mercoledì 18 gennaio 2017

Storie di Sicilia. Dai malèfici alla scienza del terzo millennio

Vivere sotto i Baroni (I)

Non è difficile leggere su riviste, o su libri di storia, che la Sicilia ha avuto il primo,  uno dei primi, Parlamento in Europa; nel leggere questo tipo di informazione si coglie quasi sempre grande enfasi, come ad assaporare grande soddisfazione e orgoglio. Si tratta di sentimenti mal posti. 
Non è affatto vero -per intanto- che il Primo Parlamento in Europa sia stato quello siciliano ed in ogni caso averlo avuto per tutto il medio evo e per buona parte della "modernità" non è servito a migliorare le condizioni di vita nell'isola.
Avremo modo comunque di approfondire sia l'origine che le modalità di funzionamento di questo istituto.   

Per intanto diamo un flash, fotografando la situazione di un anno: il 1750.
  
Nel 1750 il Parlamento di Sicilia, nei suoi tre bracci era composto:
ecclesiastico n. 66 componenti (arcivescovi, vescovi, abati e priori); 
militare n. 229: principi n. 58, duchi n. 27, marchesi n. 37, conti n. 27,  visconte n. 1, baroni 79;
demaniale n. 43.

La classe dei feudatari, nella Sicilia di allora, oltre a contare sul braccio ecclesiastico/militare comprendeva un numero d "signori" che non avevano diritto di sedere in Parlamento. Vi erano infatti nell'isola  (nel  1750):
-principi 120
-duchi 82
-marchesi 124
-conti 28
-baroni possessori  di feudi rustici, ossia senza che vi insistessero dei paesi abitati, n. 361.

Il primo dei baroni di Sicilia, che possedeva il diritto ereditario di portare il vessillo del Re ed annunciare al popolo il nome del sovrano che assumeva -di volta in volta- il trono era il principe di Butera. 

I vassalli, i sudditi, dei baroni non possedevano nè diritti nè possibilità alcuna da far valere rispetto ai loro signori. 
Mario Cutelli (Catania1589 – Palermo17 settembre 1654; fu giuristafilosofo e latinista) così descrisse la condizione di vita all'interno del mondo baronale: "Le più misere e vessate popolazioni sono quelle sulle quali il barone ha il diritto del mero imperio, perchè si permette di esiger tanto che appena loro resta tempo e luogo per respirare".

Le 43 città demaniali avevano una loro relativa libertà, molto più limitata comunque da quella dei comuni d'Italia.  Esse eleggevano le carche cittadine a liberi suffragi; ma i nomi degli eletti dovevano essere approvati dal governo regio.
I sovrani spesso per far denari vendevano le città ai baroni e i residenti per non cadere sotto la servitù di qusti preferivano offrire somme -anche doppie- per il riscatto pur di non condividere il triste destino delle realtà baronali. 

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