda: che interesse ha il buon VIRGILIO AVATO a negare la lapalissiana evidenza che, nel gergo ecclesiastico di una volta, “greco”, oggi bizantino, è in opposizione a “latino” e pertanto, la grande famiglia bizantina ammette greci, ciprioti, serbi, montenegrini, rumeni, russi, arabo-melchiti, albanesi … e Arbëreshë, ognuno con la propria identità etnica e linguistica?
- un richiamo al Concilio: nel dialogo ecumenico, più chiara è l’identità dei dialoganti, maggiori saranno i frutti dell’intesa.
Non sarà appiattendosi, peggio mimetizzandosi su una vaga grecità “avatiana” o su una riaccesa latinità “gallariana” che la nostra piccola, ma gloriosa CHIESA ABRËRESHE raccoglierà frutti ad maiorem Dei gloriam et ad unitatem christianorum fovendam.


Palermo, 21.11.2017 
 zef chiaramonte

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